Luce .

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Siamo in attesa di qualcuno che a quanto pare non si fa ancora vivo e sta facendo innervosire vistosamente i Ribelli con i nervi già a fior di pelle. Il bivio di fronte a noi, alle nostre spalle la tenebra più assoluta. A quanto pare l'avvertimento in extremis di poco fa mi ha permesso di ottenere la libertà vigilata : polsi ancora legati, volto scoperto e nessuna mano a stringere la presa sul mio braccio. Gli incappucciati riprendono fiato con il tessuto incollato dal sudore sul viso, ma nessuno sembra farci troppo caso. Poi torno ad osservarlo con più discrezione di prima e mi sorprendo a riflettere su come le sue spalle siano ampie e dalla forma vagamente quadrata, stonando con il resto del corpo longilineo e piuttosto magro. La maglia color cenere ricade sul suo petto robusto e poi scivola lungo i fianchi, sotto la giacca nera la cui pelle si sbriciola ad ogni movimento. Jeans di un colore indefinito ma più simile a quello della terra che ad un tessuto originariamente bluastro, apparentemente privi di una forma, ed infilati all'interno dei grossi stivali bordeux in simil pelle. Mi piacerebbe saperne di più sul suo volto o... su cosa stia pensando in questo momento, ma un rumore di passi alla mia destra mi distoglie da quello studio stranamente accurato.

«Potevamo scappare, » sibila Eliza, ormai priva di cappuccio come anche l'altra «e tu invece hai salvato la vita a quel bifolco».

La scruto con espressione imperturbabile e poi dico «io non sono un'assassina. Se avessi avuto la possibilità di cambiare le cose, pensi che saresti stata in grado di lasciarlo morire?»

A quel punto la ragazza assottiglia gli occhi con aria risentita e sputa a brutto muso «neppure io sono un'assassina, ma loro sì».

La bidono facendo spallucce «e chi se ne importa, Eliza».

«Ne riparleremo quando ci uccideranno portandoci fuori di qui» conclude risentita, tornando al fianco di Aylin.

Così mi ritrovo sola, addossata contro la parete, ad interrogarmi su quale sarà il destino che ci attende. Eliza ha sollevato un'ottima questione nonostante sia soltanto un'ipocrita sputa sentenze : la nostra uscita dalla città Subterranea. Il primo giorno che i soldati ci portarono qui, ognuno di noi dovette essere "consacrato" ai Figli della Terra con un rito di passaggio. Una stanza per le riunioni piena di facce sconosciute e divertite, vecchi indumenti che scivolano giù dietro un separé malconcio ed improvvisato per lasciare il posto ad una minuscola uniforme nera. Un po' di terra gettata tra i capelli ed il giuramento finale fatto alla Confraternita ed imparato a memoria con particolare sforzo, visto che hai solo voglia di piangere e prendere a pugni chiunque. Comunque, tra tutta questa serie di scemenze ritenute di fondamentale importanza, ve n'è una che ne ha per davvero : il siero solare. Proprio al termine della cerimonia,  l'apprendista soldato si sottopone all'iniezione di un siero inventato dagli scienziati della città, che impedisce l'esposizione al sole. Ci viene detto che se provassimo a tornare in superficie prima dell'iniezione dell'antidoto a diciassette anni, la nostra pelle comincerebbe a disgregarsi cellula dopo cellula e i nostri volti si sfregerebbero. Ecco perché non ho la più pallida idea di come faremo ad uscire da qui, e se i gran furbi coi volti coperti sono a conoscenza del più importante rituale di questo posto maledettamente buio. Varus, che è l'unico ad avere gli stivali neri, cammina ininterrottamente avanti e indietro con fare agitato. Lancia un'occhiata all'altro, forse Yuri, poi si ferma e sembra prestare attenzione a qualcosa che noi non siamo in gradi di sentire.

«Dio, finalmente!» esclama pieno di sollievo «Li sento : stanno arrivando».

Kiran scrolla le spalle con noncuranza «ve l'avevo detto».

Dalla galleria sconosciuta alla nostra sinistra dei lamenti fanno eco, intrappolati nelle pareti. I Ribelli si fanno avanti, avvicinandosi all'uscita, mentre noi altre restiamo impietrite chiedendoci : chi è che arriva?

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