4. Accordi con il Diavolo

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Le sue gambe correvano veloci in un labirinto di vetro.
Come un uccello in trappola, continuava spedita senza mai fermarsi, e mai avrebbe pensato di essere così agile nel volare.
Ma una voce continuava a richiamarla e a spezzare il silenzio oltre che sgretolava ogni suo muro interiore, era una voce lontana e indistinta, ma una parte di lei parve riconoscerla.
Voltandosi indietro per vedere da chi provenisse, andò a sbattere contro uno specchio e tutta la superficie crepò sotto all'impatto, il vetro intorno a lei si frantumò in mille pezzi mentre tutto il labirinto vibrò sotto al suono disperato di quella voce.
Qualcosa dentro di lei si incrinò ...

Skye si svegliò di soprassalto con mani tremanti, si scostò una ciocca umida dalla fronte sudata.
Ci mise tempo a realizzare dov'era. Le pareti avorio, i quadri sparsi su tre lati, la porta del bagno socchiusa poi vi era un piccolo pezzo di vetro che luccicava sul pavimento dall'altra parte della camera, chiunque avesse ripulito la sua stanza il giorno precedente l'aveva dimenticato.
Il vetro era cosi dopotutto, quando si rompeva, a volte si impiegavano settimane per raccoglierne i pezzi e nonostante si era convinti di essere riusciti a ritrovarli tutti, non era mai cosi. C'era sempre un qualche pezzo mancante.
La comodità del letto in cui era, stonava con la scrivania su cui aveva dormito qualche notte precedente con Saleem, sembrava passata un'eternità da allora.
Quella, probabilmente, sarebbe stata la loro ultima notte insieme e dimenticarsi il calore del suo corpo le era a quanto impossibile in quel momento in cui annaspava per la sua mancanza.
Se non riusciva a dormire in quel letto così grande, fra morbidezza e lenzuola pulite, probabilmente era la fine per lei, probabilmente sarebbe solo riuscita ad ottenere un aspetto degno di uno zombie se continuava in quel modo a svegliarsi dopo solo poche ore di sonno.
Si asciugò con il dorso una goccia di sudore che calava dalla tempia, ripensò a ciò che aveva appena sognato, realizzando che quello non era stato solo un incubo, per lei era davvero successo.
Era scappata via dal Villaggio, tradendo la fiducia di tutti i suoi compagni, compreso Saleem.
Era salita su un veicolo praticamente in corsa ed era andata via, ritrovandosi poco dopo lì, nelle mura del suo più acerrimo nemico. Ma la cosa che più la nauseava era che lui non la trattava da prigioniera, né sembrava aver intenzione di giustiziarla in qualche modo, sembrava trattarla come un ospite e questo la mandava in bestia.
Icaro era lì, distante solo qualche passo dalla sua camera. E non aveva idea di come poterlo uccidere con tutti i soldati che presidiavano la tenuta.

Skye si guardò intorno grazie alla luce soffusa lasciata sul comodino, non aveva finestre né in camera né in bagno, quindi le era impossibile capire che ore fossero. Si chiese come sarebbe stata l'alba in quell'angolo di mondo, e soprattutto quando e se l'avrebbe mai rivista.
Di Ginevra non vi era nessuna traccia. E chissà se le guardie...
Scese dal letto in punta di piedi, cercando di essere più silenziosa possibile, provò ad aprire la porta della sua camera per sbirciare in corridoio.
Come previsto, le guardie non si erano mosse di un millimetro, erano di fronte a lei appoggiate al muro, l'unica differenza erano i due uomini, diversi da quelli che l'avevano portata lì nel blindato.
Fece dietro front e si rimise sdraiata a letto senza alcuna energia, rimanendo a fissare il soffitto per ore. Quando fu troppo annoiata per guardarlo, si sforzò di osservare meglio gli affreschi che incorniciavano anche le pareti.
Qualcuno bussò piano sul mogano della porta, il cuore le si strinse al pensiero che potesse essere Icaro o addirittura Maicol, ma si tranquillizzò appena intravide i capelli castani di Ginevra portati nel suo solito chignon rigido.
