L’auto si ferma in un grande garage poco illuminato.
Logan lascia scendere prima Maverick e Tom, che prima osservano il garage e poi scompaiono dentro un ascensore.
Io resto immobile accanto al serpente, non oso parlare, ho quasi paura anche solo di respirare in modo troppo rumoroso.
Percepisco che qualcosa non va in lui, vedo come il suo sguardo è perso a fissare il nulla, e quasi sento il battito irregolare del suo cuore.
Qualcosa dentro di me, come se lo conoscesse da una vita, mi suggerisce che i suoi pensieri pesano tonnellate in questo momento, che qualcosa sta combattendo dentro la sua testa e lui non riesce ad abbassare il volume di quell’incontro.
Perciò non parlo, e non mi muovo, mi limito ad osservare il garage quasi buio intorno a me.
Se non altro, l’enorme stanza non è per niente vuota, anzi.
Range Rover, Porsche, Mercedes di vari modelli, e un numero discutibile di grosse moto dall’aspetto pericoloso, che sono disposte in fila una accanto all’altra.
Più che un garage, ha tutto l’aspetto di essere una concessionaria a misura di ricchi stronzi.
Le porte dell’ascensore si riaprono, e Tom ne esce tenendo le spalle alte.
Incrocia lo sguardo con Logan e gli fa un cenno abbassando lievemente la testa, a quel punto sento il serpente rilassarsi appena al mio fianco.
<Andiamo.>
Dice, aprendo la sua portiera e scendendo dall’auto.
Non mi aspetta neppure, mentre io resto impalata sul sedile, e lo guardo mentre si dirige all’ascensore con passo svelto.
Trovo la maniglia con qualche difficoltà, dato che più che un automobile questa sembra un’astronave, salto giù dall’auto e quasi gli corro dietro.
Le porte dell’ascensore si chiudono, mentre vedo di sfuggita Tom che accende l’auto e la sposta.
Logan continua a non parlare, fissa le porte come se gli stessero sussurrando segreti che io non sono in grado di sentire.
Io, più che altro, vorrei mettermi ad urlare.
Nella mia testa le domande si prendono a gomitate tra loro, ho un bisogno disperato di risposte, ma preferirei non chiederle.
Logan sembra sul punto di esplodere, ed io non voglio essere la scintilla che da fuoco alla miccia.
Quando l’ascensore si ferma, le porte si aprono e io strizzo gli occhi per abituarmi alle luci.
Quasi non credo a ciò che vedo.
Un attico dalle dimensioni spropositate, con ampie vetrate che si affacciano su Las Vegas.
Mi guardo intorno incredula, osservando ogni dettaglio di quell’arredamento minimal ma elegante, dai toni del nero e legno scuro.
Sembra che sia stato studiato con attenzione, sofisticato ma confortevole, elegante ma accogliente.
Mi avvicino alle vetrate, e resisto all’istinto di indietreggiare all’istante.
Siamo così in alto che ho l’impressione di poter toccare il cielo, se solo allungassi una mano fuori dalla finestra.
Superati i divani dal tessuto morbido e intatto, una cucina nera con un’ampia isola di marmo bianco al centro è avvolta da una luce calda e soffusa.
E proprio di fronte ad essa un’alta scala di legno scuro, con le ringhiere nere, è così mozzafiato che vorrei evitare di calpestarla, per paura di rovinarla.
Mi volto a cercare Logan, e lo trovo in piedi davanti a un piccolo angolo bar, proprio accanto ad un gigantesco camino.
Lo vedo versarsi un abbondante bicchiere di whisky e poi berlo tutto d’un sorso.
<Dove siamo?>
Chiedo, appellandomi a tutto il mio coraggio.
<A casa mia.>
Risponde, versandosi altro liquido scuro.
<Avevi detto che non era ancora finita.>
<Adesso lo è, come vedi.>
Svuota il bicchiere un’altra volta con un unico sorso.
<Mettiti comoda, torno tra un momento.>
Cammina a grandi falcate e mi supera senza degnarmi di uno sguardo, per poi sparire nel corridoio a fianco alla cucina.
Una parte di me vorrebbe seguirlo, riempirlo di domande e poi fuggire da questo castello moderno. Ma forse mi è rimasto un po' di buon senso, perché di certo non sarebbe un buon piano.
Ricomincio a girovagare per l’enorme stanza, accarezzando ogni cosa che mi capita sotto mano. Osservo le pareti, tutte di un bianco spoglio.
Proprio come il suo ufficio, questo posto è ben arredato ma per niente vissuto.
Non ci sono quadri sulle pareti, fotografie incorniciate sul camino. Non c’è niente di suo in giro, neppure sul basso tavolino di fronte ai divani.
