Capitolo 39

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1 dicembre 1979

MARLENE POV

Non ho ancora aperto gli occhi ma ho lo stomaco decisamente sottosopra; l'odore che penetra le mie narici è terribile e mi porta istintivamente ad evitare di respirare con il naso e a schiudere le labbra per farvi entrare l'aria.

Sembra odore di muffa.

Man mano che riprendo il controllo del mio corpo mi rendo conto di essere sudata. La schiena mi fa male, di sicuro non sono stesa nel comodo materasso di casa mia ma su una superficie piuttosto dura. Eppure questo dolore alla schiena è nulla rispetto alla fitta che mi colpisce all'addome.

Soffoco un rantolo di dolore, mentre immagini confuse si ripropongono alla mia mente ancora non del tutto vigile; lampi di luce rossa e verde schizzano davanti ai miei occhi come schegge impazzite e un vago senso di angoscia mi fa accelerare il respiro, che di tanto in tanto sono costretta a trattenere a causa delle fitte all'addome.

Cosa è successo? Dove mi trovo?

Spalanco gli occhi d'istinto e provo una sensazione di sollievo nel rendermi conto che l'ambiente attorno a me è per la maggior parte avvolto nell'oscurità, se non fosse per la flebile luce di una fiaccola in lontananza che mi permette di distinguere pareti e un soffitto di pietra. La stanza attorno a me sembra spoglia ed immagino sia anche piuttosto fredda, dato che sento sul mio corpo il peso di coperte che pensavo fossero utilizzate solo in paesi di montagna.

Forse mi trovo davvero in un paese di montagna.

Vorrei potermi alzare e capire dove sono finita ma non credo sia una buona idea, considerati i dolori che mi tormentano in modo incessante.

Cerco di scavare nella mia mente alla ricerca di immagini che mi possano suggerire cosa mi sia accaduto. Ricordo perfettamente di essere arrivata alla Tana con mamma, papà e Ethan, di averla trovata popolata di mangiamorte e di aver iniziato subito a combattere. Ricordo di aver notato Sirius unirsi alla battaglia. Ricordo di aver provato un moto di stizza nell'essermi trovata di fronte Gideon e di essere stata subito dopo travolta da un'ondata di compassione nel vederlo disperato accanto a suo fratello in gravi condizioni. Ricordo che ci siamo parlati e poi separati perché lui doveva portare Fabian al San Mungo. Ricordo di essermi spostata dal punto in cui lui si era smaterializzato per cercare di aiutare qualcun altro, ma non ho memoria di chi, né di cosa possa essere accaduto dopo.

Questa estenuante ricerca nei meandri della mia mente mi impegna così tanto che, dopo un tempo che non saprei quantificare, le mie palpebre iniziano a diventare pesanti al punto che non riesco più a tenerle aperte. Ho gli occhi socchiusi, pronta ormai a lasciarmi andare all'oblio che precede il sonno, quando qualcosa sembra attraversare il mio campo visivo.

"Ti sei svegliata".

A pronunciare queste parole è la voce di un uomo. Una voce profonda, che non riconosco. Una voce imperiosa, che credo appartenga a qualcuno abituato a dare ordini. Una voce atona, che non tradisce nessuna emozione. Ha semplicemente constatato che io mi sia svegliata, non ne ha gioito né ne è rimasto sorpreso o sollevato. Non so se voglio sapere chi è quest'uomo, forse mi ha fatto del male, forse mi tiene prigioniera. Forse è per colpa sua che la schiena e soprattutto l'addome mi fanno male da impazzire.

Eppure la curiosità è troppa e mi costringe ad aprire di nuovo gli occhi ed osservare con attenzione e sgomento il viso conosciuto apparso a pochi centimetri di distanza dal mio. Così vicino che posso sentire il suo respiro caldo fare il solletico alla mia pelle.

"Tu... sei..."

"Sssshhh". Un dito lungo e affusolato si appoggia perpendicolare alle mie labbra. "Non devi affaticarti, è già un miracolo che tu sia ancora viva". Non lo dice come se ne fosse contento, e posso ben immaginare che non lo sia, considerato di chi si tratta.

Why don't we rewrite the stars?Where stories live. Discover now