Entrò nella stanza e le rivolse un sorriso cordiale. «Buongiorno, signorina» Skye non rispose mentre vedeva la sua figura avvicinarsi all'armadio che aprì subito dopo, iniziando a scegliere cosa le avrebbe fatto indossare tra quei merletti e gonne a tulle.
«Il Signore l'attende per fare colazione» la informò, invitandola a scendere dal letto, ma lei non si mosse di un millimetro, strinse solo le lenzuola in un pugno.
Sarebbe dunque stata quella la sua vita da quel momento in poi? limitarsi a fare compagnia ad un bastardo manipolatore.
«Signorina» non si rese conto che Ginevra si era avvicinata e che l'attendeva al capezzale, fra le mani aveva un abito viola scuro, le dedicò un rapido sorriso compassionevole.
«Ha bisogno di un bagno caldo forse?» domandò notando le macchie di sudore sulla sua camicia da notte, annuì flebile e pochi dopo minuti ebbe il piacere di gettare il capo nell'acqua calda della vasca da bagno. Lì, sott'acqua, Skye desiderò per un momento di non risalire più a galla. Poi pensò alla sua gente, alla sua squadra... e si costrinse a riemergere fuori riluttante.
Era giunta nella stessa dimora di Icaro soltanto per aver l'opportunità di ucciderlo, se non fosse riuscita in quell'impresa, nulla più avrebbe avuto senso.
Quando risalì del tutto a galla, Ginevra era ai piedi dell'uscio, e la guardava preoccupata come se fosse stata indecisa per tutto il tempo se aiutarla a rialzare la testa dall'acqua o no. Tutti in quel posto sapevano che Skye era un'intrusa pronta a farli fuori appena ne avesse avuta la possibilità, per questo quando uscì dalla vasca, raddrizzò la schiena, dimostrando il soldato che aveva imparato ad essere e scacciando per qualche momento quel dolore lancinante. Si fece vestire senza proferire parola e poi andarono nel soggiorno, dove due vassoi fumanti l'attendevano già sul tavolino posto tra i due sofà.
Victor, Ginevra e quella che suppose fosse Raya, una signora di mezza età dall'aspetto austero e intimidatorio con qualche ciocca di capelli bianchi, li attendevano fuori la sala, assieme ad una decina di soldati sparsi ovunque, solo allora notò che avevano divise diverse rispetto ad altri.
Icaro invece, vestiva un nuovo completo nero e cucito perfettamente per lui, l'attendeva sul divano con una tazza fumante fra le dita, intento a leggere un manoscritto che sembrava assopirlo per metà.
Di Maicol per sua fortuna non c'era l'ombra. Si accomodò sull'altro divano, e guardò il vassoio.
Icaro non la salutò, le ordinò solo con un gesto della mano di prendere tutto ciò che desiderava mangiare.
Torte, frutta fresca e pasticcini riempivano piattini decorati e dipinti a mano, mentre sia caffè, che tè e quella che suppose fosse una spremuta d'arancia erano stati serviti in tazzine di porcellana o in bicchieri alti di cristallo.
Non toccò nulla, immerse lo sguardo fuori dalla finestra ammirando finalmente il cielo mattutino.
«Mi dispiace per ieri, la visita di Maicol non era in programma» aveva altre ragioni per cui scusarsi, ma sorvolò. «Dov'è ora?» distolse per un attimo lo sguardo dal manoscritto, e lo fece scivolare su di lei velenoso come un cobra. «È andato via all'alba» informò posando il libro sul divano e avvicinandosi un piattino che iniziò a riempire di cibo aiutandosi con una piccola pinza per dolci che mosse con maestria.
«Chi è?» aveva indubbiamente notato quanto Icaro sembrava essere irrigidito dalla sua presenza, Maicol sembrava incutere timore a chiunque lo incontrasse e anche su di lei aveva avuto lo stesso effetto. «Nessuno di cui tu ora debba preoccuparti ulteriormente, non ora perlomeno» si leccò le dita quando esse vennero unte dalla panna fresca di un muffin che sembrava particolarmente appetitoso con la sua forma perfetta.
«Sto mantenendo fede al nostro patto» proruppe, gli occhi verdi scintillarono sotto al riflesso della ceramica bianca «Ti chiedo soltanto di mangiare, sembra uno scambio equo» si protese verso di lei per posarle il piattino appena riempito sul grembo, l'altra mano era ancora intenta a togliersi la panna dalle dita. «Mangia» la incitò ancora, per poi tornarsene seduto e accavallare le gambe mentre una sua mano tornò sul dorso rigido del libro, sembrò accarezzarlo come se fosse un gesto rassicurante.
«Come faccio a sapere che quello che affermi sia vero?» domandò a bruciapelo, ignorando completamente il piattino. La guardò sorpreso, come se l'avesse appena trapassato con una lama. «Non mi credi?» sussurrò sorpreso «Ho mantenuto il patto ancora prima che tu accettassi di venire qui e lo sai» gesticolò mostrandole tutta la stanza, seguì con lo sguardo le sue dita fermandosi sull'anello che a quanto pare portava sempre al dito, ritraeva un'aquila incastonata dalle grandi ali e gli occhi incisi. «Ho soldati ovunque. Credi che non vi abbia visto attraversare il deserto? e non sapessi dove eravate diretti?» si avvicinò di più verso di lei, appoggiando entrambe le mani all'estremità del tavolino che quasi scricchiolò sotto al suo peso. «Se siete giunti in quella base, è perché l'ho desiderato anche io. Ho lasciato lì i vecchi equipaggiamenti soltanto perché non vi temo» mormorò pacato nonostante avesse la sensazione che stesse contenendo con tutte le sue forze una rabbia crescente, di nuovo una scia di brividi la pervase quando la guardava in quel modo cagnesco. Strinse il piattino fra le dita sottili.
«E proprio perché io non li temo, proseguo con altri miei obiettivi. Saranno gli ultimi a cui i miei soldati torceranno un capello, su questo ci puoi contare» ancora prima di riflettere su ciò che stava per fare, il rumore del vetro infranto riecheggiò nella stanza in un tonfo stridulo.
Il vestito nero di Icaro fu macchiato da glasse e panna provenienti dai pasticcini che erano volati via dal piatto che aveva appena tentato di gettargli in faccia, ma lui si era spostato di lato giusto in tempo, come se si aspettasse esattamente una reazione simile da lei. Il rumore dei resti del piattino che oscillavano sul pavimento era l'unica cosa udibile nei secondi successivi allo schianto.
All'ennesima affronto, non rispose, si limitò a scrollarsi di dosso il cibo e a riprendere il suo libro con velocità, prima di lasciare la stanza con grandi falcate, come se fosse stato meglio sfogare la sua rabbia altrove che su di lei.
Raya entrò in silenzio, riservandole uno sguardo torvo e indispettito, prima di raccogliere i cocci caduti verso la finestra.
Si alzò anche lei, avvicinandosi ad essa finché il naso non toccò la superfice fredda. Poteva soltanto vedere la ghiaia e la chioma verde degli alberi che incorniciavano tutta la tenuta e il cancello in ferro battuto che aveva visto sembrò parecchio lontano. Sospirò creando una nuvoletta sul vetro.
Sentì i passi leggeri e innocui di Ginevra dietro alle sue spalle.
«Signorina...Icaro mantiene sempre la sua parola, lo sappiamo tutti qui» non aveva altre speranze a cui aggrapparsi, quindi gli credette, si voltò lentamente verso la ragazza che sobbalzò a quel movimento, e si chiese quanto poteva sembrarle violenta come persona.
D'un tratto era esausta, erano più di ventiquattro ore che non toccava cibo, ed aveva dannatamente sonno. Chiese a Ginevra di riportarla in camera e una volta giunta lì, silenziosa si accasciò su letto e si spense ancora una volta, sperando che nessun incubo la raggiungesse almeno per qualche ora buona.
Si risvegliò con le palpebre troppo pesanti e la testa che le vorticava come un uragano, si sforzò di riaprire gli occhi e svegliarsi completamente quando vide Ginevra su una poltrona accanto al suo letto.