Non c’è niente che urli il suo nome, niente che ricordi lui, niente che mi racconti la sua storia.
Un rumore improvviso mi fa sussultare, come se qualcosa fosse appena caduto per terra, in una delle stanze nel corridoio buio.
Controllare non spetta a me, e neppure preoccuparmi che il serpente possa essersi fatto male in qualche modo.
Ma le mie gambe iniziano a camminare da sole, e il buio di quel corridoio mi inghiotte.
Sfilo davanti a quelle porte chiuse, alla ricerca di un suono che possa condurmi da qualche parte.
Ma per le prime due porte non succede nulla.
<Cazzo, cazzo, cazzo.>
La voce di Logan rimbomba per il corridoio, proviene dall’ultima stanza, l’unica con la porta semiaperta.
Mi avvicino piano, quasi incerta.
<Serpente?>
Lo chiamo, quasi sulla soglia della porta, ma non risponde.
Allora mi avvicino ancora, e scosto la porta, giusto lo spazio necessario per infilare la testa.
Riconosco subito l’arredamento di un ufficio, una scrivania di legno, una poltrona di pelle nera, una lampada che illumina appena la stanza.
Un grande tappeto sul pavimento, ricoperto da fogli, penne, cartelline piene di altri fogli, matite, e un’agenda con su scritto “Harris Enterprises”.
Gli oggetti sono abbandonati sul pavimento, in ordine sparso, sovrapposti gli uni sugli altri. Come se una folata di vento li avesse fatti cadere, o come se qualcuno li avesse gettati per terra in un impeto di rabbia.
Logan ha i palmi delle mani premuti sul legno della scrivania, tiene la testa bassa e gli occhi chiusi.
Capisco subito come sono finiti per terra gli oggetti che prima stavano sulla scrivania, e capisco che forse è meglio lasciarlo in pace.
Faccio per sgusciare via nel silenzio più assoluto, convinta che non mi abbia notata, ma la sua voce mi blocca sul posto.
<Non avrei dovuto tirarti in mezzo a tutto questo.>
Faccio un lungo respiro, poi muovo qualche passo ed entro del tutto nella stanza.
Lui non mi guarda, resta con la testa china sul legno della scrivania, i muscoli delle sue braccia sono contratti e le sue nocche sono arrossate.
<Cosa succede, esattamente?>
Finalmente alza lo sguardo, e i suoi occhi grigi sembrano brillare sotto la luce fioca della lampada rimasta superstite sulla scrivania.
Mi sento inchiodata al pavimento, mi sento persa in quegli occhi che improvvisamente sembrano riflettere un dolore che finora ho solo visto riflesso allo specchio.
<Succede che sei in pericolo, ed è colpa mia.>
Vorrei dirgli che sono in pericolo da una vita, ormai, e che lui non ha nessuna colpa per questo. Vorrei dirgli che anch’io combatto con i mostri, da quattro anni, dirgli che li conosco bene. So come sono fatti, so che occhi hanno, occhi vuoti che non ti riflettono, occhi che non catturano la luce.
Invece non dico niente, resto zitta mentre lui mi osserva, con quell’espressione persa. Inclino la testa, osservando meglio i suoi lineamenti, e una parte di me vorrebbe accarezzargli le guance per scoprire se la sua pelle è davvero morbida come sembra. Vorrei vedere se è abbastanza calda da riscaldare le mie mani perennemente fredde, o se le mie dita sono in grado di custodire il ricordo di una pelle che non è quella di Ethan.
Si alza di scatto, come se nella sua mente fosse appena avvenuto un reset, come se si fosse appena ricordato del personaggio che interpreta, e l’attore fosse tornato a nascondersi dentro al costume.
<Dovrai restare qui, per un po'.>
Anche nella mia mente è appena avvenuto un reset, perché mentre prima provavo quasi compassione per lui, adesso vorrei prenderlo a schiaffi e tirargli una scarpa.
<Non se ne parla.>
Sbuffo, incrociando le braccia.
<Ti ho già detto che non sono la tua bambola, perciò non resterò qui solo perché tu lo comandi.>
<Amanda...>
Prova a parlare, ma io non ho nessuna intenzione di stare a sentire.
<Non so che diavolo di problemi hai, non so che cavolo è successo stasera, o perché è successo. Ma non starò qui a fare la parte della principessa rinchiusa nella torre.>
Sorride di mezzo lato e inizia a muoversi verso di me.
<Se dobbiamo parlare in termini da fiaba, più che una principessa rinchiusa in una torre tu saresti il drago che la sorveglia.>
<Che diamine dovrebbe significare?>
Adesso torreggia su di me, intrappolandomi tra lui e la porta, che ora mi pento di aver chiuso alle mie spalle poco prima.
