Capitolo 25~ Selène

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«Ma per favore» la schernii.
Ignes era rovente, aveva raggiunto i sessanta gradi, il che per una persona normale era impossibile, ma per lei, il fuoco e l'essenza stessa del calore, era come una doccia tiepida. Incoccai la freccia e mi sporsi alla finestra. Il bersaglio era abbastanza facile da centrare, ma il minimo margine di errore avrebbe potuto farmi uccidere una delle guardie intente a combattere, o peggio ancora, Suavius. Il mostro sputò fuoco e io rimasi sorpresa. «Non puoi scendere e parlargli?» le proposi. «Perché quel coso parla?». La mandai al diavolo e lei si offese. Ma ciò bastò a provocarle una distrazione, affinché potessi uscire dalla finestra e arrampicarmi sul tetto. Non ero molto esperta nel volo e preferivo la via meno mortale. Da lì scagliai la mia freccia e attirai l'attenzione del cinghiale volante. Quello grugnì e sollevò il brutto muso verso di me. Venni travolta da euforia e follia pure, invece che da paura e terrore. Si alzò in volo e guaì verso di me. «Fatti sotto ammasso di letame» gli dissi. Ignes lo vide passare dalla finestra e urlò. Sentii Suavius snocciolare ordini in lontananza e mia sorella affacciarsi e tirarmi una palla infuocata. Bel modo di aiutarmi pensai. Ma la sfera invece di colpirmi formò uno scudo davanti a me impedendo che il cinghiale mi bruciasse. Lei intanto brandiva la mia spada, e si era arrampicata sul davanzale della finestra per porgermela, così tentai di avvicinarmi. Il suo incantesimo però stava cedendo e così, messa alle strette, creai uno scudo di ghiaccio. Un altro sputo di fuoco e quello si sciolse, così ne evocai un altro. Mi concentrai affinché non si trasformasse in acqua con il calore e riuscii, immaginando tanti legami chimici ben saldi tra loro, ad impedirlo. Arrivai ad Ignes, che rischiava di rompersi l'osso del collo, e presi al volo la spada. La mia bella spada d'argento siderale. La brandii contro il nemico che non sembrò apprezzare, e continuava ad incalzarmi, anche tentando di mordermi, costringendomi a retrocedere. Il tetto però era spiovente, perciò rischiavo di scivolare. Calcolai lo spazio tra le sue zampe posteriori e le tegole. Ma sì mi dissi, e feci una follia. Mi lasciai scivolare sotto di lui e lo colpii con lo scudo facendogli perdere l'equilibrio. Tutta quella massa di carne abominevole mi precipitò addosso e mi fece cadere dal tetto. Mi sarei schiantata a terra in una poltiglia tremenda, ma le ali mi sorressero, e io mi scansai in tempo. Durante la caduta, mentre tentavo di stabilizzarmi, il cinghiale mi afferrò una caviglia, e in extremis evocai una colonna d'acqua a sostenermi a qualche metro dal terreno. Ero leggermente stordita dall'impatto ma le mie ali erano solide, e perciò decisi di resistere. La stessa colonna si aggrovigliò secondo il mio ordine intorno al corpo malefico e si solidificò in ghiaccio. Un ghiaccio solido e indistruttibile, nemmeno con il fuoco. Con tutta la forza che avevo in corpo usai la spada e tagliai quella testa assetata di sangue e distruzione. Il corpo cadde a terra in un tonfo mentre spargeva liquido nero tutt'intorno a sé. Nel volto da suino giurai di aver letto un'espressione sbigottita. Atterrai madida di sudore e ansimante, ma non avvertivo fatica o stanchezza, anzi, ero pronta a rifarlo altre cento volte. Ignes mi corse incontro a metà tra l'euforia e la voglia di farmi a pezzi. «Sei stata... maledettamente incosciente e fantastica! La regina del combattimento aereo!» la abbracciai, grata per avermi aiutata. Suavius anche mi fece i complimenti, farcendoli, giusto per formalità, con raccomandazioni sull'imprudenza e il resto. Il clima di adorazione instaurato anche dai soldati che avevano assistito alla scena fu interrotto dall'avanzare della regina. Era tremendamente fredda e distante. Mi aspettai una sgridata di proporzioni epiche e invece si limitò a dire: «La prossima volta ricordati la spada invece di mettere a rischio tua sorella». Teneva le mani incrociate sulla gonna del vestito e mi guardava con fare impassibile. «Mi dispiace... io...» tentai di giustificarmi, ma Suavius si intromise: «È colpa mia, avrei dovuto sconfiggere la creatura prima che Clhoe potesse uscire allo scoperto». «No!» esclamai sempre guardandola «Meglio mettere a rischio la mia vita che la vostra». Capii solo più tardi cosa avevo detto. Cosa era uscito dalla mia bocca. Un qualcosa di potente e forse in grado di ferire, un qualcosa in grado di giustificare quel gesto, da parte della regina, tale da togliere il fiato.
Mi diede uno schiaffo. Indietreggiarono tutti, Suavius e Ignes compresi, lasciandomi sola davanti alla furia più devastante di tutte. Era adirata e delusa, lo percepivo. La guancia mi bruciava ma mai quanto l'orgoglio appena ferito e violato. «Ho santificato la mia vita a voi!» le rinfacciai con le lacrime agli occhi e la voce rotta. «Quando?!» mi disse alzando il tono. «Quando mi avete accolta in casa vostra e protetta! Quando ho messo piede qui dentro e ho trovato una famiglia, o pensate che io serva solo a realizzare quadretti felici da appendere su un muro?!» strillai. Poi me ne andai e la sorpassai. Ignes tentò di venirmi dietro, e non bastò il re a trattenerla. Per ribadire il concetto eressi un muro d'acqua.
