Capitolo 50~ Tradimento

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Ignes si stava riprendendo. La polvere di Brigitte aveva fatto effetto. Il sole nasceva, e io speravo che questo la aiutasse. L'aria umida del bosco, il terriccio molle su cui camminavamo, le foglie secche che, morenti, si lasciavano cadere erano la manifestazione della mia interiorità. Ero stanca di fuggire, volevo la mia camera a Castelcristallo e la vista sulla valle. Volevo le colazioni con i ragazzi, gli allenamenti. Tutto, ma non tornare a Roccastrix, la prigione, i cui corridoi avevano assistito passivi come me alla morte di Wendy. E forse anche a quella di Coraline. I merli cinguettavano. Ogni tanto passava una volpe o uno scoiattolo. Ci fermammo e, su richiesta di Ignes, la facemmo scendere. «Vai piano...» la ammonii. «Sto bene, davvero». Barcollava un po' e probabilmente le girava la testa, anche se provava a nasconderlo. «Sicura di non voler tornare sulla nuvola?» chiese Matt mentre si cinse le spalle con un suo braccio. Io lo imitai. Mia sorella aveva assunto un pallore innaturale. Dopo poco, svenne. Sprigionai vapore dal terreno e aspettai si condensasse. Gli diedi forma con dell'acqua e del ghiaccio e ce la rimettemmo sopra. Mi chiesi quando sarebbe guarita del tutto, mentre Matt mi strinse la mano. Vidi il suo tatuaggio arrossato in modo preoccupante. «Ti fa male?» chiesi. «Cerco di non pensarci» rispose in tono noncurante.
Dopo altre due ore di cammino notammo un comignolo non molto distante. I mattoni rossi sembravano un albero anomalo, cresciuto male. Un rivolo di fumo usciva pigramente e si disperdeva nel cielo. Ero affaticata, e mi parve una dolce visione. Lo stomaco mi brontolava e non vedevo l'ora di mettere qualcosa sotto i denti. Anche il ragazzo lo vide, ma non parve entusiasta come me. «Che c'è che non va?» sbuffai. Non proferì parola e assunse uno sguardo serissimo. Diede una rapida occhiata intorno e prese un sentiero stretto e poco battuto, ma che riportava i segni dei passi dei nostri predecessori. Anche io mi agitai, ma tentai di non pensarci. Anche Ignes doveva fermarsi un attimo, mangiare qualcosa. La casetta sembrava da fiaba. Il tetto era di paglia, e c'era un tavolo di legno con una panca nel giardinetto. Mi ritornò in mente la casa di Antares. Certo, la sua era di gran lunga migliore, ma aveva un non so che di simile e accogliente. Matt bussò deciso, mentre io aiutavo mia sorella a restare in piedi. L'uscio cigolò un po', e nel giardino si diffuse un lieve odore di pane. Di nuovo la sensazione della mia fata madrina. Ebbi il netto presentimento che dietro quella porta ci fosse lei, proprio lei, in carne ed ossa, che si fosse rifugiata lì, dopo il rapimento, che ci avrebbe accolti e sfamati, fatto fare un bagno caldo, prendere il tè, i biscotti, e il pane appena sfornato, caldo nella pancia e anche nel cuore...
Ma quando l'ombra lasciò filtrare un po' di luce, una figura scura, cupa e sogghignante si palesò nel buio. La stessa che aveva chiesto a Stria se fosse sicura. Guardai di istinto Matt avvicinandomi il più possibile a Ignes, nel vano tentativo di nasconderla. L'ultima cosa che vidi fu una minuscola lacrima sulla sua guancia.

Era buio. Faceva freddo. D'improvviso apparve una stella, che mi sembrava così vicina... allungai la mano, e una forza mi attirò verso il basso. Provai a dimenarmi invano. Ogni volta che tentavo, mi allontanavo sempre di più.

Avevo sete. La bocca era impastata di polvere e sentivo il sapore del ferro, come di sangue. Provai a chiamare Ignes, ma la mia voce sembrò un verso maldestro. Forse ero stata picchiata, perché mi faceva male tutto. Provai ancora. Sentii un lamento. Dio, se ti hanno fatto qualcosa li ammazzo a mani nude. Pensai in uno stato d'ansia morbosa. Ad un tratto sentii una scarica pervadermi le membra, e il dolore si palesò tutto insieme, mostruoso, una morsa devastante che mi levava il respiro. Sentivo la testa e il torace schiaccate da un pesante macigno, e urlai, più per sfogarmi che per chiedere aiuto. Le guance mi andavano a fuoco, ma anche solo il pensiero di sollevare la mano e bagnarmi la faccia mi procurava una sofferenza mostruosa. Non so quanto tempo passò. Ad un certo punto sentii una porta, o forse una botola di legno aprirsi, e dei passi che compresi fossero incerti solo quando cominciai, per così dire, ad abituarmi al dolore. Del metallo arrugginito cigolò. Una mano mi sfiorò la gota e sentii freschezza. Aprii la bocca per respirare, e mi parve che qualcuno ci avesse infilato un sassolino, che mandai giù per uno strano riflesso inconscio. La persona mi mise a sedere, e sulla schiena percepii una parete irregolare e umida. Riuscii a percepire odore di muffa e muschio. «Andrà tutto bene» disse. «Ti spacco la faccia» sussurrai in un impeto di odio e disprezzo. Fece per andarsene, ma io lo trattenni per un braccio, o una gamba, non ne avevo la certezza. «Matt... io mi fidavo di te...» bisbigliai affranta. La sua pelle fu percorsa da un brivido, e se ne andò.

L' Acqua e il Fuoco: L' Elemento Perduto Where stories live. Discover now