<Significa che non fai altro che lamentarti, come un drago isterico che sputa fuoco senza accorgersi di chi o cosa ha davanti.>
Alza una mano a l’appoggia sulla porta alle mie spalle, proprio sulla mia testa.
<Adesso stammi bene a sentire, asso.>
Il suo respiro mi soffia sulle labbra, è caldo e odora di whisky.
<Non me ne frega un cazzo se vuoi giocare alla donna emancipata che non ha bisogno di nessuno per sopravvivere a questo mondo.>
Si avvicina di più, i nostri nasi quasi si sfiorano, e io supplico al mio corpo di non tremare.
<Non mi importa neppure se non hai voglia di restare qui.>
Abbassa lo sguardo sulle mie labbra, che per qualche motivo a me sconosciuto schiudo appena. Poi torna a guardarmi negli occhi, e le mie gambe iniziano a tremare, mentre il mio cuore accelera.
<L’unica cosa di cui mi importa, Amanda, è che tu sia al sicuro. E credimi, non esiste drago sputa fuoco in grado di impedirmelo.>
Deglutisco, e quasi boccheggio, come se improvvisamente mi sentissi soffocare.
<Perciò hai due scelte, a questo punto.>
Respiro bruscamente, resistendo all’impulso di alzare una mano per toccare il suo petto che quasi sfiora il mio seno.
<O resti qui di tua volontà, senza fare storie come una bambina capricciosa.>
Abbassa appena il viso, e avvicina la bocca al mio orecchio, mentre tutto il mio corpo si irrigidisce, e i miei fianchi si muovono appena verso di lui.
<Oppure ti terrò qui con la forza, e ti mostrerò quanto in realtà può essere bello restare rinchiusa in una torre, se si ha la giusta compagnia.>
Un ansimo mi scappa dalle labbra, come se il mio corpo fosse stanco di opporsi alla mia mente.
Lui sorride, come se si aspettasse esattamente questa reazione.
Forse, una persona sana di mente sarebbe già scappata a gambe levate, eppure io…
Io sono ammaliata dal canto del serpente, e vorrei sentirlo sibilare vicino al mio orecchio ancora e ancora, per scoprire tutte le note che riesce a toccare.
Logan si stacca bruscamente dal mio corpo, e lui si raffredda di colpo, come se mi avessero appena tolto una calda coperta.
<Non sarai al sicuro se esci da qui stanotte, perciò ti prego, almeno stavolta, stammi a sentire. Ti ho cacciata io in questo guaio, è il mio guaio, perciò lascia che impedisca che tu ti faccia male.>
Mi ricompongo, prendendo un lungo respiro e staccandomi dalla porta.
Se solo anche Ethan avesse fatto tutto ciò, se solo anche lui avesse cercato di proteggermi.
Invece lui mi aveva trascinata nel suo guaio e mi aveva lasciata lì a cavarmela da sola. Non è tornato a prendermi.
<Beh, serpente.>
Dico, dandogli le spalle e poggiando una mano sulla maniglia.
<Direi che a questo punto è il nostro guaio.>
Apro la porta ed esco nel corridoio ancora buio, poi mi volto verso di lui e lo trovo a fissarmi immobile.
<Mostrami la mia confortevole torre.>
Sorride, e per qualche motivo quel gesto mi fa sentire come se le nostre anime fossero connesse da tutta la vita. Come se avessi già visto quel sorriso su quelle labbra, ancora e ancora, in tutte le vite passate.
Come se fosse qualcosa di mio, qualcosa di nostro.
In silenzio mi accompagna al piano di sopra, ed io continuo ad osservare tutto attentamente, come una bambina in un negozio di giocattoli.
Alla fine mi mostra una camera, che sembra una perfetta e confortevole torre su misura per me.
Ampio letto come quello del Saudade’s, un bagno in camera con una doccia e una meravigliosa vasca da bagno in cui affogherò i miei pensieri tra un momento, e finalmente dei quadri.
In particolare, un enorme quadro occupa la parete di fronte al letto, come se fosse stato messo lì per osservarlo prima di dormire, o goderne della vista appena svegli.
La luna.
Bianca e candida, luminosa avvolta nel buio.
Lei, sola in mezzo a tante stelle.
Lei, così simile a me.
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Bluff
RomanceLa vita a volte somiglia ad una partita di poker, e Amanda lo sa bene. Per questo motivo ogni giorno mette in pratica gli insegnamenti di Ethan, il suo primo amore. Ethan le ha insegnato tutto sul poker, regole e trucchi, e Amanda custodisce le su...