Voglio conoscerti

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Era passato un giorno, un solo giorno in cui Derek era indeciso se chiamare Meredith per chiederle scusa, un giorno in cui Cristina si era presa cura di lei rimanendo a dormire, per la prima volta, a casa dell'amica.
Derek era rimasto tutta la notte in ospedale, non c'erano urgenze, ma voleva aspettare l'arrivo di Mark.
Lo avevano previsto per le sei di quella mattina e Derek era già in fermato dalle cinque. Aveva proprio visore di una amico, doveva confidarsi con qualcuno e sapeva che, solo con lui, riusciva a parlare a se stesso sputando fuori tutta la verità.
Quella mattina, quando Derek aveva sentito un elicottero che si stava avvicinando, si era messo sulla piattaforma, nella quale, di solito, arrivavano i pazienti più gravi.
L'aveva visto scendere baldanzoso dall'elicottero e aveva riconosciuto il suo sorriso sornione, nonostante fosse prima mattina.   
«Ehilà!» aveva detto Derek sorridendogli a trentadue denti, era felice di averlo lì con lui e nessuno, forse nemmeno Derek stesso, sapeva quanto gli fosse mancato.
«Ehilà, canaglia!» lo aveva salutato Mark sorridendogli e Derek lo aveva stretto in un abbraccio.
Aveva davvero bisogno di lui, perché si era trovato in una situazione scomoda e lui aveva agito secondo il suo istinto -altrettanto scomodamente, come pensava Meredith- e aveva bisogno che qualcuno gli dicesse che stava facendo la cosa giusta per tutti, sia per Meredith che per Ellis.
Derek lo aveva accompagnato nell'edificio e, sulle scale, Derek gli aveva esposto brevemente il caso.
Durante il suo colloquio telefonico con Richard, Mark non aveva avuto molte alternative, dato che il capo di chirurgia si era mostrato piuttosto autoritario.
«Dottor Sloan» aveva esordito quel giorno al telefono, «O viene o viene, e si porti dietro gli appunti per lo studio dell'Alzheimer» aveva ordinato e lui non aveva potuto far altro che prendere il primo elicottero e volare a Seattle.
In realtà se si fosse trattato di un qualsiasi caso, detto con questo tono, Mark non avrebbe mai accettato nessun lavoro da Richard, ma a Seattle c'era il suo migliore amico e, durante le loro chiacchierate telefoniche, sentiva che c'era qualcosa che non andava, sentiva che aveva bisogno di lui, così si era messo in viaggio al più presto.
«Derek» aveva detto Mark guardandolo fisso negli occhi e facendo fermare l'amico per i corridoi, «Le nostre ricerche sono ancora all'inizio, ci vorrà un po', non possiamo operare alla cieca» aveva continuato preoccupato.
«Lo so» aveva risposto l'altro cercando di tranquillizzarlo, «E per tutto il tempo che ci vorrà Ellis in ospedale, ha bisogno di essere controllata a vista» aveva continuato lui con tono risoluto.
Però, in tutta quella confusione, pensava a Meredith, al fatto che lei stesse per essere imprigionata nel luogo dove si sentiva più al sicuro: l'ospedale.
Derek sapeva di doverle dare delle spiegazioni, ma qualsiasi cosa avesse da dirle, lei sfuggiva sempre alla sua presa, svicolava sempre e tutto ciò la rendeva così attraente ai suoi occhi che non aveva altro pensiero, se non lei.
«Ehi, amico» lo aveva chiamato Mark notando il suo sguardo perso nel vuoto, «Perché stai facendo tutto questo? Non abbiamo nemmeno risultati certi, come sai che funzionerà?» aveva chiesto lui, qualcosa aveva intuito, ma voleva che lui si confidasse con il suo vecchio amico, voleva che Derek si svuotasse, come faceva prima della sua partenza.
«Mark» l'aveva chiamato Derek in sussurro di frustrazione, «Ho bisogno di te, ho bisogno che tu mi dica che ce la posso fare» aveva detto lui in una supplica, «Vedi, la figlia...».
«La figlia di chi?» aveva chiesto Mark sempre più confuso da quella storia, come se fosse ancora lontano anni luce dalla verità pura ed effettiva.
«La figlia di Ellis, Meredith» aveva risposto Derek guardando oltre la vetrata dell'ospedale, «Meredith Grey, tengo molto a lei» aveva precisato ancora sotto lo sguardo attento di Mark.
«Ma sei qui solo da una settimana» aveva ridacchiato l'amico, ma poi si era fatto nuovamente serio quando aveva notato che Derek non partecipava alla sua stessa ironia.