«Signorina» mormorò dolcemente vedendola con gli occhi aperti, si avvicinò e le toccò la fronte. «Ha dormito tutta la mattinata e il pomeriggio» guardò oltre il capezzale per averne conferma, e ricordò che non vi erano finestre su cui poteva vedere il cielo nella sua stanza.
Aveva vissuto mesi nel Villaggio sottoterra, doveva esserne abituata, e alla base era riuscita a collezionare la visione di tantissime albe, eppure non riusciva a tollerare ancora quella sensazione opprimente che le regalava una stanza buia. Scoprì cosi che la luce artificiale la odiava da morire.
«C-che ore sono?» chiese con la voce ancora rauca e assetata, la donna le passò un bicchiere d'acqua dal comodino.
«È quasi ora di cena» bevve lentamente e ripassò indietro il bicchiere, che venne ricolmato grazie ad una brocca.
«Il Signore è stato assente tutto il giorno, ci ha informati di lasciarla fare tutto ciò che desiderava, per questo non l'abbiamo svegliata» dubitava che potesse realmente fare tutto ciò che voleva, ma per l'ennesima volta, sorvolò.
«Ha la forza di cambiarsi?» si sorprese, quanto scarna e pallida le sembrava per farle una domanda simile?
«Icaro è tornato?» si alzò, andò nel bagno e Ginevra la seguì.
«Sì, pochi minuti fa» si guardò nello specchio nuovo, a quanto pare era stato cambiato dopo che aveva distrutto il precedente.
Il suo aspetto ammetteva non essere dei migliori.
«Bene» andò spedita verso la porta, e appena entrò nel corridoio, sentì i passi di Ginevra e le due guardie subito alle calcagna, probabilmente non sarebbe più riuscita a prendere neanche una boccata d'aria da sola.
Scese le scale ed entrò in sala da pranzo, era già allestita anche se Icaro non c'era.
Andò nel salotto, ma anch'esso era vuoto.
Dov'era?
Proprio in quel momento, il cancello si aprì, ed Icaro entrò nell'atrio.
Quando la vide, i suoi tratti duri si rilassarono appena.
«Skye» mormorò sfilandosi degli stivali da cavallo.
Guardò quel dettaglio minuziosa prima di concentrarsi su altro.
«Vieni» la intimò, incamminandosi verso la sala da pranzo soltanto con le calze.
«Dov'eri?» ruggì, ma lui non rispose, trafficò con qualcosa nella sua giacca, poi le fece cenno di sedersi.
Obbedì solo perché le gambe già le bruciarono per il semplice sforzo di aver camminato.
«Apri» le porse una busta quadrata legata con una corda, l'afferrò e la guardò dubbiosa prima di sfilarne il contenuto, quasi le andò di traverso la sua stessa saliva rischiando di strozzarsi quando esaminò cos'era.
«No» un respiro mozzato ed incredulo le sfuggì mentre accarezzava con un indice tre foto, la superficie era liscia e profumava ancora di inchiostro fresco di stampa.
«Questa è la prova che cercavi» disse, facendo poi cenno a Victor di avvicinarsi con le pietanze della cena.
«Come vedi tengo fede alla mia parola, su questo puoi essere certa» si accomodò sulla sua sedia nell'altra estremità, e mentre un piatto fumante di zuppa venne appoggiato a pochi centimetri da lei, continuò ad ammirare ammaliata quegli scatti.
Erano Finn e Joseph sul furgoncino, dall'angolazione della ripresa era impossibile capire se ci fossero anche gli altri su di esso, ma loro erano ben visibili e soprattutto sembravano star davvero bene.
Negli altri due scatti erano raffigurati da lontano altri membri del Villaggio durante gli addestramenti, era impossibile distinguere chi fossero, ma stavano tutti di fronte ad un soldato, dalla stazza poteva essere George, ma non ne era sicura.
Fece uno schiocco con le dita che la fece rinsanire, mentre uno dei suoi uomini apparve al suo fianco e le prese tra le mani le tre fotografie.
«Ora che hai ricevuto le prove, mangia» dettò, sistemando meglio un tovagliolo bianco sulle gambe.
Guardò l'uomo portare via le foto, la informò subito che le avrebbe ritrovate in camera sua a fine del pasto, lo ringraziò mentalmente per quella informazione perché aveva timore di sembrare patetica se gliel'avesse chiesto con voce colma di emozione.
