13.

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«Che succede?»

Avevamo fatto accomodare i due agenti sul divano, accompagnati da una tazza di tè freddo e qualche biscotto al cioccolato. Mi ringraziarono gentilmente, per riporre lo sguardo verso il diretto interessato.

La pioggia batteva ancora e rumorosamente senza interrompersi, ogni goccia che pendeva fuori dalla finestra era una possibilità in più per scappare.

Tra gli sguardi che si scambiavano gli agenti tra loro e l'espressione immutabile di Gideon, io pregavo solamente che sua madre non tornasse prima di pranzo, o che in un modo o nell'altro fosse caduta in un contrattempo che l'avrebbe obbligata ad attendere.

«Nilde, se vuoi andare a fare un giro mentre noi facciamo una chiacchierata tranquilla, non farti problemi» mi disse Carey, l'agente più alto e uno dei più bravi a mantenere viva la conversazione.

Rispetto all'ultima volta che l'avevo visto, aveva delle rughe che gli segnavano gli zigomi, nonostante fosse un uomo sulla quarantina d'anni e sembrava tutto fuorché vecchio.

I capelli erano castani con delle sfumature di marrone scuro tirati all'indietro, così da spalmargli quell'atteggiamento di autorità e di potere che sperava di avere, e ci riusciva, nei riguardi dei latenti imputati.

«Lei resta qui» ringhiò Gideon, che aveva gli occhi sparati nel vuoto. Attorcigliava le dita delle mani, un evidente comportamento di frustrazione e ostilità.

«Prima ti siedi, poi ci occuperemo del resto. Abbiamo tanto di cui parlare» portò il bordo della tazzina tra le labbra, e ingoiò un abbondante quantità.

«No, posso benissimo stare qui» sputò acido, incollato con la schiena alla colonna della libreria del salone. Era in uno stato di evidente agitazione, mescolata tra la rabbia e il dolore.

Mi sentivo un po' di troppo, visto che i due uomini mi stavano squadrando e con un movimento impercettibile trasmesso dagli occhi, immaginavo che se non avessi messo piede fuori casa, mi avrebbero sbattuto tra le sbarre, con una qualsiasi scusa.

Una presa ferrea mi bloccò il braccio, e mi bastò osservare il suo sguardo per capire che mi stesse implorando. Le sue pupille si muovevano a destra e a sinistra, seguivo ogni suo atto e per un attimo mi sentii incantata tra le sue iridi.

«Resta», mi disse con le labbra che tremavano «resta con me» la sua presa si ammorbidì, e con i piedi che non si reggevano in piedi e una scarica di brividi passò sulla mia colonna vertebrale.

«Gideon...» gli dissi solo, ma in tutta la verità volevo confessargli che doveva stare da solo, dovevo dargli la possibilità di parlare senza la mia costante presenza al suo fianco. Non volevo che cercasse degli escamotage per ripiegare la realtà di come le cose erano andate.

«Ho bisogno di te» mi sussurò come se fosse un segreto al quale nessuno doveva essere a conoscenza. Non mi aveva mai parlato in quel modo, non mi aveva mai guardato come faceva ora, ma soprattutto i suoi occhi comunicavano più di qualsiasi altra cosa al mondo.

I due agenti notevolmente stufi dalla situazione imbarazzante che si era creata tra noi, fecero schiarire la loro voce per farsi accorgere, e sopra ogni cosa erano loro che dovevano far sentire noi in soggezione e non il contrario.

«Può restare anche la ragazza, basta che la smettiate di flirtare come dei ragazzini in piena crisi ormonale»

Senza fiatare, Gideon mi sorrise e io, non sapendo cosa fare feci lo stesso. Ci sedemmo entrambi sul divano e aspettammo che l'assistente di Carey prendesse il suo blocco di appunti per annotare qualche rivelazione importante o scioccante, forse desideravo più per la prima che per la seconda.

Be RebornWhere stories live. Discover now