Capitolo 4

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— Posso chiamarti Shula?
Shulamit ci pensò per un secondo. Nessuno l'aveva mai chiamata in quel modo
— Sì! Non avevo mai avuto un soprannome...
Erika sospirò. O almeno, così sembrò. Shula la guardò un secondo. Il suo corpo rannicchiato sobbalzava in modo irregolare, e lei teneva le mani a coprirle il volto. Stava piangendo. Non era mai stata una buona consolatrice, ma provò comunque. Le avvolse intorno un braccio
— Oh... Ehi, tranquilla! — tremava — Guarda qua. — Shula accese un piccolo fuoco nel suo palmo. Erika, riluttante, vi avvicinò le mani gelate
— ...Come fai...?
Shula pensò un secondo — Questo fuoco... sono io. Io non l'ho acceso, ho solo mostrato la mia vera forma.
— ... Strano.
Allontanò le mani dalla fiamma per strofinarsi gli occhi. Rabbrividì.
Shula la strinse più forte. Sapeva di essere calda. Poteva sfruttare questa capacità. Fino a quel momento non aveva mai stretto a sé Erika, anche se era stata la sua unica amica. Ora poteva osservarla da vicino. Portava ancora quelle ciocche lilla, che non ci azzeccavano nulla con i suoi capelli castano chiaro. I suoi occhi erano sempre uguali, verde brillante. Era tutta raggomitolata su se stessa, in un cappotto assurdamente pesante.
— Sembri un armadillo. — le sfuggì.
Erika la guardò, allontanandosi dall'abbraccio — ...Cosa?
— Nulla.
L'altra sorrise — Dimmi cos'hai detto prima! — scherzò.
— No.
— E dai! — la iniziò a punzecchiare con le dita, come per farle il solletico.
— Ancora una volta, no. — rispose Shula trattenendo le risate. Non ce la fece. Esplose dal ridere
— Smettila! — esclamò. Soffriva troppo il solletico, e cercò di allontanare Erika, che emise un piccolo urlo, smettendo immediatamente di solleticarla. Shula la vide rannicchiata su se stessa, più armadillo di prima, che emetteva piccoli mugolii. Le si avvicinò, e vide che la sua mano era rossa. L'aveva bruciata.
— Mi dispiace, Eri, mi dispiace tantissimo! — era nel panico. Come si curavano le bruciature? Avrebbe mandato in fumo anche la sua migliore amica, oltre che la sua casa?
— Dobbiamo andare alla guardia medica... — le disse, poi si alzò. Tutta la mano destra era rossa e screpolata, doveva farle male.
Guardia medica.
Si guardò intorno. Un cartello.

^ City Hall
Sports Hall —>
<— Emergency Medical Service

AAAAACCCCCCIIIIIIIIDDDDDEEEEEENNNNNNTTTTTTTIIIIIIIIII L'INGLESE CACCHIO. Non ci capiva nulla di inglese. Cercò di interpretare: città allora (?), sport allora (????) e emergenza medicale servizio (eh?).
L'ultima.
Prese Erika per il braccio sinistro e, camminando velocemente, svoltò. Camminò per una cinquantina di metri, seguendo i cartelli che dicevano quello. Arrivò davanti a un piccolo edificio grigio, vi entro senza bussare, era aperto. In quella che sembrava un piccola sala d'attesa, non c'era nessuno. Oltrepassò anche la porta sulla parrete di fronte, e si imbatté in un medico. Lei disse qualcosa e la allontanò da Erika. Le si offuscò la vista. Le aveva fatto del male, aveva ferito Erika, non le era potuta rimanere accanto... Si sedette su qualcosa di freddo.
Sentì una voce venire a galla da un mare di nebbia.
— ... Shula! — Era Erika. Senza neanche aspettare di ritornare lucida, scattò in piedi e si lanciò in avanti, per abbracciare l'amica. Torno a vedere chiaramente. Un ciuffo di capelli le copriva l'occhio destro. Si allontanò da Erika.
— Fiamme di Inferno, stai bene! — Erika sembro confusa.
— Potrei farti la stessa domanda, sei letteralmente svenuta da sveglia! Io ho solo una piccola ustione!
Shula Abbasso lo sguardo. L'occhio le cadde su una cosa bianca che spuntava cava della manica del cappotto di Erika.
— Andiamo via da qui. — Taglio corto. Annuirono e andarono fuori. Dopo pochi passi, una volta uscite dalla via, un tuono risuonò per la strada. Erika, allegra, cantilenò
— Mi sa che sta per piovere...
Shula sobbalzò — Oh, no, nononononononononononononnono...
Erano in una piazza enorme, proprio al centro, se avrebbe piovuto non avrebbero avuto di che ripararsi...
La prima goccia cadde, proprio sul suo naso. un dolore acuto le si diffuse nel viso. Iniziò a correre verso una tettoia, probabilmente di una bar. Erika era dietro di lei e le urlava, chiedendole cosa succedesse.  Shula non aveva il tempo di rispondere, doveva trovare riparo. Altre gocce le sfiorarono le membra e il dolore le si infiltrò sotto pelle, come delle spine. Tentò di raggiungere un riparo, ma appena si muoveva le spine scendevano in profondità, cercando di scoppiarla, come fosse un palloncino. Si accasciò per terra. Divenne tutto buio.

***

Erika prese una goccia d'acqua con la lingua. A un tratto sentì un rumore di passi affrettati. Era Shula, stava correndo verso un bar. Le gridò, chiedendole cosa stesse facendo, ma lei non rispose. Cadde a terra, tremando.
— SHULA! Shula che succede! — Erika si avvicino.
Ma certo.
L'acqua la spegneva.
Doveva portarla al riparo.
La pioggia cominciò a intensificarsi, e Erika la prese in braccio. Era leggerissima. Le gocce d'acqua, appena sfioravano la sua pelle candida, creavano un alone nero. Cominciò a correre come se non ci fosse un domani. Sotto la tettoia del bar non c'era nessuno, era chiuso. Perfetto. La raggiunse e posò il corpo inerme di Shula su una sedia. Continuava a tremare, aveva i capelli e i vestiti umidi. Doveva riscaldarla. Riprese in braccio Shula e in quella posizione si sedette. Cose più calde di un abbraccio non le conosceva. Si tolse la sciarpa e la avvolse intorno alla testa di lei.
— S-shulamit, t-ti prego... — sussurrò.
Finalmente qualcosa di straordinario era entrato nella sua vita, lei non poteva perderla.
Un lampo blu baluginò nei suoi occhi. Era un vecchio accendino azzurro buttato a terra. Erika si allungò e lo prese. Era quasi scarico, ma poteva funzionare. Lo accese. Alla sola vista del fuoco, un tremito di orrore la scosse. Avvicinò la fiamma alla punta del naso di Shula, che tornò bianca. Doveva farla prendere fuoco, un accendino non sarebbe bastato. Lo spense, e si alzò in piedi. Appoggiò come prima Shula sulla sedia, poi riaccese l'accendino, facendogli toccare la punta del dito della ragazza. Subito un'aura rossastra simile alla brace si diffuse su tutta la sua pelle, tanto da far sfrigolare la sedia di plastica grigia. Erika si accertò di non toccarla, e osservò cosa succedeva. Le macchie nere sparirono, e le fiamme avvamparono, facendo riprendere coscienza alla ninfa, che subito si spense, cadendo di sedere sulle mattonelle della piazza.
— Ahia! — esclamò, strofinandosi gli occhi. Erika le volò praticamente addosso, l'aveva salvata.
— Cosa credevi, che un po' di pioggia avrebbe ucciso le fiamme dell'Inferno in persona?
Rise l'altra alzandosi in piedi. Osservarono cosa avevano combinato. La sedia grigia era ormai nera, e quasi non sembrava più neanche una sedia, tanto era deformata. Emanava un odore pungente e fastidioso, e sfrigolava ancora
— Il barista se ne farà una ragione, no? — chiese Shula
— Non credo ci siano alternative... — rispose Erika. Con la coda dell'occhio vide una figura passare dietro di loro con un ombrello in mano. Un uomo che lei conosceva fin troppo bene.
Brown.

***

— Questa ragazza ha provocato un incendio sotto la pioggia, sciogliendo una sedia di un locale in piazza. È inaccettabile, non capisco come ancora non l'abbiate mandata in riformatorio! Inaccettabile! — esclamò l'agente Brown. La direttrice del suo collegio sedeva davanti a lei, nell'ufficio dell'edificio. Brown la teneva stratta per il braccio, quasi all'altezza della spalla, e ciò le dava un fastidio che...
Le venne in mente il motivo per cui la odiava. Quattro mesi prima, sua figlia, Elizabeth Brown, lavorava part time in un piccolo bar nella stessa via della scuola. All'uscita Erika andava sempre lì a mangiare qualcosa, visto che persone più affamate di lei non esistevano, e l'aveva conosciuta. Aveva avuto una breve storia con lei, e, quando erano uscite dall'armadio, Brown l'aveva incolpata di aver reso la figlia gay. Dopo quell'avvenimento l'agente le aveva separate, aveva iniziato a non far uscire più Elizabeth, facendole scuola a casa. Ora Erika non aveva più idea di dove lei fosse. Fatto sta che, dopo questo avvenimento, era caduta nel buio afoso che la tormentava da un po'. Per fortuna aveva Jamie, che aveva preso in simpatia perchè anche lui era queer.
— ...Erika, — la svegliò la direttrice — Combina un altro guaio e ti spediamo in un altro continente.

Sono ancora incatenata in quella valle in fiammeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora