ventotto.

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La sera mi costrinsi a scendere per mangiare qualcosa. Mi infilai un pantaloncino della tuta e una maglietta oversize. Legai i capelli in una coda disordinata e raggiunsi gli altri in cucina.

Ginny non mi guardò neanche.

"Vieni, siediti qui" George scostò la sedia accanto a lui. Hermione si sedette alla mia sinistra. Parlammo del più e del meno fin quando la cena non venne servita: patate al forno, pollo e torte salate di ogni tipo.

"Tieni". George mi riempì il piatto. Non avevo fame, ero stanca e ancora disgustata dal biscotto che avevo mangiato, ma non potevo rifiutare il cibo. Non potevo dopo il discorso con Molly, la scenata con Fred, gli avvertimenti di George. Non volevo essere compatita, non volevo che capissero ci fosse qualcosa che non andava in me.

Impugnai la forchetta. Una patata, due patate, tre patate. Quante ne riuscirò a mangiare prima di sentirmi male?.

Masticai piano con lo sguardo fisso nel vuoto. Se non mi fossi concentrata sul piatto forse sarei riuscita a non andare nel panico. Pensai a cose positive, a Theo che se fosse stato lì sarebbe stato fiero, a me, qualche anno prima, quando non avevo paura del cibo.

Mangiucchiai un pezzo di pollo. Inspiravo ed espiravo profondamente mentre deglutivo ogni boccone. Era stancante. Sentivo una pressione addosso. Mi sembrava che tutti mi stessero guardando, che mi stessero giudicando.

"Emma, ci sei?" mi richiamò Hermione.

"Si, perché?"

"Hai gli occhi lucidi"

Mi passai subito un fazzoletto sotto gli occhi. "Si, sto avendo un po' di allergia al polline". Mentii guardandomi attorno, pregando che nessuno lo avesse notato.

Un paio di occhi marroni, però, mi osservavano attenti. Distolsi lo sguardo arrossendo. Mi vergognavo.

Non voglio fargli pietà. Ti prego fa che non mi guardi per questo.

Mangiai metà del piatto.

"Molly, Arthur, io vado. Non mi sento molto bene"

"Che hai?" domandò Molly apprensiva.

"Caldo, sicuramente un colpo di sole". Menti rendendomi conto che la bugia detta a Fred e quella detta ad Hermione erano completamente diverse. Non trovai il coraggio di guardarli.

Molly annuì. "Chiamami se hai bisogno".

"Si, grazie Molly. Era tutto buonissimo".

"Ciao ragazzi" dissi in generale. Non volevo essere maleducata anche se le uniche due voci a ricambiare il saluto furono quelle di George ed Hermione.

-

In camera attesi che il mal di stomaco passasse. Piansi in silenzio, combattendo un istinto che dominava ogni momento della mia vita. Mi cambiai in un pigiama che ormai non mi andava più distendendomi sul letto, faccia al soffitto, con le lacrime che mi scorrevano lungo le guance. Ripetei talmente tante volte di non vomitare che mi addormentai al suono di quella frase.

Mi svegliai alle cinque. L'alba stava sorgendo dalla finestra. Il sole sprigionava lungo il cielo sfumature di un rosso intenso. Una luce che lentamente si attenuava nei colori del giorno, insieme al venticello mattutino che scivolava sulla mia pelle scoperta.

Fisicamente stavo molto peggio del giorno prima: nausea, mal di pancia e un'insopportabile ansia. Un'ansia che mi rammentava l'arrivo di Nate, il giorno dopo. La fine di quel briciolo tranquillità.

In bagno sciacquai il viso, lavai i denti e mi aggiustai la coda. Il sonno era stato strappato via dall'agitazione che avrebbe caratterizzato la settimana a venire, non riuscivo a smettere di pensare ad altro. Immaginavo scenari, liti e, soprattuto, azioni che avevo paura potessero accadere.

Scesi in cucina, diretta verso il piccolo giardino. Lì c'era una vecchia panchina a dondolo. Era uno dei miei posti preferiti. Sul portico tra la luce e l'ombra si muoveva al ritmo del vento. Mi ci sedetti, una coperta sulle gambe, un libro tra le mani. 

Leggendo, mi distesi lungo la panca, tirandomi il plaid fino alle spalle. Stavo ancora sfogliando le pagine quando fui sopraffatta dal sonno.

Chiusi gli occhi. Solo un minuto. Le mani sotto la guancia, il libro poggiato tra il mento e il collo. Rannicchiai le gambe avvolta dal torpore della coperta.

"Vado in giardino, mi fumo una sigaretta prima che mamma si svegli. Tu?"

"Me ne torno a dormire. Sono solo le sei"

In uno stato di dormiveglia ascoltai delle voci lontane, e il rumore di una porta che si apriva.

Mezza addormentata mi tirai a sedere. "Chi?" domandai in uno sbadiglio, stropicciando  gli occhi. "Chi è?".

"Fred" disse sedendosi di fronte a me. "Scusa non volevo svegliarti"

"Tranquillo". Mi presi qualche secondo per osservarlo, con solo un pantaloncino nero addosso mentre si accendeva una sigaretta.

"Torno nella mia stanza" lo avvisai.

"Fumo e vado via, quindi se vuoi restare"

"Da quando tutta questa gentilezza?".

Fred tamburellò il piede per terra. Prese un altro tiro, guardandomi sghembo. "Non sono in vena di litigare"

"Va bene" dissi. Piegai il plaid e lo riposi sul dondolo. Il fresco mattutino si insinuò nelle ossa. "Va bene, comunque io vado"

"Va bene. Sai di essere dimagrita vero?" disse di getto. Lo fissai sbigottita, ma dal suo viso non trapelava nulla. Sembrava una domanda provocatoria, detta per infastidirmi.

"L'ho detto. Non sono stata bene" risposi scocciata.

Fred scollò le spalle. "Allergia, calo di zuccheri o colpo di sole?" il tono saccente mi diede ai nervi.

"Cose messe insieme, a te che importa?" controbattei. Se c'era qualcuno che non era nella posizione di dire una parola sul mio stato quello era lui.

"Niente. Non siamo niente io e te". Quella frase non reggeva il contesto ma lasciai correre.

Il sole gli illuminò gli occhi. Arricciò lo sguardo senza perdere quell'espressione arrogantei. Fece scivolare gli occhiali da sole sul viso. "Perché mi guardi?" ghignò.

"Perché non posso?" ribattei. Mi sorpresi della mia stessa risposta, avevo messo da parte questo lato del mio carattere da molto tempo.

"Certo che puoi" si tirò su gli occhiali e fece un mezzo occhiolino. I ciuffi dei capelli si posarono sulle lenti.

Non riuscii a trattenere un sorriso. "Stai filtrando?"

Fred fece spallucce. "Tu stai filtrando?"

Quasi arrossii. "Hai iniziato tu". Le farfalle svolazzavano libere nello stomaco, mi sentivo una bambina alle prese con la sua prima cotta.

"Colpevole" alzò le braccia a mo di resa. La sigaretta che gli pendeva tra le labbra. Raggiunsi la porta. Non sopportavo quella tensione tra noi. Non doveva essere così, era finita. Dovevo tenere a bada le emozioni.

"Non provarci troppo Weasley" lo presi in giro, rientrando in cucina, con il cuore a mille.

Emma//Fred WeasleyWhere stories live. Discover now