CAPITOLO 19. NUOVE PROSPETTIVE.

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Pov Sana.

Non credevo che un giorno mi sarei ritrovata a presentare un fidanzato a mia madre o a Rei. Avevo sempre dato per scontato che il mio futuro sarebbe stato Naozumi Kamura, invece quella mattina mi dovetti preparare per affrontare il mio incubo peggiore: mia madre. L'amavo, con tutta me stessa, ma temevo il suo giudizio per quanto lei cercasse di lasciarmi libera in tutte le mie decisioni. Giocherellavo con i capelli, in attesa che Akito mi venisse a prendere al dormitorio, per andare a pranzo a casa mia. Erano mesi che non tornavo a casa, avevo sempre declinato le offerte di mia madre e, ancora di più, quelle di Rei che continuava ad insistere perchè mi riconciliassi con Naozumi. Sapevo anche che, anche se non me l'avevano detto, sia mia madre che lui avevano già visto Akito in tv, in occasione della presentazione a New York. C'erano giornalisti da tutto il mondo, mi sarei stupita se fosse stato il contrario. Non sapevo cosa pensare, ero nervosa in modo quasi imbarazzante e sapevo anche che Akito lo era, quindi avrei dovuto cercare di rassicurarlo, almeno un po'.
Quando arrivò mi fiondai in macchina, gettandogli le braccia al collo. Mi salutò con un bacio, e sentii dentro di me la familiare scossa di emozione che mi attraversava ogni volta che mi sfiorava. Ed era vero che, quando ti unisci davvero a qualcuno, anima e corpo, anche un minimo gesto era fatale. Era come elettricità, che si muoveva dentro e non mi lasciava mai in pace. Non ero mai sazia di lui.
«Ciao..» sussurrai a pochi centimetri dalle sue labbra. Lui mi sorrise e mi strinse ancora più forte, sporgendosi e allontanandosi dal volante.
«Ciao!» rispose lui, mettendomi una mano dietro la nuca e avvicinandosi ancora di più a me.
Akito cominciò a far strada, dirigendosi nei quartieri alti di Tokyo, dove avevo vissuto fino a qualche mese prima.
«Allora... dammi qualche aiuto con cui fare colpo. Tua madre è un tipo riservato o...». Scoppiai a ridere ancora prima che potese terminare la frase. Mia madre, riservata? Era tutto fuorchè quello.
«No" risposi «mia madre è un tipo molto... bizzarro." conclusi infine, sicura che fosse l'unica parola che avrebbe potuto descriverla.
«Bizzarra nel senso che è estroversa, o bizzarra nel senso che devo aver paura?» chiese lui preoccupato sul serio. Io sorrisi, felice di sentirlo così nervoso perchè significava che voleva far buona impressione.
«Tutte e due..» gli dissi infine, voltandomi a guardare fuori dal finestrino. «L'unico consiglio che ti do è di stare attento a Rei.»
«Rei?». La sua voce salì di un'ottava quando pronunciò il nome del mio manager e mi venne da ridere anche solo per quel pizzico di gelosia che mostrava.
«Rei è il mio manager. Era un barbone quando l'ho incontrato. Gli ho dato una casa, un lavoro, una famiglia nel periodo più nero della sua vita. Eppure sento di essere io a dovergli tutto.» dissi infine. Akito mi guardò con aria sognante, spostando lo sguardo prima sul mio viso e poi sul mio seno. Mi sentii rabbrividire di nuovo, come pochi secondi prima, quando ero entrata in auto. Non ero vestita in modo eccessivamente provocante, eppure mi rendevo conto che Akito mi riservava sempre sguardi languidi, che però non mi disturbavano affatto. Ero contenta che mi trovasse bella.
«E.. questo Rei, odia qualsiasi essere vivente maschio che ti gira intorno?». Instintivamente mi venne di rispondere con un si secco, ma non volevo metterlo in difficoltà ancor prima di trovarsi sotto lo sguardo inquisitore di Rei.
Casa mia era una struttura impotente, anch'io mi rendevo conto di quanto sembrasse maestosa da fuori, ma dentro in realtà non era poi così lussuosa. Prima di entrare strinsi forte la mano di Akito, sorridendogli e cercando di infondergli tutta la mia fiducia.
«Non sono molto bravo nel conoscere i genitori...» disse poi, mostrandomi tutta la sua fragilità. In quel momento rividi quel bambino smarrito che era stato per così tanto tempo. Cercai in tutti i modi di rassicurarlo, quindi suonai alla porta e aspettai che venissero ad aprire. Furono i dieci secondi più lunghi della mia vita.

Pov Akito.

Venne ad aprirci una vecchia governante che, non appena posò gli occhi sulla mia ragazza, mostr un enorme sorriso e le si gettò addosso.
«Signora Shimura!!» urlò Sana, felicissima di vederla. Evidentemente era cresciuta con quella donna attorno, aveva addirittura avuto la donna di servizio, ma che razza di mostro della recitazione era?
C'era anche da dire che la madre faceva la scrittrice da sempre, e i suoi libri erano stati dei veri e propri successi editoriali. Ricordai per un attimo che mia sorella una sera aveva in mano uno dei suoi romanzi. Si intitolava Io e mia figlia, probabilmente parlava di Sana e io avrei dovuto leggerlo il prima possibile. Porsi la mano alla signora, presentandomi educatamente e lei mi abbracciò come aveva fatto con Sana. Non ero abituata a simili dimostrazioni d'affetto, ma non mi ritrassi perchè quella signora mi faceva proprio simpatia.
Davanti a noi si aprì un corridoio immenso, silenzioso e tutto di legno. Mi sentivo a disagio in quella casa, quasi giudicato senza nemmeno aver parlato una volta con la madre. Lì tutti amavano Sana, e tutti temevano che soffrisse, probabilmente anche a causa di ciò che le aveva fatto Naozoumi. Cominciarono a prudermi le mani, nonostante lo avessi apertamente affrontato circa un mese prima, avevo ancora voglia di pestarlo a sangue e, ogni volta che Sana lo nominava, mi sentivo morire dalla voglia di ucciderlo con le mie stesse mani. Da bambino avevo avuto qualche problema a gestire la rabbia, ma li avevo scacciati in poco tempo, concentrandomi sul karate e sulla disciplina che esso comportava.
Sana mi strinse la mano quando la signora Shimura ci fece accomodare in salotto, mentre aspettavamo che la madre si facesse vedere.
Non ero nervoso perchè temevo il suo giudizio, alla fine quella donna non contava nulla per me. Ma contava infinitamente per Sana e io volevo fare una buona impressione. Intanto continuavo a stringerle la mano, mentre passavo l'altra sul jeans perchè stavo sudando in modo imbarazzante.
«Stai tranquillo..» sussurrò lei contro il mio orecchio, e già quelle poche parole bastarono per risvegliare in me un istinto che invece dovevo assolutamente tenere addormentato. Non potevo rischiare che la madre di Sana mi trovasse con i pantaloni gonfi sul davanti. No, proprio non potevo.
«Questo deve essere il famoso Akito...!» urlò la signora Kurata, guardandomi dritto negli occhi. Aveva lo stesso sguardo di Sana, nonostante non fosse la sua vera madre. Era una donna apparentemente spensierata, eppure in lei vedevo qualcosa che non mi convinceva. Portava dei copricapi estrosi, che si vedevano a distanza, ma non aveva nessuno scintillio negli occhi. Era... spenta. Eppure non lo dava a vedere, solo chi come me aveva sempre cercato di tenere nascoste le sue emozioni avrebbe potuto accorgersene.
«La mia fama mi precede?» chiesi scherzando. «E' un piacere conoscerla.»
Le porsi la mano, come avevo fatto poco prima con la signora Shimura, e lei me la strinse come avrebbe fatto un vero uomo. Quella donna sapeva il fatto suo.
Mi fece cenno di accomodarmi di nuovo sul divano, mi sorrise e poi cominciò a parlare con la figlia.
