CAPITOLO 9

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OMAR

Quella notte...

Erano ormai le 3.

Non c'era gente in giro da quelle parti. Tutto giaceva tranquillo.

Mi avvicinai alla recinzione e scavalcai il muretto di cinta nella parte che sapevo più bassa reggendomi sulle braccia, come avevo fatto altre volte.

Le bottiglie tintinnarono nella zaino che avevo sulle spalle.

Saltai dall'altra parte.

Le mie gambe tremarono pesanti quando i piedi toccarono terra.

Guardai intorno con circospezione: non c'era nessuno, nemmeno il custode stavolta.

La luna di quella notte illuminò la ghiaia del vialetto centrale indicandomi la strada.

Rivolsi per un istante lo sguardo a quella luce rotonda e splendente; era la stessa che avevo guardato tante volte insieme a lei. Quella non se n'era andata e non era cambiata... era uguale...

Più tranquillo proseguii.

C'era silenzio intorno. Era così che funzionava da quelle parti.

D'altra parte nessuno di loro festeggiava la notte, né lo avrebbe fatto mai più.

Una solitudine rassicurante e una pace profonda seguì i miei passi mentre percorrevo i campi.

Visi nuovi e sconosciuti, accanto ad altri che ormai mi erano familiari accompagnavano il mio passaggio.

Le fiammelle fioche di fianco alle foto e ai fiori colorati nei vasi di bronzo dalle forme più svariate tentavano di spogliare la morte del suo mistero e del suo buio.

Marmi, graniti, lapidi, epitaffi... tenebrose presenze... all'ombra notturna di alti cipressi. Simili veramente a bare che si slanciavano in alto, verso il cielo...

Salii lo scalone che c'era in fondo come un fantasma e voltai a destra verso le cappelle di famiglia.

Arrivai a metà del percorso e lì mi fermai di fronte ad una costruzione di cemento esagonale.

Alzai gli occhi verso il cielo d'un tratto buio. Nuvole nere correvano veloci sovrapponendosi.

Ero arrivato.

Aprii la porta a vetro accostata ed entrai.

Sul rivestimento di granito grigio scuro in basso spiccava dorata una scritta accanto ad una lucina accesa e ad un mazzo di fiori:

Viola Ranieri 1968 – 2008

Guardai la sua immagine nell'ovale che mi sorrideva come sempre e mi inginocchiai. Con una mano la sfiorai portandomela alle labbra nell'illusione di baciare lei.

"Ciao, mamma"

I suoi occhi chiari parvero rispondermi.

Mi tolsi dalle spalle lo zaino e lo posai a terra.

Aprii la cerniera e ne tirai fuori una margherita. Erano le sue preferite...

La sistemai tra i crisantemi bianchi finti senza profumo e recuperai quella appassita che le avevo portato giorni addietro.

Quindi mi sedetti accanto a lei, poggiando la schiena alla fredda parete.

Mia madre era dietro quel marmo, a fianco a me.

Presi una bottiglia di birra e l'aprii.

"Alla tua!" feci sollevandola in alto.

Senza pensarci troppo la portai alla bocca e ne ingurgitai una sorsata.

Ancora tu...Where stories live. Discover now