1.27 ● FINGERE

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Era l'entrata di un albergo; i tappeti persiani bordeaux con decori dorati mi ricordavano qualcosa. Mi persi nei ghirigori dei disegni nel tentativo di ricordare l'ultima volta che ci ero stato.

Che cazzo ci facevo, lì? Dovevo esserci arrivato in macchina. Ma io non guidavo.

«Micha!» gracchiò una voce familiare. Trasalii e feci un passo di lato, mi difesi il viso alzando il gomito.

Squadrai Taryn.

Oh porco cazzo.

Lei era lì e non ci avevo fatto caso.

Merda! Sono nella merda. Un albergo e Taryn vogliono dire una cosa sola.

Ebbi una fitta all'inguine che mi fece quasi piegare in due.

La bastarda mi ha di nuovo dato le medicine.

Mi morsi l'interno della guancia e mi passai la mano sulla fronte. Era umida.

Qualcosa si scontrò attorno alla mia gamba. Delle noiosissime poltrone in alcantara color crema.

Gli alberghi sono proprio una palla. Per non parlare di quei tavolini di vetro. A che cazzo servono? Troppo puliti per appoggiarci i piedi, troppo fragili per saltarci sopra. Dio, che mal di pancia.

«Si può sapere cosa stai guardando?» di nuovo Taryn mi gridò addosso. Mi girai, allungai per un attimo le braccia. All'ultimo trattenni lo scatto di spingerla via.

Dalla porta, un uomo vestito di rosso e oro con un secchio da spiaggia in testa e la faccia da stronzo mi stava fissando, con la bocca sollevata da un lato, quasi a trattenere un sorriso.

La nana mora mi fissava seria, battendo la punta della scarpa di vernice nera per terra.

Il tizio del secchiello si fece scappare una risata di naso. Inspirai forte chiudendo le dita a pugno e fissandolo. Il codardo si voltò dall'altra parte.

Nessuno si immischia con me, stronzo. Fanculo, che mal di pancia.

Taryn mi strinse il braccio. «Cosa cazzo ti~» Si interruppe immediatamente e un campanello di allarme mi si avviò in testa. Mi liberai dalle sue grinfie.

Alzò un sopracciglio sorpresa. «A meno che tu, non sia tu.»

Devo fingere. Non si può accorgere di me!

E come cazzo si faceva?

La voce. Certo.

«Certo che sono io.» Stirai tutti i muscoli del viso per mantenere un'espressione annoiata, modulai il tono della risposta.

Mi girò intorno un paio di volte, le fitte al basso ventre si stavano spandendo anche alle gambe. Stentavo a stare in piedi.

Se non mi sdraio crollo su questo marmo del cazzo.

Quando ritenne giusto, la strega rifatta si avviò verso l'ascensore.

Squadrai un'altra volta il portiere. Avrei voluto urlare a quella faccia da culo che era un venduto di merda, ma Taryn lo copriva di tanti di quei soldi, per tacere, che probabilmente ne era anche orgoglioso.

Non volevo stare con lei. Non ero io che dovevo stare lì con lei, cazzo!

Ma per qualche stupido motivo, quella sera ero io che dovevo tirare fuori le palle e subirla mentre approfittava del mio corpo.

La seguii nell'ascensore. Mi sarei fatto sanguinare le unghie pur di aprire con le dita quelle stramaledette porte che si stavano chiudendo lasciandomi un senso di soffocamento.

Pink SapphireWhere stories live. Discover now