1.26 ● IL MIO PATTO COL DIAVOLO

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Juno era a terra.

Lo scatolone rovesciato sul parquet e la puzza di stantio che arriva al naso, insieme alla polvere che si alza. Le mani di Juno che rovistano tra quei pezzi di carta e ne selezionano i migliori. A ogni singhiozzo disperato gli sembra di perdere un pezzo di cuore. Il viso di lei è pieno di lacrime sulle guance rosse. Deve fare qualcosa, lei ha bisogno di lui, ne è convinto. Il cuore gli accelera in maniera convulsa. Deve trovare il modo di salvarla, Juno non deve piangere. La gonna, ecco, magari può sembrare buffo asciugarle il viso con quella. La foto strappata, il nastro adesivo dal sapore amaro, lei che lo guarda e continua a non sorridere. Quei cenci scuri e inguardabili sono buoni solo da dare al cane. La sua bellissima figura merita di meglio, il suo viso deve sorridere. Qualsiasi cosa, farebbe qualsiasi cosa per vederla sorridere. Non c'è bisogno di un padre stronzo che non ama la figlia e non la comprende. Lei, come lui.

Io invece avrei voluto distruggerlo, per quello che le aveva fatto. Era pallida e sporca di terra e bava di cane.

Deglutii a vuoto.

Perché? Perché proprio in quel momento?

Era successo qualcosa a scuola e lo shock del padre che, senza dubbio voleva tagliare i ponti si era accumulato e con quello, la mia tensione e la sensazione di non poter fare niente. Ma non era portandola dal cane che lui avrebbe risolto quel problema.

In ginocchio accanto a lei, lo sporco appiccicato sulla faccia e il sudore lungo le tempie, la rabbia viscerale mi saliva, strinsi i denti e un sibilo mi uscì dalla bocca. Tirai un pugno sul pavimento, il dolore sulle nocche frenò la collera.

«Idiota. Non hai capito che doveva riposare, riflettere, raccogliersi?» Sperai in una risposta che vagava nel mio cervello ma non arrivava.

«Ti odio.»

Per lo meno, so cos'è successo.

Se avessi avuto quell'uomo davanti, gli avrei fatto fare la fine delle pagine di quelle riviste.

Gli occhi di Juno si mossero e piano una fessura si aprì a farmi intravedere il verde degli occhi. Presi un altro indumento a caso e glielo misi sotto la testa. Era lercia ma non potevo permettermi di spogliarla. In più, se Sharon l'avesse vista in quella maniera, in mezzo alla camera immersa nel caos, sarebbero crollate anche le fondamenta della casa.

Mi rimisi in piedi «Rimani qui, fangirl.»

Andai alla porta, la voce di Sharon e di mia madre che discutevano saliva dalla tromba delle scale. «Mamma, puoi venire qui un attimo?» Mantenni un tono di voce calmo, sperai che arrivasse solo lei.

Mia madre si presentò con un grembiule a fiori rosa addosso e uno straccio da cucina tra le mani e con macchie bianche sul viso. Profumava di lievito.

«Stasera faccio il pane fresco.» Disse, orgogliosa. Sorrideva, aveva le sopracciglia alzate e gli occhi le ridevano.

Rimasi davanti alla porta socchiusa «Mamma, prometti che non urli, non ti allarmare, non voglio che Sharon venga su. O che sappia qualcosa.»

Scosse la testa e il suo sorriso svanì dal volto. Mi diede una spallata e entrò in camera.

Fangirl era seduta a terra con la mano sulla fronte. Lei le si precipitò addosso, ma non staccò gli occhi da me. Il suo sguardo mi fece arrivare un colpo al petto. Non era colpa mia, ma nello stesso tempo lo era. Strinsi i pugni e li nascosi sotto le ascelle, incrociando le braccia.

Le spostò i capelli dal viso. «Cos'è successo? Juno, tutto bene?» mormorò. «Cos'è tutta questa roba per terra? Perché è sporca?»

Mi avvicinai. «Suo padre gliel'ha mandata, ha iniziato a piangere, e io...» mi passai le mani sulla faccia, «Ho perso il controllo. So che sono andati nell'aranceto e hanno giocato col cane dei Jenkins.»

Pink SapphireWhere stories live. Discover now