«Appunto» aveva affermato quest'ultimo con rabbia, «Solo una settimana e ha mi ha incasinato il cervello» aveva detto l'uomo sbattendo forte un palmo contro il vetro. Derek non si sarebbe mai fatto prendere così da una donna e non era nemmeno giusto, sarebbe dovuto rimanere a New York, però c'era Meredith, c'era Ellis e lui doveva salvare entrambe.
«Ok, ok, aspetta un attimo» aveva detto Mark facendolo sedere su una delle poltroncine sulle quali i parenti aspettavano gli esiti dei loro pazienti,  «Ti stai innamorando di lei?» aveva chiesto parandoglisi davanti.
«Mark!» lo aveva rimproverato Derek con sufficienza. Lui non si stava innamorando di nessuno, non si era mai innamorato e non avrebbe iniziato di certo con Meredith Grey, almeno così pensava.
«Ti sei innamorato di lei?» aveva chiaro nuovamente Mark fissandolo negli occhi.
«Non dire stronzate» aveva detto Derek scocciato e Mark aveva sorriso a trentadue denti, quelle piccole risposte piccate per lui erano sufficienti a capire che cosa stava succedendo all'interno della sua testa.
Mark gli aveva dato una pacca sulla spalla in amicizia ed entrambi si erano diretti verso la sala in cui Richard aveva fatto preparate tutte le attrezzature per la loro ricerca, in modo che potessero lavorare in pace e con la massima tranquillità.
In tutto quel trambusto, Cristina aveva portato Meredith fuori dall'ospedale, quel pomeriggio come tutti gli altri giorni a seguire in cui aveva incontrato, anche solo per sbaglio, gli occhi di Derek.
Quella mattina, Izzie aveva notato le due amiche che, sconvolte, si stavano allontanando dalla porta d'ingresso dell'ospedale e, curiosa, si era affrettata a seguirle.
«Che succede, Meredith?» aveva chiesto la bionda, ma la diretta interessata se babà proprio non volerle parlare, come se tutto ciò che stava succedendo fosse stata colpa della sua facilità di parola.
Si era appoggiata al muro fuori dall'ospedale e, tenendosi lo stomaco con una mano, aveva vomitato a terra.
«Cristo!» aveva esclamato Cristina dopo aver realizzato quanto potesse essere plausibile il suo pensiero, «Sei incinta?» aveva chiesto la riccia sgomenta.
In quel mentre, aveva fatto capolino sulla scena Izzie, la quale, fissando tra l'interessato e lo sconvolto la moribonda, aveva fatto eco a Cristina.
«Sei incinta?» aveva chiesto Izzie sgomenta, come se quella cosa potesse essere l'unica plausibile.
«Io non sono incinta» aveva affermato Meredith con la voce ancora impastata dal vomito e aveva scagliato occhiate di fuoco ad entrambe le amiche.
«Oddio!» aveva esclamato Izzie mettendosi una mano sulla bocca, come se finalmente avesse capito il motivo di così tanto trambusto.
«Che c'è?» avevano affermato in coro le altre due, guardandola con rabbia.
«Il dottor Stranamore ti ha ingravidata» aveva affermato ancora la bionda con aria compassionevolmente maligna,«Povera Meredith».
Proprio in quell'istante una quarta persona si era aggiunta al gruppo di donne: la dottoressa Bailey.
«Ditemi che i miei occhi non stanno osservando tre specializzandi, fuori dall'ospedale, a fare chiacchiere da bar» aveva affermato lei chiudendo gli occhi come a sperare che quelle tre si disintegrassero in quel preciso istante.
«Non è così» avevano risposto le dirette interessante, in coro.
«Che diamine!» aveva affermato la Bailey vedendo il vomito davanti ai piedi di Meredith,   «Grey, sei incinta?» aveva chiesto la dottoressa e la diretta interessante aveva alzato gli occhi al cielo in segno di esasperazione.
«No, dottoressa Bailey» aveva affermato con convinzione la ragazza e la donna l'aveva guardata scettica per un attimo.
«Grey, va' a fare delle analisi, allora. Voglio esserne certa» aveva detto congedandola momentaneamente, per poi rivolgersi alle dottoresse rimaste di fronte a lei,«Voi due andate in accettazione, muovetevi!».
Dopo aver ripreso le forze, Meredith si era apprestata ad entrare all'interno dell'ospedale, come già le sue colleghe avevano fatto, quando la Bailey le si era parata davanti.
«Spera per te che nel tuo stomaco non ci sia un mocciosetto, Grey» con quelle parole se ne era andata lasciandola nei pressi dell'ingresso dell'ospedale.
