2.Parte 2

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Sottomettersi a mio padre non deve essere stato semplice per lei, era così geloso della mamma, che nessuno poteva guardarla se non lui, e coprendosi interamente sarebbe passata inosservata agli occhi degli altri...per fortuna con noi figli, a casa, poteva spogliarsi di quell'orribile abito che non le dava un'identità e anche in presenza di sole donne. A questo matrimonio ha provato ad apporsi, papà non le piaceva affatto, era un consanguineo e per giunta, aveva già un'altra moglie e tre figli maschi, ma in questo paese agli uomini é permesso avere più di una moglie, quelle che riesce a mantenere con il suo sostentamento. Da queste parti, la donna non viene vista come un essere umano alla pari di un uomo, ma è trattata come un oggetto sotto il suo dominio. Il mio essere ribelle inizia proprio da qui, dell'imposizione di regole e leggi assurde, facendoti credere che agiscono in questo modo per il bene della donna, perché questo insegna la religione islamica, ma per me sono solo fanatici estremisti...
Ovviamente non tutti gli uomini musulmani sono come mio padre. La maggiorparte dei musulmani sono umili e per bene, che rispettano la donna come un essere speciale. Tuttavia alcuni, hanno deciso di seguire un'altra linea, quella terroristica e radicale e fanno parte di un regime "assoluto" che và oltre la religione. Purtroppo questa fetta di uomini fa molto rumore.

All'età di nove anni dovetti già imparare a indossare il velo, perché iniziavo ad avere piccole forme, il mio corpo di bambina andava pian piano crescendo e dovevo nascondere questa crescita per non creare piacere alla vista dell'uomo. Non mi era permesso uscire, fare anche una passeggiata sotto casa intorno al condominio, sarebbe stato per mio padre qualcosa di imperdonabile e un disonore molto grande. Andare a scuola non mi era neanche permesso ed io, lo volevo più di ogni altra cosa, ma papà, era convinto che la conoscenza fosse un peccato, credeva che potesse nuocermi, e farmi fare scelte diverse da quelle che lui aveva in serbo per me...

Ho imparato a leggere e a scrivere grazie alla mamma, che in assenza di papà, mi dava lezioni in privato e per tutto il tempo dovetti fingere di non saperlo fare, finché un giorno, tornando presto dal lavoro, ci beccò nascoste in uno stanzino, che usavamo per conservare vestiti che non ci andavano più. Si accanì con molta violenza sulla mamma, causandole ecchimosi molto estese, su tutto il suo esile corpo. In seguito ovviamente toccò a me la stessa sorte, mi rimproverava di essere troppo curiosa, voleva tenermi nell'ombra e nascondermi il mondo sotto gli occhi, un mondo che comunque esisteva, era là fuori e meritava di essere conosciuto. Le lacrime solcarono il volto della mamma, ma non penso fossero quelle a causarle del male, piuttosto le ferite incise e cucite nel suo cuore, quelle invisibili, che nessuno poteva vedere, ma che erano vive e graffiavano nel profondo la sua anima, fragile come un cristallo...

Nonostante tutta questa violenza fisica e psicologica, continuavo a sognare e sperare che qualcosa in qualche modo potesse cambiare, non solo per noi ma per tutte quelle donne che vivevano e vivono la nostra condizione, e speravo con tutto il cuore che un giorno le donne avrebbero potuto andare a scuola, vivere la vita che desideravano vivere, spogliarsi di quello scempio che nasconde il nostro essere donne e bellissime tutte...

Le mie giornate erano diventate sempre più monotone, aiutavo la mamma con le faccende di casa, lavavo i vestiti, pulivo, cucinavo, ho dovuto imparare sin da bambina perché non mi era permesso neanche giocare. Molte volte sorprendevo la mamma a piangere di nascosto, e anche se in quel momento non era successo nulla, credo che pensasse e ripensasse alla vita che le era toccata, e cercavo di rassicurarla, di farle capire che ero lì pronta ad ascoltarla. Il nostro era un rapporto molto bello, io l'amavo e lei mi amava molto di più...
Man mano che crescevo, nacquero i miei fratellini, ero molto contenta, volevo occuparmi di loro come faceva la mamma con me...ma non mi era concesso, perché essendo maschi e quindi diversi da me, della loro educazione doveva occuparsene soltanto papà e quindi non potevo neanche giocarci, me li allontanava, non so perché lo facesse, forse voleva annullarmi, distruggermi, io però non ero accondiscendente, lo facevo dannare, cercavo sempre uno scontro, altrimenti avrebbe avuto vita semplice e non lo meritava.

Casa nostra era un appartamento nella media, posto al terzo piano di un alto edificio, composto da tre camere da letto, io dormivo nella stanza più piccola perché unica femmina e, i miei cinque fratelli tutti insieme, in una stanza bella grande ma a starci in cinque non era molto vivibile. La mia stanza aveva un lucernario e io di notte non dormivo quasi mai, avevo posizionato il letto sotto quella finestrella, ammiravo le stelle, osservavo l'universo e sognavo... cercavo di immergermi in quell'immensità di cielo...ritagliandomi sporadici attimi di felicità...

Iris - Storia Di Un FemminicidioWhere stories live. Discover now