Capitolo 3

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Erika sbadigliò, aveva dormito molto poco. Aveva pensato tutta la notte alla ragazza-fantasy. Non sapeva se lasciarla perdere per il resto dei suoi giorni, vivere senza pensieri (più o meno) ma senza spiegazioni su quello che era successo quella sera. O farsi spiegare come mai aveva lasciato sua madre tra le fiamme, e, soprattutto, come mai c'erano quella fiamme. Come avevano fatto ad avanzare così velocemente? Erika scacciò quei pensieri. Era sabato, era libera tutto il giorno fino alle otto circa, l'ora del coprifuoco. Uscì da quella stanza che condivideva con altre tre ragazze e scese di sotto. Entrò in cucina. Era molto presto, non c'era nessuno. Si avvicinò al microonde e scongelò un pezzo di pane dolce, stando attenta a non stare troppo vicina all'apparecchio che emanava, appunto, micro onde. Una vola fatto, si avviò verso la porta. Sperò che lei non fosse lì fuori, che fosse tornata da dove era venuta, così che non avrebbe dovuto scegliere.
Era pronta.
Aprì.
L'aria fredda la investì, insieme all'odore di camino di novembre. Sussultò, e per un attimo credette di essere ancora tra le fiamme, un anno prima. Si strinse nel cappotto, immaginando a come le sarebbe piaciuto di meno avere caldo, per consolarsi. Non poteva proprio rimanere dentro, no, non poteva. Non riusciva. Si strinse nelle spalle e scese i due gradini che la separavano da quel marciapiede che aveva visto le suole delle sue scarpe tutte le mattine. La vide subito dopo, seduta a terra nell'erba dell'aiuola dove l'aveva trovata la sera prima. Giocherellava con una fiammella, facendola saltellare da un dito all'altro, sulle mani. Ew, fuoco. Anche lei la notò, alzandosi in piedi e venendo verso di lei sorridendo. Erika cercò di rimanere più neutra possibile, mentre le si fermava davanti.
— Buongiorno
— Ciao. Cosa vuoi?
— Io... voglio raccontarti la verità.
— La verità?
— Sì.
Erika rimuginò per un attimo.
Si sedette sul contorno di cemento dell'aiuola.
— Racconta, allora.
La fantasy-girl sedette accanto a lei. Era più alta di Erika, almeno quindici centimetri, ma non le interessava. Iniziò a parlare
— Beh, da dove posso iniziare...?
— Chi sei, innanzitutto?
— Shulamit, mi chiamo Shulamit.
Erika la guardò — Questo non spiega assolutamente nulla.
Si grattò la nuca — Ehm... lo so. Suppongo di doverti dare altre spiegazioni.
Erika annuì, e l'altra continuò — Sono l'anima delle fiamme dell'inferno, uno spirito della natura, praticamente. E, contemporaneamente, la protettrice - ex protettrice - della radura in cui vivevi.
— Hai appiccato tu l'incendio, vero?
Sembrò che all'altra bollisse il sangue nelle vene (il che era probabile) — No.
— Non ti credo.
— NO! — gridò Shulamit — PERCHÉ AVREI DOVUTO MANDARE IN FUMO LA MIA VITA?! PERCHÉ SECONDO TE AVREI DOVUTO BRUCIARE LA MIA CASA?!
— Calma, ho capito, non sei stata tu. — Fantasy-girl sbuffò, mettendo il broncio — Ora, come mai non mi hai lasciata bruciare con mia madre?
Shulamit sembrò in bilico su dei punti sospensivi — Eri la mia unica amica.
— ...Cosa?
— Eri la mia unica amica!
— ... Sono confusa... non ti ho conosciuta prima dell'incendio...
— Oh — Si strofinò un occhio con la mano — Ti osservavo sempre mentre giocavi, da piccola, mi piaceva il tuo modo serio di prendere le cose, faceva ridere.
— Questo suona molto da stalker seriale, però... — Si misero entrambe a ridere. Shulamit non era così male. — Cosa è successo realmente quella sera?
Shula osservò per un attimo il cielo, pensierosa — Ero confusa, mi ero fidata di una persona. Le avevo dato retta e mi aveva spinta a darle il mio fuoco. Ero veramente molto arrabbiata. Infinitamente arrabbiata. — mimò il "grande" aprendo le braccia — La mia mente era offuscata. Ho deciso di salvarti, ma per poco non ti ho fatto del male. — sospirò sommessamente, poggiando il mento sui palmi delle mai candide — Mi sono esiliata dal mondo, senza conoscerne le conseguenze. Ho perso un anno della mia vita seppellita in un'aiuola in Irlanda del Nord. Fine.
— Quanti anni hai?
— Oh, circa un centinaio, sono giovane in confronto ai miei simili.
— ... COSA?!
— Cosa?
Erika sorrise — Lasciamo stare. Io ne ho quattordici. — soppesò il pensiero che era appena venuto a galla nell'anticamera del suo cervello. Decise di chiederglielo — Posso chiamarti Shula?

Sono ancora incatenata in quella valle in fiammeWhere stories live. Discover now