Dopo essersi ripresa da quell'affermazione, Meredith si era avviato verso la sala prelievi, aveva fatto tutti i controlli del caso, in modo da poter tranquillizzare tutti sulla sua non gravidanza, ma era emerso che la sua appendice era talmente tanto infiammata che bisognava rimuoverla con un intervento d'urgenza e sarebbe stata proprio la Bailey ad operare.
In quei medesimi momenti, Burke era entrato nella stanza off limits, nella quale i due newyorkesi stavano lavorando, in modo da fare la conoscenza del nuovo arrivato. Avevano disposto una tac al cranio di Ellis Grey, perché, in fondo, era tutto lì, nella parte più recondita della sua mente.
Qualcosa in lei non funzionava, qualcosa era cambiato: la memoria, tante potevano essere le zone toccate, ma non era una cosa visibile, non era un tumore, non era un qualcosa che si potesse togliere senza problemi.
Tutto il mistero in cui si erano imbattuti era grande e pericoloso, però, per sua fortuna, Ellis Grey aveva a sua disposizione i più grandi chirurghi della West Coast per aiutarla.
L'intervento di Meredith era andato a meraviglia e, per tutto il pomeriggio, aveva continuato a ricevere le visite dei colleghi, i quali, a turno, le chiedevano se avesse bisogno di qualcosa. A pranzo avevano mangiato nella sua stanza, cercando di risollevarle il morale con i racconti, spesso di Cristina, sulla scarna preparazione delle infermiere o degli altri specializzandi del loro corso.
A fine serata, però, quando tutti se ne erano andati a casa, era entrato nella sua stanza l'unica persona che ne doveva stare alla larga: Derek.
«Come stai?» le aveva chiesto timoroso, ancora sul ciglio della porta, appoggiato allo stipite con la spalla.
«Vattene!» aveva risposto Meredith tentando di girarsi dalla parte opposta per non guardarlo.
«È bello il fatto che tu me lo ripeta così spesso» le aveva detto lui sorridendo gentilmente e avvicinandosi al letto, sedendosi accanto alle gambe della ragazza.
«Ti ho portato questi» aveva chiarito lui facendosi serio improvvisamente e poggiando dei fogli sul suo comodino.
«Cosa sono?» aveva chiesto Meredith guardando quel plico di carta che giaceva al suo fianco destro.
«Sono le ricerche mie e del dottor Sloan sull'Alzheimer, inoltre» le aveva detto cercando il suo sguardo, «Ci sono dei documenti da firmare per avere il tuo consenso sul...ehm, sul portare tua madre in ospedale ed iniziare la sperimentazione» le aveva detto abbassando leggermente il capo per evitare il suo sguardo, che, si immaginava, essere cattivo come mai le aveva visto.
«No» aveva affermato lei con convinzione è l'uomo si era affrettato a spiegarle come stavano davvero le cose.
«Meredith» l'aveva chiamata Derek, in modo che lo guardasse negli occhi, «Ascoltami, io voglio conoscerti, già te l'ho detto mille volte, perché al tuo Vattene!, io rispondo con Voglio conoscerti!. Voglio prendermi cura di te, voglio starti accanto in momenti come questo è voglio che tu me lo permetta, perché non deve esserci nessun altro a farlo, a meno che non sia io» si era fermato un solo attimo per riprendere fiato, ma non aveva mai abbandonato il contatto visivo con la ragazza, «Tua madre sta male ed io sono un medico, un bravo medico. Non lo dico per vantarmi, non è questo il caso, ma lo dico perché tengo davvero a te e perché so che potrei fare qualcosa per migliorare la situazione. Perché io tengo a te e voglio conoscerti. Voglio portarti a cena fuori, voglio avere un primo appuntamento serio, cucinare per te e fare tutte quelle cose che fanno due persone quando vogliono conoscersi. Ma sono anche un medico, Meredith e, come tale, oltre che da persona che vuole conoscerti, ho il dovere di salvare la vita a tua madre. Tu ora mi odi, lo capisco, mi sta bene così, non mi importa. Ma se non riuscissi a salvare tua madre e se dovessi, perché sarebbe la cosa che desidererei più al mondo, stare con te, un giorno ti sveglierai, magari non domani, forse tra un mese, un anno o un paio d'anni, mi vedrai accanto a te nel letto e penserai che sono stato io a non aver salvato tua madre, nonostante avessi avuto la capacità di farlo. Non voglio tutto questo, voglio svegliarmi la mattina con te accanto, tra un mese o un anno, con la consapevolezza che tu non porti rancore nei miei confronti per la salvezza di tua madre» aveva interrotto quel flusso di parole e, sorridendole dolcemente, le aveva lasciato una carezza sulla guancia ed era uscito dalla stanza.

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