Quarantasette.

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Presente.

Aveva visto la schiena di Katsuki uscire dalla porta finestra senza nessuna esitazione; l'odore nervoso del bruciato che aleggiava ancora nell'aria come un monito silenzioso di tutte le cose che non si erano ancora detti.

Ora Izuku era lì, seduto sullo sgabello dell'isola in cucina, con tre paia di occhi a guardarlo: quelli comprensivi di zio Masaru; quelli curiosi di zia Mitsuki e quelli acquosi e angosciati di sua madre Inko.
Midoriya si portò la tazza del caffè alle labbra, sorseggiò un po' la bevanda prima di iniziare a mangiucchiare la banana, che lo zio gli aveva preparato, con del porridge accanto. Il ragazzo non aveva molto appetito, ma era sempre meglio avere la bocca piena di cibo che rispondere alle domande silenziose che le due donne avevano espresse nei loro sguardi.

> Allora?

Il sorriso di Mitsuki era largo, genuino e, in qualche modo, birbante. Izuku guardò quei trentadue denti bianchi sparire poco alla volta, ma le labbra rimasero rivolte all'insù, incoraggianti.
Con fare imbarazzato si grattò una guancia lentigginosa ed evitò lo sguardo rosso nel vano tentativo di evitare la conversazione.

> Dai Izuku! Non lasciare la zietta in preda alla curiosità! Da quanto sei in dolce attesa?
> D-Due mesi circa...
> Oh, quindi coincide con il marchio... forse è per quello che lo ha fatto? Perché eri gravido?
> Co-Cosa? No! Ka-Kacchan non... Sentite, è complicato, ok? Niente di tutto questo era voluto. È stato tutto un-
> Non dirlo.

La voce grave di Masaru aveva interrotto quella dell'omega. Gli occhi nocciola, di solito sereni e gentili, ora erano severi e giudicanti; cosa insolita per l'uomo al miele.
Così insolita che Izuku si portò il colletto della felpa al naso per inspirare l'odore del suo compagno; quello stesso compagno che non aveva idea di quando avrebbe rivisto.

> Non dire che è stato un incidente. Sappiamo tutti che non è così. Giusto, Mitsuki?

La donna bionda annuì con vigore all'affermazione, per poi girare il capo verso l'amica verde che fino a quel momento era stata in silenzio assoluto.
Inko non sapeva cosa dire, cioè: aveva un sacco di cose da dire, ma sapeva che non poteva lasciare che la sua rabbia prendesse il sopravvento e che si scaricasse tutta sul giovane alpha biondo.
Inko aveva visto lo sguardo pentito di Katsuki, aveva visto il rimorso nel fondo dei suoi occhi, ma non una parola al riguardo era uscita dalle labbra sottili del ragazzo.

> Non intrometterti nei cazzi nostri. Siamo entrambi adulti. So già cosa devo fare, lo so già. Fatevi i cazzi vostri!

Probabilmente Katsuki voleva scusarsi nel modo giusto, in privato e con solo le orecchie di Izuku ad ascoltarlo, ma da madre non poteva permettere che il suo unico figlio soffrisse ancora. Non più di quanto avesse già fatto.
Tutte le teste erano voltate nella sua direzione, tutti gli occhi erano su di lei, in attesa che dicesse qualcosa; ma la donna verde non riusciva a trovare le parole per dare il suo sostegno al figlio, non quello che il suo prezioso Izuku si sarebbe meritato.

> Perché hai deciso di tenerlo, se lo consideri solo un incidente?

La domanda, semplice e diretta, fece vergognare il ragazzo. Le lentiggini sparirono sotto uno spesso velo di rossore e l'umiliazione lo assalì di botto.
Si schiarì la gola, facendo scorrere lo sguardo per tutta la stanza senza mai incrociare lo sguardo dei signori Bakugō.

> Pe-Per-Perché, perché sarebbe la mia so-sola occasione per avere un fi-figlio. H-Ho de-deciso di tenerlo per que-sto. S-So che è ego-egoistico, ma Ka-Kacchan è d'accordo.

Lo sguardo di Inko si indurì, mentre quello degli zii si intristì. Nella mente dei tre adulti quel loro legame, e conseguente cucciolo, erano solo il risultato di un'ossessione lunga tutta la loro vita; invece Izuku stava agendo solo secondo un desiderio egoista, mentre Katsuki assecondava il verde mosso dai sensi di colpa.
Era davvero questa la risposta alle loro domande? Era davvero così che avrebbero voluto crescere un bambino?

Puppet Master.Where stories live. Discover now