Giunti a destinazione.

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Nel momento in cui apro gli occhi, non mi rendo immediatamente conto di dove mi trovi o di con chi sia. Sollevare le palpebre è un gesto maledettamente faticoso, e non so perché il mio viso è umido. I ricordi sfuggono lontano, si accavallano, s'intrecciano, come ... come lucciole. Io. Luce. Kiran. Ora ricordo.

Il cielo è stranamente chiaro, più chiaro del solito, e l'alba dev'essere già passata da un pezzo. Un sole ancora timido fa capolino da una coltre di nubi simile alla nebbia. Respiro a pieni polmoni la brezza mattutina. L'odore di rugiada m'impregna le narici. Ecco cos'ho sul viso : il sudore freddo della notte. Volto lo sguardo alla mia destra, ancora distesa, e mi scappa un sorriso dolce. Dolce come lui, che dorme beatamente, con le ciocche di capelli che sembrano non avere più un verso né una direzione, una leggera barbetta incolta e quelle labbra morbidamente serrate che sembrano aspettare un bacio. E allora mi torna a mente una di quelle fiabe che mio padre mi raccontava, anche se tenere libri in casa è tutt'ora severamente vietato. Ma avvolta dalla bellezza della radura, che ora intrappola più luce che mai, mi ritrovo a pensare che forse sono proprio i divieti a rendere così invitanti gli obbiettivi più inaccessibili.

«Buongiorno» sussurro lentamente, sfiorando con il dorso della mano la guancia ruvida del ragazzo.

Kiran apre gli occhi con riluttanza, tenta di mettere a fuoco il mio viso, poi sorride mostrando quella sfilza di denti troppo perfetti per appartenere ad un essere umano qualunque.

«Il suono della tua voce renderebbe decisamente piacevole qualunque tipo di risveglio».

Ridacchio in modo piuttosto isterico, poi mi stiracchio ed il Ribelle si solleva con il busto. Ho i capelli umidi, come anche i vestiti. Guardandomi di sfuggita le braccia, noto diverse chiazze bluastre che risaltano contro il mio pallore. Lividi. E quel pensiero sembra riattivare i recettori del dolore, che prontamente mi assicurano un buongiorno con i controfiocchi. Sono un catorcio vivente, impresentabile.

«Non dormivo così bene da...»

«Quando eri neonato?» continuo io, sarcastica.

Annuisce distendendo le labbra «è molto probabile».

Però quegli occhi non sorridono. Quegli occhi celano la stessa tenebra instancabile che li divora. Occhi belli, così belli, forse per il semplice fatto di essere a metà tra l'oscuro e il luminoso. Tra il definito e l'indefinito. Il limpido e lo sporco. Sempre in bilico come fossimo tante bambole di plastica sballottate di qua e di là, con un piede sulla sabbia e uno impantanato nella fanghiglia nera.

«Ma che ore sono?» chiede Kiran, improvvisamente allarmato.

Scatta in piedi con un gesto fin troppo agile, poi si guarda intorno con nervosismo. Fissa il cielo, guarda il sole e si scansa i capelli ingestibili dal volto.

Ora mi porge la mano «vieni, dobbiamo andare» esordisce serio, aggrottando le sopracciglia.

Afferro quelle sue dita sottili e mi rimetto in piedi, imprecando. Kiran si lascia cingere le spalle, nonostante sia molto più alto di me, e mi cinge a sua volta la vita. Camminiamo spediti, con qualche breve pausa, e mi mordo l'interno della guancia. Potrei morire ora, volendo. La foresta sembra essere più fitta di quanto non fosse la notte scorsa, e mi sento così goffa dai rischiare di inciampare sui miei stessi piedi o in quelli di Kiran. Poi, quando la vegetazione si fa più rada, delle figure sedute catturano la mia attenzione.

«Ecco i nostri due dormiglioni!» ci saluta Yuri, con un grosso sorriso, soffiando su qualcosa di caldo contenuto in quella che pare una vecchia pentola.

«Giusto in tempo per la colazione!» aggiunge Varus, entusiasta.

Tutti, ma proprio tutti, ci fissano. Riesco a cogliere Karma, poco distante da Janice, che mi fa un occhiolino e poi sorride con quel suo modo sfacciato d'inclinare un angolo della bocca. Improvvisamente agitata ed in imbarazzo, mi stacco dalla presa di Kiran e faccio qualche passo in avanti. Samuel. Dove cavolo è Samuel? E poi lo vedo, seduto contro un albero, che beve una specie d'intruglio vaporoso e mi guarda con particolare indifferenza. Lo raggiungo il più velocemente possibile e gli arruffo i capelli con fare scherzoso.

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