(Canzone consigliata: Daylight - David Kushner).
Nerissa.
Il tempo stava crollando.
O, almeno, era quello che pensavo.
E non riuscivo a smettere di pensare a un passaggio preciso de "L'arte della Guerra", l'unico libro che mi era stato permesso leggere e lo stesso che mi aveva insegnato a non essere impulsiva.
L'impulsività molto spesso non porta a nulla, se non a generare altro caos.
"Il cielo comprende ying e yang, freddo e caldo, il susseguirsi delle stagioni.
Seguirlo o opporvisi determina la vittoria militare"
Io non stavo seguendo il cielo, né tantomeno mi stavo opponendo a lui. Non mi era permesso vederlo, non c'erano finestre e né un orologio che potesse indicarmi lo scorrere dei secondi.
Non sapevo da quanto tempo ero legata a quel muro di cemento, non sapevo da quanto quelle catene di ferro mi stessero ferendo i polsi e né da quanto le spalle si erano quasi atrofizzate per il dolore di quella posizione scomoda.
Non sapevo dov'ero.
E non sapevo se Ethan stesse bene.
Non avevo ancora nessuna risposta alle domande che mi erano sorte mentre cercavo di fare terra bruciata intorno a mio padre. Perché stava perdendo tutto? Un uomo come lui non avrebbe permesso che qualcuno toccasse le sue proprietà o la sua notorietà.
Non avrebbe mai permesso con tanta facilità e indifferenza che qualcuno facesse fuori la maggior parte delle persone sedute al suo tavolo.
E, a detta di Killian, il piano di uccidermi era stato ideato con il mio ritorno a Las Vegas. Da questo potevo dedurre che non mi trovavo in un cazzo di seminterrato, in cui perfino pisciare era un'impresa titanica, perché l'avevo fatto incazzare.
I conti non tornavano.
E le domande erano troppe.
Ero riuscita ad allentare un po' la presa sul muro. Quindi, ero anche riuscita a sedermi e poggiare la mia schiena stanca a quella parete fredda.
Mi facevano male le ossa, l'umidità mi stava mangiando i muscoli. Complice anche il fatto che stessi bevendo e mangiando lo stretto necessario per la sopravvivenza. E ad ogni sorso o boccone che avevo mandato giù, mentre Killian mi guardava come se fossi un miracolo, pensavo a tutti i svariati modi in cui avrei potuto farlo soffrire.
E tanto.
Volevo che supplicasse.
Non mi sarei fermata nemmeno in quel caso, ma la soddisfazione di vederlo inerme sarebbe stato un balsamo del tutto meritato per i miei occhi.
Mi sentivo sporca.
Avevo bisogno di una doccia e di un cazzo di spazzolino.
Stava usando qualsiasi metodo di nostra conoscenza per indurmi a cedere. Non mi stava torturando fisicamente, ma psicologicamente.
E, nonostante lo sapessi, mi sentivo davvero sull'orlo di una crisi d'identità.
Non sapevo nemmeno da quanto tempo non mi guardavo allo specchio. E la mia stanchezza non mi stava aiutando a rimanere lucida.
Ogni secondo che passava sentivo la mia mente crollare su sé stessa, troppo stanca per sopportare qualsiasi cosa. Ero arrivata a pensare che tutte le volte in cui sentivo i passi di Killian scendere da quella scala malandata, era sinonimo che non sarei stata sola con i miei pensieri.

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Silence & Noise
RomanceCONTIENE CONTENUTI ESPLICITI E NON ADATTI A SOGGETTI MINORENNI. L'OPERA IN QUESTIONE È UN DARK ROMANCE, QUINDI VI INVITO A PROCEDERE CON CAUTELA. IN QUANTO ALCUNI CONTENUTI POTREBBERO URTARE LA SENSIBILITÀ DEL LETTORE. "Il Diamante Grezzo". Una ra...