1.9 ● UNA MELODIA FUORI TEMPO

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Lei era all'uscita che parlava con due ragazze, una aveva i capelli rosa e una maglietta con una foto degli 'Y●EL●L'. Sapevo del club in quella scuola, ma speravo almeno che il segreto durasse una settimana.

Mi notò e sbuffò, i suoi occhi guardarono in alto.

Ragazzina, è reciproco, ma io sono educato!

Alle altre due compagne invece brillavano gli occhi mentre mi squadravano.

Mi presentò come un rompiscatole, poi mi seguì in silenzio verso la macchina.

Girò di nuovo attorno alla Cinquecento. Mi guardò con un solco tra le sopracciglia e le labbra piegate all'ingiù «Si può salire dietro?»

«Se proprio insisti, ti caccerò di dietro. I sedili posteriori di questa macchina sono stretti e scomodi. Sei bassa, forse ci stai. Ma vedi di non lamentarti». Le aprii la portiere anteriore e ribaltai lo schienale del sedile.

Si irrigidì e storse il naso. Tentò di entrare nel modo più dignitoso possibile dentro alla vettura, spingendosi con le gambe e tirando con le braccia, fece le migliori acrobazie per arrivare a sedersi di dietro.

Il cuore mi diventò più leggero e bloccai un brivido, una mezza risata. Mi trattenni dall'aiutarla. Cos'era, tenerezza, quella che sentivo per quella impacciata ragazzina? Di sicuro, era da tempo che non mi divertivo così.

Mi misi al volante e, nel momento in cui avviai la macchina, si coprì le orecchie. «Ma che cavolo» la sua voce stridette nell'abitacolo «Con una cosa del genere, non mi stupisce che tu fai l'eremita e sei senza amici».

Le lanciai un'occhiata veloce «Che tu faccia l'eremita e sia senza amici. E chi ti dice che non ho amici? Ne ho eccome. Ma eviterò di farteli conoscere».

Nel viaggio di ritorno non stette zitta un secondo. Parlò dei suoi nuovi amici e di come avrebbe potuto ascoltare gli 'Y●EL●L' in compagnia. Non accennò né alla scuola né allo studio e quello, nella mia testa, si tradusse in una moltitudine di D, cioè insufficienze.

«Tanto è inutile che ti parlo. Detesti gli 'Y●EL●L'» concluse.

Detestavo EL, ma il fastidio che mi provocava il suo continuo parlarne, quel senso di oppressione al petto e di voglia di rivalsa, era persino peggiore.

«No, sono le fangirl come te che non mi entusiasmano molto» Tagliai corto.

«Ah, quindi detesti me» sottolineò l'ultima sillaba.

La detestavo? Non era esatto. Mi scuoteva i nervi, lei era la sottile ossessione che mi stava prendendo dal giorno prima, che ancora non riuscivo a controllare. «Non ho detto che ti detesto. Per me sei come...» Ci pensai. Tutta la mattina avevo cercato di ignorare la risata di Nate, non avevo fatto altro che cercare di mettere sui tasti una musica che mi tormentava dalla sera prima. Quella melodia era più forte quando lei era vicina. Ma incontrollabile. E più ci pensavo, meno sapevo che parole metterci sopra.

«Una melodia fuori tempo, ecco».

Con grande soddisfazione dei miei timpani, seguì un silenzio rilassante.

Parcheggiai nel garage, c'era già la macchina di mia madre, segno che c'era anche quella della ragazzina. Non riuscivo a inquadrare nemmeno quella donna, ma mi dava delle vibrazioni negative, le occhiate di sbieco che mi arrivavano mi avevano fatto capire che non ero di suo gradimento.

La fangirl entrò con me dalla porta sul retro e subito la madre le fu addosso. «Jennifer! Tutto bene? Sei arrivata tardi!». Mi lanciò l'ennesimo sguardo minaccioso.

Mi misi le mani in tasca sporgendomi di lato. L'orologio a pendolo dietro la scala segnava pochi minuti oltre le tre.

Questa donna è un cronometro, o cosa?

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