La verità fa male .

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La mia mente vacilla in uno spazio vuoto, enorme e indefinito ; come se navigassi col pensiero in una dimensione irreale e la mia anima vi fluttuasse dentro. Ricado stanca sul divano, incapace di sopportare il peso del mio stesso corpo. Occhi sul mio viso e silenzio. Il mio sguardo rivolto verso il basso ed il pavimento di legno che mi fissa a sua volta.

Scuoto la testa e cerco d'inglobare quanta più aria mi è possibile, poi riesco a biascicare «non è vero...no, n-non è vero».

L'uomo aggira il tavolino in legno massello e si accomoda al mio fianco. All'improvviso mi sento oppressa e mi manca il fiato. Imprigionata in questa realtà e schiacciata dalle pareti che odorano di resina.

Sento il fiato caldo di Hira imprimersi sul mio viso. L'uomo si schiarisce la voce per attirare la mia attenzione, e allora mi volto con estrema fatica. Voglio solamente piangere, e invece non posso.

«Dovresti essere fiera di quello che Alan e Melanie hanno fatto per te» afferma la voce pacata del Ribelle.

Scuoto la testa e la prima lacrima scende giù «è stata colpa vostra. Voi non avete avuto le palle per proteggerli!» soffio risentita, fissando i miei occhi nei suoi.

Hira sospira e adagia la sua grossa mano sulla mia spalla «le cose non sono così semplici come potresti pensare, Ethel. Ci sono molte risposte che credi di sapere, ma non dovresti aggrapparti a nessuna certezza, perché rischi di fraintendere gran parte della verità».

Mi sollevo di scatto e porto le mani contro il viso. Devo nascondere queste lacrime amare dagli occhi indiscreti del Ribelle. Prendo un bel po' d'aria, e svuoto del tutto i polmoni. Lo faccio sino a che non sento i nervi sciogliersi appena appena e il battito tachicardico del cuore rallentare.

«Voglio sapere ogni singola cosa. Voglio che tu mi dica perché cinque anni fa i miei genitori ti contattarono, e perché li avete lasciati morire come delle bestie. Voglio sapere perché io e la mia gente ci troviamo qua, e voglio sapere che cosa cercate di fare» faccio una pausa, nel tentativo di schiarirmi le idee. Assottiglio gli occhi e dico infine «se non sarai tu a dirmelo, lo scoprirò da me, e sai che sono in grado di farlo».

Hira sorride con ammirazione, poi si solleva adagio e dice «seguimi, ti mostro una cosa».

Lascio che l'uomo mi superi ed apra la stessa porta di legno dalla quale è uscito pochi minuti fa. Lo seguo esitante, con il cuore in gola. La stanza in cui ci troviamo ora è piuttosto buia. Una grande scrivania interamente di legno, ovviamente, con l'ennesima lampada ad olio adagiata sopra. Due scaffali ai lati delle pareti ricolmi di libri. Libri...una rarità che non ho idea di come abbia fatto a procurarsi. L'uomo siede dietro la scrivania e mi fa cenno di accomodarmi sulla sedia arrugginita posta di fronte a questa. Mi accomodo lentamente, curiosando ancora con lo sguardo sui dipinti appesi alle pareti. Uno di questi rappresenta una città ; una città con i grattacieli ancora intatti e ammantati da una notte luminosa. Sagome scure e sfocate che siedono su di una panchina o camminano per le vie trafficate. Un altro, invece, raffigura il mare. Acqua cristallina e schiumosa che divora milioni di granelli color oro. Il sole enorme che irradia l'intero dipinto, e sembra stare per inglobare l'intera spiaggia.

«I ricordi sono tutto quel che ci rimane» afferma, portando lo sguardo sui dipinti.

Mi riscuoto dai pensieri e punto gli occhi sul suo viso, in attesa. Hira avvicina la sedia alla scrivania e congiunge entrambe le mani su un vecchio libro rilegato in cuoio.

«Non era affatto insolito che gli abitanti della vecchia città ci contattassero per richiedere il nostro aiuto» comincia con voce calma, dal tono solenne «i più temerari chiedevano di unirsi a noi, altri invece chiedevano assistenza per i propri figli. Era rischioso, visto il controllo che la Confraternita esercita sui suoi territori, e non ti nascondo che molti sono morti per questo, ma avevamo degli uomini infiltrati che lavoravano al solo scopo di fornirci altri validi soldati e, se si era discreti, si riusciva a stabilire un contatto senza essere scoperti» l'uomo punta gli occhi sul libro, e si prepara a proseguire. «Cinque anni fa, uno dei miei Ribelli tornò dalla città con una lettera interamente scritta in lingua antica. Era strabiliante che un uomo conoscesse così bene le parole, vista l'ignoranza che regna tra gli abitanti. Senz'alcun dubbio si trattava di un ex Figlio della Terra, il che mi turbò non poco. Ma leggerla fu la cosa più giusta che potessi fare».

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