La storia in sospeso

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Il ritorno a Hiyoshi fu triste. Nessuno voleva abbandonare le luci di Tokyo né voleva abituarsi all'idea del funerale di Fumie. Fu per questo motivo che rientrarono prima del previsto e la cosa li rendeva tutti ancora più funesti. Trovarono comunque una piacevole sorpresa: neve, neve ovunque. Il villaggio era sotto dieci centimetri di coltre bianca e le casette parevano dolci con la panna. C'era un buon odore di legna e un freddo pungente li accolse giù dal pullman. La scuola sembrò diversa dopo tanti giorni ma accogliente. Hannah saltò sopra il suo banco e osservò distaccatamente la sensei che mostrava i saggi al club di storia. Alla fine aveva visto ben poco di Tokyo ma ne era valsa la pena. Lanciò un'occhiata triste a Vane che la ricambiò appieno finchè potè. Non appena la sensei aveva annunciato di fare le valigie per il ritorno a casa, Shin aveva trascinato Vane lontano dagli amici.

"Non vuole che ci parli", aveva spiegato Velton ad Hannah. "Non fintantoché non si risolva nulla tra noi".

Hannah avrebbe voluto dirgli di risolvere allora, ma non ci riuscì. E ora fissare Vane con decine di banchi in mezzo, sembrò come guardarla attraverso un binocolo. Dalla finestra aperta giunse il suono del campanile della chiesa ma nessuno vi fece caso. Shizuka-san, la sorella maggiore di Mapi, era diventata la nuova presidentessa del consiglio e molte ragazze bisbigliavano per mettersi d'accordo: a quanto pareva volevano farle il primo scherzo.

"Vane", gridò Hannah.

Ma Vane non si girò. Forse non sentì o non volle sentire. Forse perché Shin era a due passi da lei. Velton le mise una mano sulla spalla. "Andiamo a casa", le consigliò. I sentieri di Hiyoshi erano sempre stati faticosi da percorrere ma con la neve era ancora peggio. I piedi sprofondavano in quelle che sembravano buche e scivolò circa tre volte. Tre e mezzo se contiamo quella in cui andò a sbattere contro la schiena di Velton. Lui, invece, camminava dritto con le mani in tasca, senza mai inciampare, come se nulla fosse. Hannah gli avrebbe dato volentieri un pizzico ma ormai erano già arrivati. La mamma si precipitò fuori portando con sé una scia di profumo che pareva proprio dolci fatti in casa.

"Tesoro!", gridò con voce lacrimevole. "Quanto mi sei mancata".

"Anche tu, mamma!".

Gli occhi della donna si fermarono sospettosi su Velton. "E lui è?".

Entrambi trasalirono. Si erano dimenticati la mutazione in gatto. Hannah cominciò a balbettare, incapace di formulare le mille scuse che le si accavallavano in testa. "Ehm, lui è... ehm...".

"Un compagno di scuola", la interruppe lui con un educato inchino. "Mi chiamo Velton. Sono venuto a fare i compiti".

La mamma sorrise convinta e Hannah si rilassò. "E' un piacere, caro. Proprio ora che ho fatto i biscottini! Però, sei proprio un bel ragazzo! Mia figlia se li sceglie bene i compagni di studio".

"Mamma!", Hannah calpestò il piede della madre che ridacchiò e li precedette in casa. Velton sorrise deliziato; ora sapeva da chi Hannah aveva ereditato la dolcezza del suo carattere.

In casa c'era un bel calduccio. Il camino era acceso e il profumo più intenso. La donna mise i vassoi sul tavolo, proprio dinanzi all'enorme giornale dietro il quale stava suo marito.

"Papà", disse nervosamente Hannah. "Lui è Velton".

Il dottor Blood abbassò appena il giornale per lanciare un'occhiata gelida al ragazzo che si irrigidì. "Ah", disse soltanto.

"Papà, non essere burbero".

"Non sono burbero. Lo sai cosa penso al fatto di portare maschi in casa".

"Lei è un maschio", osservò Velton e fu il suo turno di sentirsi calpestare il piede.

"Maschi giovani", replicò seriamente l'uomo.

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