2.1 ● NON SAI COSA VUOL DIRE ODIARSI

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Eravamo uno di fronte all'altra, lungo il corridoio di casa. Lei, i capelli spettinati e gli occhi bassi, col braccio teso mi mostrava la borsa del negozio.

«Tieni.» La mise davanti alla porta di camera mia. «Ho rimesso il vestito sulla gruccia e ho pulito anche la suola delle scarpe prima di rimetterle nella loro scatola.»

«Cosa me ne faccio, io?» La voce mi risultò fredda e indifferente. Stavo scrutando dentro una sfera distorta che mi diceva già cosa stava per succedere.

Guardami in faccia, Juno, dimmi che non mi stai restituendo il regalo.

Mi rivolse lo sguardo. «Ti prego, riportalo indietro.» Arrossì.

Le parole mi colpirono, un vero pugno da professionista nello stomaco.

Respirai con la bocca, ero una diga che stava crepando e dovevo ricacciare indietro il veleno che traboccava. «Perché? Hai detto che ti piacciono.»

Faceva male, le avevo svelato una parte del mio sentimento, una dichiarazione silenziosa di quanto tenessi a lei. Riaverlo era un dolore misto a rabbia che mi lasciava con la bocca secca.

«Janine e Juliet mi hanno detto che costano un sacco.» Si tormentò le dita.

Mi scappò una risata sgomenta. «Non importa. Questo è un regalo di compleanno. Non devi sapere quanto costa. Non te ne deve importare.»

Lei alzò di nuovo la testa decisa, con gli occhi lucidi. «Non me lo merito. Con quella cifra ci si poteva fare tante cose, a casa.»

Deglutii a vuoto, strinsi per un momento le mani per fermare un tremore che sembrava arrivarmi dalla nuca, un pizzicore che si stava spargendo su tutte le spalle e le braccia.

Io non avevo pensato al valore materiale di quegli abiti. In fondo, potevo permettermeli. Era radiosa quando lo aveva indossato: si piaceva ed era stata la sensazione più bella che avevo mai provato assieme a lei.

Questi vestiti non hanno nessun valore, se non sono addosso a te.

Come dirglielo? Non ero sicuro che avrebbe capito quello che intendevo. Allungai le mani e afferrai i manici del sacchetto.

«E poi non sono adatta a queste cose. A me basta mettere pantaloni e maglioni. Come EL. Non sono una che va in giro con cose costose. Ora ti prego, restituiscili.»

Il cemento si spezzò e la rabbia traboccò. Il rancore per il suo nome, per l'ennesima volta mi fece parlare. «Certo. Come EL. Che magari ne ha a strafottere di soldi e di questa roba se ne potrebbe permettere tutti i giorni.»

Indietreggiò alzando le sopracciglia e prese di nuovo il suo piglio arrogante sporgendo il mento in avanti. L'avevo colpita nel vivo, si era risentita ed ebbi la mia piccola vittoria, che mi fece salire un sapore acido in gola.

«Non è vero!» Scoppiò. «EL ha maglioni e jeans! E non gli interessa la fama! Se no a quest'ora tutto il mondo saprebbe chi è!» Stava tremando e le sue mani erano strette in pugni rigidi.

Mi avvicinai, la borsa mi sfiorò la gamba scatenando un piccolo dolore. «Forse hai ragione sai, fangirl? Forse davvero non te la meriti questa roba, perché non sai dare valore alle cose.» La aggredii.

Si irrigidì, il suo naso divenne rosso e gli occhi umidi. «Non è vero. Io do valore alle cose e ai soldi. Quelli sono tre mesi di stipendio, tu invece li butti via così.» Indicò l'arredamento del corridoio con un dito. «Tu sei ricco, in mezzo a questa casa enorme, con i lampadari, i libri, la piscina. Non sai cosa vuol dire guadagnarsi i soldi.» Finì lì il suo discorso e si rifugiò nella sua stanza sbattendo la porta.

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