IV

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Ho conosciuto L. in prima media, si era trasferito da un'altra scuola, dove, girava voce, avesse dato fuoco alla pelliccia di una professoressa.

Era aggressivo, violento e per nulla gentile. Cercava di inimicarsi il più possibile chiunque gli girasse attorno. Io me ne stavo per conto mio, come oggi. Sono seduto ai banchi in fondo e la professoressa di matematica sta interrogando Sabrina.

Quando stavo alle medie mi sembrava più divertente. è questa la serietà degli adulti? Quando i miei genitori sono morti mi sono guardato allo specchio e l'ho visto là. L'ho visto in quel momento che la mia faccia si era trasformata, che ero diventato grande.

Ho pensato a L. perché quando l'ho visto quel giorno, il giorno in cui siamo diventati amici, aveva la stessa maglietta che adesso ha Sabrina. una felpa bianca con un simbolo sbadito.

Era Mercoledì, il giorno più brutto della settimana perchè la professoressa di chimica, che tutti temevano, interrogava ogni mercoledì. Il silenzio che si creava mentre lei faceva scorrere il dito sull'elenco ricordava i silenzi dei funerali. Ma come tutto, anche quella giornata passò, e non fui io il cadavere.

Suonata la campanella dell'ultim'ora mi avviai per ultimo verso l'uscita, ero passato dalla bacheca annunci a cercare qualcosa di interessante ma non avevo trovato nulla se non un lavoro da lavapiatti in un ristorante cinese.

Il cortile anteriore però era già stato chiuso e fui costretto a fare il giro dal retro.

Mentre camminavo, attraversando il corridoio nel quale si affacciava l'aula magna, in lontananza sentii, dall'interno dei rumori forti. Entrai di soppiatto e non senza un po' di timore: all'angolo della grande aula c'era una porticina alla quale non avevo mai fatto caso; i rumori provenivano da lì.

Mi avvicinai ed entrai: L. era lì, sudato e arrossato e sbatteva, picchiava e lanciava in aria qualunque cosa avesse sotto mano. Quell'aula era una specie di deposito: vecchi banchi, cattedre, lavagne e cestini erano stati lì riposti in attesa di essere gettati o riciclati. Quando sbirciai nella stanza provai un misto di spavento e tenerezza nel vedere quella scena. L. aveva il viso coperto di lacrime.

Quando mi vide e fui tentato di scappare ma lui mi afferrò per lo zaino, mi strattonò e disse: -Se ne fai parola con qualcuno passi i guai-.

- perché dovrei? Cerco questa stanza da anni-

Poggiai lo zaino e cominciai a spaccare tutto urlando e dicendo parolacce. Provai un senso di liberazione. I muscoli ribollivano nella carne come se volessero venirne fuori; sentivo il sudore colarmi giù dal viso e mischiarsi con le lacrime salate. L. mi guardò con un misto di stupore e vergogna, un imbarazzo duro e colpevole ma complice; poi continuò anche lui. Se ci avessero trovato sicuramente saremmo finiti in un grosso guaio, ma quel giorno, a parte il nostro improvviso legame, nessuno si accorse di noi.

Ancora oggi gli sono amico perché da quel momento è come se mi fossi sentito investito di una responsabilità, è come se qualcuno avesse messo L. sul mio cammino per un motivo. Io dovevo e volevo aiutarlo. Ma so per certo che è stato più lui ad aiutare me.

Il rumore dei fili della luceWhere stories live. Discover now