Si rivoltò verso Icaro.
«Non mi piace stare qui» lo avvisò e lui annuì per niente sconvolto da quella rivelazione.
«Lo so» rispose per niente scomposto.
«Allora mi spieghi cosa ci faccio in questa casa?» ringhiò a bassa voce.
I suoi occhi verdi volarono nei suoi con un'intensità allarmante «Un patto è un patto. Desidero non ritornare più su quest'argomento» sbruffò spazientita, poi strinse la tovaglia fra le dita.
«La tregua... voglio che duri almeno un anno allora» dettò sotto al suo sguardo vigile. Icaro sembrò rifletterci seriamente, prima di scuotere la testa.
«2 mesi» replicò lui
«9» contrattò con un nodo alla gola difficile da reprimere.
Lui sospirò sonoramente.
«3» rispose in modo tagliente
«8»
«3» ripeté inflessibile.
Ci fu un attimo di silenzio, capì che non sarebbe sceso a compromessi e sperò vivamente che in tre mesi Saleem e gli altri sarebbero riusciti ad attraversare tutto il deserto e le città per mettersi in salvo.
«Va bene. E vorrei anche meno uomini intorno» propose, dando un veloce sguardo a tutti i soldati fuori da quella sala.
«Si può fare, ma sarai comunque sempre controllata, non sono un idiota» non pensava che sarebbe sceso a patti anche su quello, quindi afferrò una posata e girò il liquido denso della zuppa.
«Voglio uscire all'esterno, e se proprio devi fare di me una prigioniera, preferisco che tu mi uccida subito» le costò fatica dire quelle parole, ma sentì un grande peso alleggerirsi.
«Skye, smettila. Non voglio ucciderti, pensavo ti fosse chiaro questo» commentò aspro e offeso, ma tenerla rinchiusa equivaleva a farlo, era questo che lui non capiva.
«Va bene, potrai uscire a patto che i soldati a te assegnati saranno con te e che ti limiterai a stare nei giardini della tenuta, sono molto grandi e se desideri ci sono molte attività da fare. Se hai qualche hobby, comunicamelo che provvederò subito a fartelo fare» la voce gli si addolcì appena. 
«Ogni tentativo adi fuga, sarà inutile, lo sai vero?» aggiunse mentre lei creava un vortice nel suo piatto e lo fissava ammutolita.
«Inoltre» evitò di rispondere alla sua domanda e continuò con le sue richieste.
«Desidero una camera con le finestre» quando alzò lo sguardo verso di lui, notò che la stava fissando attentamente, i suoi occhi nascondevano qualcosa al suo interno.
Quello sguardo la mise a disagio, si spostò sulla sedia da una parte all'altra, chiedendosi se avesse percepito la sensazione di claustrofobia che la prendeva quando era in uno spazio chiuso.
«Si può fare» si arrese infine, indicandole ancora una volta il suo piatto.
«Ora mangia, prima che si raffreddi» suggerì e suo malgrado, ne prese una cucchiaiata.
Era da tempo che non mangiava cibi cosi sofisticati, al primo assaggio, non riuscì a contenere i borborigmi del suo stomaco.
Arrossì dall'imbarazzo.
«Un'ultima cosa» disse, prima di continuare a divorare quella zuppa squisita, Icaro alzò ancora una volta lo sguardo su di lei, attendendo che continuasse.
«Nell'armadio voglio dei pantaloni» precisò, prima di sentirlo ridere, e questa volta fu vano il tentativo di coprire le sue labbra incurvate con il pugno della sua mano.
Alzò un sopracciglio «Lo trovi divertente?» non lo credeva possibile, ma la sua voglia di strozzarlo aumentò smisurata.
Lui si ricompose in fretta, continuando a scuotere la testa divertito.
«Certo Skye, è divertente che fra le tue richieste ci sia anche questa, ma chi sono io per privare ad una donna dei suoi pantaloni» ridacchiò ancora mentre iniziò anche lui a nutrirsi, lei lo imitò, fantasticando per tutta la cena di ucciderlo in una miriade di modi diversi.

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