«Tesoro, finalmente hai trovato un uomo tutto d'un pezzo! Non ce la facevo più a vederti con quel damerino di Naozumi.». Cento punti alla signora Kurata, tutti in un solo colpo.
Sana rise e automaticamente lo feci anch'io. «Grazie mamma, appoggi sempre le mie scelte!»disse sarcastica. Mi strinse la mano, chiedendomi aiuto, ma non sapevo come intervenire.
«Naozumi è il passato, mamma. Akito per me è il futuro.».
Quelle parole mi diedero alla testa. Avevo sempre pensato che, alla fine dei conti, il damerino, come lo aveva chiamato sua madre, avrebbe avuto sempre il posto in prima linea. Era stato il suo primo amore, il ragazzo con cui aveva condiviso tutto, l'infanzia e l'adolescenza. Il ragazzo con cui aveva fatto le sue prime esperienze. Mi venne poi da pensare che lei però non era mai andata fino in fondo con lui, e questo doveva pur significare qualcosa. Se mi aveva concesso tanta fiducia, allora io ero al primo posto per davvero, anche se mi risultava difficile crederlo.
Sua madre mi squadrò da testa a piedi un'altra volta e poi mi sorrise. Si alzò e lasciò un attimo la stanza, io mi voltai a guardare Sana che intanto aveva assunto un'espressione triste.
«Cos'hai?» chiesi spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Lei scrollò il capo e mi sorrise. «Niente, adesso arriva il peggio. Mia madre è andata a chiamare Rei.».
Improvvisamente mi sentii nervoso come mai nella mia vita. Quell'uomo doveva significare molto per Sana, probabilmente le aveva fatto da padre in tutti quegli anni.
Quando lui entrò nella stanza, tutto sembrò diventare più spigoloso. Mi sentii messo sotto torchio, anche se non riuscivo a guardarlo negli occhi perchè portava gli occhiali da sole.
«Salve, signor Hayama..» disse lui, porgendomi la mano. Gliela diedi anch'io, cercando di mostrarmi il più tranquillo possibile, anche se dentro avevo un vulcano.
Lui si tolse gli occhiali e finalmente vidi i suoi occhi. Erano verdi, profondi. Doveva averne passate tante, anche lui.
Quando ci ritrovammo a tavola, il mio umore stava lentamente cambiando. La madre di Sana mi guardava con affetto, il suo manager un po' meno, ma non mi sentivo a disagio, anzi, mi sembrava di essere all'interno di una vera famiglia.
«Allora Akito, in cosa ti stai laureando?». Gli occhi erano puntati su di me e il manager di Sana continuava a riempirmi di domande. Cercai di accennare un sorriso e lui ricambiò.
«Medicina. Fisioterapia, per la precisione.» risposi, mentre la signora Shimura ci serviva la cena.
«Oh, quindi vuoi diventare un fisioterapista. Interessante...» osservò lui. Annuii, e Sana mi guardò fiera di me. «La tua media scolastica?». Ma perchè gli interessava tanto dei miei studi? Che c'è, pensava che non fossi all'altezza di Sana?
«Ha una media piuttosto alta, Rei.» rispose Sana per me. «Smettila di fargli l'interrogatorio.»
«Non fa niente..» ribattei. «Ho la media del nove, in alcune materie anche del dieci. Conto di laurearmi con il massimo dei voti.».
Sembrò impressionarsi di fronte alle mie parole, fece un cenno di approvazione e tornò a guardare il suo piatto.
«Sana, devo darti una notizia.». Rei la guardò, e Sana gli sorrise, come solo lei sapeva fare. Mi chiesi per un attimo se avrei sopportato tutto quello per un'altra ragazza. No, non l'avrei fatto, non per qualcuno che non fosse la meravigliosa rossa seduta al mio fianco. La guardai con aria sognante e sua madre se ne accorse, rivolgendomi uno sguardo divertito.
«Qualche giorno fa mi ha chiamato una grossa casa cinematografica...». Quelle parole mi provocarono la nausea, e cominciarono a prudermi le mani dal nervoso.
«Ho ricevuto una proposta molto vantaggiosa per un film in uscita nel 2016, pensi che potrebbe interessarti?».
Mi raggelai. Non avevo più riflettuto sul fatto che Sana fosse una celebrità e soprattutto non avevo più pensato al fatto che avrebbe potuto tornare a lavorare. Nella mia mente ormai Sana era semplicemente la mia ragazza, e di certo non quell'attrice di fama mondiale che tutti volevano ingaggiare. Lei mi strinse la mano sotto il tavolo, e io intrecciai le dita alle sue, per farle capire che ero lì, che non me ne sarei andato.
«E chi sarebbero gli altri attori del cast?». Sana sembrava nervosa, come se temesse di sentire ciò che anch'io desideravo non sapere.
«Bè.. molti attori conosciuti come Yumi Adachi, Meiko Kaji, Shintaro Asanuma(*) e...»
Ti prego, non dirlo...
«Naozumi Kamura..» concluse infine. Mi sembrò che il mondo attorno a me perdesse colore, come se quella notizia avesse potuto cancellare tutta la felicità che avevo provato fino a quel momento. E se avesse accettato? Sarei rimasto da solo, senza di lei, per chissà quanti mesi. E lei sarebbe stata con quel dannato Kamura.
Sana si accorse che mi irriggidii e strinse ancora più forte la mia mano.
«Non credo sia il caso che io lavori a contatto con Naozumi, ma grazie Rei.».
«Non pensi di essere un po' troppo precipitosa? E' una proposta sensazionale, con un cast di attori più che famosi. La tua carriera farebbe un salto di qualità che non immagini nemmeno!».
In realtà aveva ragione, persino io conoscevo gli attori che avrebbero preso parte al film, quindi erano piuttosto famosi. Chi ero io per precluderle un'occasione come quella?
«Mi dispiace Rei, ma veramente non ne voglio parlare. Naozumi mi ha ferito troppo, come farei a stare con lui per mesi sul set di un film? E sentiamo, immagino che i personaggi siano predisposti in modo che io faccia coppia con lui.». Sentii nella sua voce una traccia di nervosismo, avrei voluto dirle di calmarsi, che in ogni caso Naozumi non l'avrebbe potuta ferire mai più. Ma rimasi in silenzio.
«Saresti la donna contesa tra lui e suo fratello. Non ti nego che potrebbero esserci scene che risulterebbero imbarazzanti per te, ma non pensi di dover superare questa cosa? Sei un'attrice, diamine! E gli attori lavorano anche con gente che odiano da sempre. Perchè per te dovrebbe essere diverso?». Occhialidasole si stava innervosendo, la vena del collo cominciò a pulsare. Nel frattempo la madre aveva smesso di mangiare e ascoltava la discussione con attenzione. Anche lei avrebbe voluto intervenire, ma capii che non voleva intromettersi nelle decisioni della figlia. Faceva bene, neanch'io volevo condizionarla in alcun modo.
«Perchè prima di essere un'attrice, io sono una persona. E da persona, ti dico che non ho alcuna intenzione di lavorare con l'uomo più meschino che io conosca.».
Quelle parole mi riempirono d'orgoglio, fino a pochi mesi prima avrebbe detto che, nonostante tutto, Naozumi era la persona migliore che avesse mai incontrato. Invece, finalmente, riconosceva ciò che lui le aveva fatto.
«Sana, quando crescerai? Devi farlo. Devi mettere da parte il tuo risentimento e andare avanti. Adesso hai un ragazzo in gamba accanto, molto più in gamba di quanto non fosse Naozumi. Quanto ancora ti farai condizionare da quel ragazzo? Non accettando, gli farai capire che vederlo ti infastidisce. Nella vita, la miglior arma è l'indifferenza.».
Occhialidasole si sistemò di nuovo sulla sedia, riprendendo a mangiare come se nulla fosse successo. Sana, intanto, non disse più niente. Sicuramente, non ero stato l'unico ad essere rimasto colpito da ciò che aveva detto. Aveva perfettamente ragione.

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