Vagai per la campagna, tra i campi di grano acerbo e i cardi pungenti. Forse me lo meritavo. Forse dovevo ritornare in me e quello schiaffo mi serviva. Eppure non riuscivo a crederci. Non c'era un ordine di soldati, una guardia del corpo a cui potessi affiliarmi per dimostrare che le mie non erano balle? No, le mie non erano decisamente balle. Non lo avrei fatto per senso di colpa o del dovere. Lo avrei fatto per rispetto, per consacrare la mia esistenza non alla mera consapevolezza di essere potente e da proteggere. Dovevo dimostrare, in un certo senso, che non mi nascondevo dietro la mia reputazione o dietro il mio potere, ma combattevo in prima linea, e non mi raggomitolavo nella calda sensazione di essere chiusa in una bolla di cristallo. Io ero una guerriera.
I pensieri scorrevano così come la terra sotto i miei piedi, e mi trovai, volente o meno, nel punto in cui persi Ignes dopo essere scappata dalle streghe. Il prato verdeggiante si estendeva per ettari infiniti davanti a me, un'eterna illusione per impedire ai viandanti o ai vagabbondi di cadere in quel tenebroso angolo di regno. Decisi di andare da Antares, farmi istruire sulla benedizione e chiederle di eseguirla quella sera stessa. Volevo tornare a Corallorosa da Meilì e Matt, anche se era pericoloso, molto pericoloso.
Il cancello bianco era chiuso, ma aprendo il chiavistello mi permise di entrare. Attraversai la stradina di pietra circondata da siepi di lavanda ronzanti per le api e arrivai nel giardino, dove la fata stava richiamando, accomodata sul dondolo bianco. Sollevò lo sguardo come se sapesse che sarei arrivata e mostrò il suo viso candido. Aveva i capelli raccolti in una cipolla improvvisata tenuta insieme con un nastro. La luce attraversava i vetri appesi al soffitto della grande casa e si riversava sul pavimento in un tripudio di colori. Con calma, si alzò e mi venne incontro. «Non hai una bella cera» mi disse con naturalezza. «Ho sconfitto un mostro» le dissi, aspettandomi un riconoscimento particolare, come un bambino che va dalla mamma a dirle che ha preso un bel voto a scuola. «Beh complimenti!» rispose inarcando le sopracciglia in segno di sorpresa. Posò le sue mani sulle mie spalle e si accorse del mio sguardo assente. «Non è per questo che sei qui però». Annuii, ammettendo una resa. «Sono pronta per la benedizione, so quello che otterrò, so che è un privilegio, so che sono fortunata, quindi ti prego, dammi la benedizione così potrò tornare a Corallorosa». Lo dissi tutto d'un fiato, per evitare di crollare. Mi sorrise. «Sai davvero tutto?» mi chiese paziente. La invitai a chiedermi qualsiasi cosa. «I tuoi elementi quali sono?». Lo disse con una tale naturalezza che pensai fosse impazzita. «Li sai i miei elementi, li sappiamo tutti»
«Ricordameli!» mi esortò. «Acqua e come subelementi ghiaccio e vapore».
«E poi?»
«E poi?!»
«Non conosci te stessa Clhoe» sentenziò senza traccia di accusa nella sua voce. «Torna a casa...» mi suggerì e mi chiese se volessi che mi accompagnasse, ma rifiutai. Un altro elemento? Era una follia.
Mentre mi allontanavo mi venne un'idea e corsi verso il corso d'acqua dove il mare mi aveva portata quando gli avevo chiesto di farmi vedere Ignes. «Mare! Mare!» chiamai invano. Immersi una mano nel corso d'acqua e sentii una corrente familiare. La salsedine bagnò i miei polpastrelli, e il cavaliere emerse, in tutta la sua bellezza. «Il mio nome è Pelagus, Clhoe». Arrossii, sentendomi terribilmente in difetto. Abbassai lo sguardo, ma lo spirito del mare attese paziente. «Non è colpa tua, non ho avuto modo di presentarmi». La sua espressione parve mostrare un breve sorriso impresso nel volto fluido. «Che altro controllo, Pelagus? Non bastavano acqua, ghiaccio e vapore? Di che altro sono in possesso? Ho bisogno di sapere». Pelagus esitò. Ero stanca, e probabilmente lo percepiva. «La notte porta consiglio, Clhoe, e risposte». Si dissolse subito, senza permettermi di replicare. Avrei voluto sprofondare. Raggiunsi mesta e sconsolata il giardino del castello e sentii la guancia bruciare, ancora, come se il solo ricordo potesse rinvigorire il dolore. Un dolore che aveva scoperto corde molto più profonde, come la paura di deluderla, di sbagliare o, peggio, di essere sbagliata. Una ferita che nemmeno Ignes avrebbe potuto risanare, ma solo la persona che ne era artefice e responsabile. Una persona che, nonostante tutto, si era rivelata umana, e che veneravo ancora. Come diceva la voce, era colpa mia.
Attraversai l'atrio e raggiunsi le scale, seguita da mormorii e sussurri. Corsi nella mia stanza e mi tolsi le armi. Lucidai la spada, ancora intrisa del sangue nero del mostro, e mi lavai. Indossavo una camicia da notte candida e mi sentii un po' meglio. Il bianco mi aiutava a non pensare. Un nuovo elemento equivaleva a dire nuovi problemi. Non ne volevo. Volevo solo dormire, e così feci.

L' Acqua e il Fuoco: L' Elemento Perduto Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora