Schicchera

275 31 9
                                    

A Simone piace bussare sui meloni. È un po' un gioco — a volte con papà e Jacopo fanno dei concerti. Gli piace suonare quelli che rimbombano, ma sa che non si possono mangiare. Quelli più dolci fanno un suono — pieno. Simone si immagina il melone che nasce vuoto come un super santos, e poi si riempie piano piano. Vorrebbe vederlo succedere. Ma forse se li spacchi a metà per guardare non crescono più.

Ne ha trovato uno perfetto e sta per girarsi a dirlo a papà, quando lo sente alle sue spalle che gli dice, "Simone, guarda qua." Gli avvicina una mela. È rossissima, lucida, Simone non ne ha mai viste così belle. Sembra uscita dal film di Biancaneve. "Ne dovresti mangiare di più."

A Simone non piacciono tanto le mele. Da crude spesso sono strane, farinose. A Jacopo nonna le fa grattugiate con lo zucchero, o cotte, e sono troppo dolci o troppo molli, o tutte e due.

Questa, però, sembra buonissima. "Me la sbucci?"

Appena parla capisce che qualcosa non va. La sua voce è sottile, troppo acuta. E poi suo padre si deve accovacciare per mettersi faccia a faccia con lui. Tira fuori il coltellino dalla tasca, quello che ha cento attrezzi, e comincia a tagliare una striscia di buccia lunghissima.

Riesce sempre a non farla spezzare, e Simone normalmente si incanta a guardare, ma adesso riesce solo a pensare, col panico che gli stringe la gola, che è piccolo.

Il padre non sembra allarmato: continua a sbucciargli la mela, e quando ha finito gliene passa uno spicchio. "Questa ti fa diventare forte forte. Se non ti piace così, ti ci faccio una torta."

Ma di forte c'è solo come batte il cuore di Simone, e non trova le parole per spiegare al padre che qualcosa non va, che lui è più grande di così. Quando allunga la mano per prendere la mela, è un altro shock — lo spicchio gli prende quasi tutto il palmo, ha delle fossette sulle nocche invece delle ossa sporgenti. Le sue mani sono molto più grandi di così. "Pà", comincia, ma quando alza lo sguardo suo padre è scomparso. C'è un fiume di folla, Simone arriva a vedere solo le gambe della gente, e non si ricorda cosa aveva addosso papà, non lo trova più. "Pà", chiama, più forte, ma nessuno si ferma, e se alza la testa ci sono solo facce sfocate che non lo vedono.

Poi qualcuno lancia un urlo. Una donna. Il fiume si ferma, poi si apre. C'è un gruppo di persone in cerchio, chinate su qualcosa per terra. Qualcuno: Simone vede un paio di scarpe. "È morto," dice un uomo. "È morto!" Urla la donna di prima.

Non è suo padre — suo padre sta bene. Dice sempre che sta bene. Ogni tanto ha mal di testa. Capita di avere mal di testa, Simone. E si siede e beve un po' d'acqua, e gli passa. Gli passa sempre. Ma stavolta Simone non lo trova, e non ci sono panchine in questo mercato gigantesco, anzi non c'è proprio niente a parte la gente, tantissima, come ci fanno a entrare? E papà ce l'ha, l'acqua?

A gomitate cerca di farsi strada, ma è inutile, nessuno si sposta. "Permesso", prova, "permesso. Per favore."

Ma non lo vedono? Ok che è piccolo, ma non si accorgono di lui?

Ma anche qualcun altro sta cercando di passare. Simone si sente spingere da dietro, con tutte e due le mani. Cade a terra, e quando rialza la testa non c'è più nessuno.

Ma nessuno, nemmeno i venditori. È tutto vuoto, con le cartacce e l'immondizia sparse a terra, come a San Cosimato alle tre, che non si può manco giocare a calcio e vengono le macchine a pulire. Fuori sta facendo buio, e fa freddo, e il mercato sembra molto più enorme di prima. Simone si mette seduto. Gli viene da piangere. Vuole che qualcuno lo venga a prendere e lo porti a casa, vuole che torni papà.

"Che hai fatto?"

La voce viene da non si sa dove, e rimbomba nello spazio vuoto e dentro Simone. È la sua. Non quella di adesso, né quella di quando è grande. È la sua voce a quattordici anni.

La Cuenta - Mimmo & SimoneDonde viven las historias. Descúbrelo ahora