Capitolo 2

15 2 0
                                    

Erika era di nuovo in quel luogo grigio e freddo, seduta su una sedia. Ripensò a prima di tutto quello. Sua madre non era ancora bruciata viva, la valle risplendeva fuori dalle sue finestre, l'unica preoccupazione era di finire i compiti in tempo. Ora finiva davanti a una scrivania a parlare con un poliziotto. L'agente entrò nella stanza. Ormai era ogni settimana la stessa storia.
— Cosa hai combinato questa volta, Eri?
— Niente.
— Non è possibile, se sei-
— Su serio, non ho fatto nulla.
Jamie sospirò. — Raccontami la tua versione allora.
— Camminavo per strada e sono inciampata. Sono solo caduta addosso all'agente Brown.
L'altro, seduto davanti a lei, si grattò la nuca — Beh, in effetti è più credibile della storia in cui ti sei lanciata addosso a lui per ucciderlo soffocandolo...
— Quell'uomo mi odia.
— Già...
— E il sentimento è più che ricambiato.
— Già...
— La smetti di dire "Già"?!
— Già... No.
Erika sbuffò, poi accavallò le gambe. Jamie la guardò, poi le disse
— Va', torna a casa. C'è il coprifuoco. Sono sicuro che con Mike possa chiarire tutto, è un'accusa del tutto infondata, dopotutto...
Lei ringraziò con un cenno del capo, poi uscì dalla stanza, pensando a quello che Jamie le aveva detto. No, il collegio dove l'avevano spedita non era per nulla una casa. Attraversò il corridoio che sbucava nell'atrio e uscì in strada. Doveva tornare. Quel maledetto coprifuoco che le avevano imposto.
Da quando la avevano spedita in Irlanda del Nord - un anno ormai - era finita in troppi guai, e nessuno si fidava più di lei. Era stato tutto troppo veloce. L'incendio, l'ombra della ragazza misteriosa, il calore... No. non c'era nessuna ragazza-fantasy. Non esisteva, era solo frutto della sua immaginazione e dello stress che provava verso il calore. Gli psichiatri glielo avevano spiegato molte volte. Non aveva mai smesso di crederci, ma non poteva pensarci. Sarebbe tornata in quel luogo della sua mente, caldo e incredibilmente stretto.
Per strada faceva freddo, ma lei non se ne avvide. Era molto meglio il freddo. Quello ti solleticava, ti infastidiva un po', come il fratello minore che non aveva mai avuto, ma il calore la molestava, le si infiltrava da tutte le parti, dentro i vestiti, negli occhi, le bruciava il volto, come se volesse entrarle dentro. No, il calore non era divertente. Le aveva portato via tutto, che ragioni doveva avere per amarlo?

***

Un tuono. O almeno, credeva lo fosse. Oramai le era difficile ricordarsi come si provava una sensazione. Aspetta. Aveva sentito! Aveva pensato! Era da un po' che non provava queste sensazioni. Non sapeva nemmeno quanto, in realtà. Aveva perso la facoltà di pensare, e questo le aveva impedito di contare i giorni. O vedere dove si trovava. In effetti, non sentiva nemmeno il suo corpo. Era un mero pensiero solo e in mezzo al nulla più assoluto. Beh, forse riavere dall'Universo la facoltà di pensare e udire non era così divertente. Cosa avrebbe fatto tutto quel tempo che le restava da vivere senza il controllo sul suo corpo? Non le poteva venire il mal di testa a furia di pensare perchè non sentiva dolore, ma sarebbe impazzita a rimanere rinchiusa nel nulla per altri mille anni... magari avrebbero deciso di ridarle anche cinque sensi che le mancavano... L'udito lo aveva già, pregò con tutta se stessa di riavere presto la vista, il tatto, il gusto, l'olfatto, e il suo personale sesto senso, poter percepire le parole del fuoco, poi si lasciò condurre in giro dalla sua stessa mente, ripensando a tutto quello che aveva fatto prima di, beh, quello.
Cercò di ricordare cosa era successo l'ultima volta che i suoi sei sensi erano ancora nel suo corpo. Vedeva fiamme, sì, rabbia, e un buio che le avvolgeva le membra, un velo rosso sugli occhi, attraverso cui guardava qualcuno... chi? Non ricordava, vedeva solo una casa in fiamme al centro di una valle... la sua valle. Ecco da dove veniva, da una valle erbosa... in Italia, sì. Ebbe un sussulto. Aveva sussultato? Percepiva di nuovo il suo corpo! Era sotto terra, ma non in profondità. Sentiva l'aria passare attraverso il terriccio umido. Come ci era finita sepolta sotto un prato? Emerse dal manto che la ricopriva, sedendosi. Aprì gli occhi. Era sera, sì, ma la luce la investì comunque, non vedeva da tanto tempo, dopotutto. Un'altra sensazione conosciuta la distrasse dalla sua esaminazione. Era tornata anche quella. Perchè non sarebbe dovuta tornare? Ormai faceva parte di lei. L'ombra che aveva incatenata nel petto. Scosse la testa, cercando di non pensarci. Tornò a ciò che aveva intorno. Era in un'aiuola acanto a un marciapiede, con le gambe ancora sottoterra. Si scrutò addosso. La sua pelle candida era ricoperta di terriccio, piena di pieghe causate dal contatto, probabilmente prolungato, con le ruvidità del sottosuolo. Una figura incappucciata le passò davanti, e riconobbe in lei qualcuno. Chi accidenti era? La ragazza la superò, poi però si fermò di scatto, tornando indietro e girandosi verso di lei. Occhi verdi, a mandorla, capelli castano chiaro, corti, carnagione pallida, viso tondeggiante.
— Non è possibile... — sussurrò — L'ultima volta che ti ho vista hai sacrificato mia madre. L'anno scorso.
Erika. L'umana. Ecco chi era.

***

Si fermò. Che strano, le sembrava di aver visto un volto conosciuto. Tornò indietro. Nessuno poteva avere una pelle così pallida, o quei capelli bicolor... No. Non poteva essere lei. Non aveva gli occhi neri, bensì normali, per quanto possano essere normali occhi con l'iride giallo fluorescente. La fissò per qualche secondo. Sussurrò qualcosa, e all'altra venne un lampo, le si illuminarono gli occhi. Era in una strana posizione, con le gambe sotterrate nell'aiuola acanto al marciapiede, sporca di terriccio. Si alzò in piedi, per poi spolverarsi la lunga gonna. Era in tutto e per tutto la fantasy-girl che aveva incontrato un anno prima. Le sorrise, ma Erika sbruffò, girando i tacchi per tornare al collegio. L'altra la seguì
— Aspetta! — le gridò dietro le spalle, affrettando il passo per raggiungerla e seguendo il ritmo della sua camminata frettolosa
— Chi sei? — le rispose Erika — Cosa vuoi da me?
— Tu... — cominciò, non sapendo chiaramente come continuare. Erika si bloccò di colpo. Era arrivata. Un portone verde, sì, quel portone che avrebbe dovuto chiamare casa, senza riuscirci.
— Senti, — le disse Erika senza guardarla — io non so cosa vuoi dalla mia vita. Mi hai salvata e hai lasciato bruciare mia madre, mi hai portata qui, ora sono una delinquente a causa di quello stupido incendio che hai appiccato. Devo andare via, altrimenti mi beccherò una punizione. — prese un respiro — Per favore, non cercarmi più.
Ed entrò.

***

Le salì nel petto una rabbia incontrollata. Come si permetteva quell'eccentrica quattordicenne ad accusarla dell'ultima cosa che avrebbe mai voluto? Ciò che le aveva fatto perdere la casa, ciò che l'aveva portata a fare una scelta, esiliandosi, che l'aveva portata a morire per un anno. Ciò che le aveva tolto tutto per un anno. Uno stupido, vuoto, anno.
Si sentì bollire dentro. Si sedette su un gradino, appoggiando la testa alle mani snelle. Si accorse che aveva i piedi nudi, iniziò a sentire freddo. Era novembre, dopotutto. Una donna le passò accanto, fissandola per un lungo secondo. Chissà cosa dovevano pensare le persone a vedere una ragazza umanoide vestita in quel modo e così pallida. Sospirò, accendendo la punta del dito indice. Lasciò danzare quella fiammella per qualche secondo, per poi spegnerla al passaggio di un ragazzo. Non era facile essere la protettrice di una radura e contemporaneamente l'anima delle fiamme dell'inferno. Ora un nuovo peso le si era posato sulle spalle. La sua casa era morta e lei aveva un nuovo potere, sì, ma un potere più oscuro di un po' di fuoco: il rancore della sua terra. Una volta morta, le era caduto addosso. Tutta quell'ombra non era altro che i resti delle emozioni negative della sua radura. Della sua casa. Un bel fardello, vero? Una grossa incudine posata su un pezzo di vetro. Quel pezzo di vetro era Shulamit. Era lei.
Tornò alla sua aiuola e si sedette dietro l'acero che cresceva poco dietro la buca a forma di lei. Spalle contro corteccia. Erano fin troppe emozioni, quelle, per un nuovo primo giorno. Socchiuse gli occhi e si mise a pensare in silenzio, mentre dentro la sua anima la teneva calda. Si sarebbe risolto tutto.

Sono ancora incatenata in quella valle in fiammeTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang