Capitolo 4

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India
Esistono troppi lunedì mattina, e i peggiori sono quelli in cui ti svegli con i postumi di una sbornia.
Le mie gambe sono intrappolate da strati di tessuto in cui stanotte, quando sentivo un freddo cane, ho arrotolato il mio corpo. Cerco di districare la matassa ma la fretta, in questi casi, è cattiva consigliera. Il fatto è che la musica è assordante.
Ruoto su un fianco, sento il tessuto del lenzuolo cedere ed estraggo prima un gomito, poi l'avambraccio e infine la mano.
Rotolo nell'altra direzione e scorro col dito sul display del telefono per interrompere questo supplizio. Ieri sera io e Oliver eravamo orfani di Rhonda, che era uscita col tipo con cui si frequenta, ed abbiamo fatto una passeggiata in centro. Abbiamo preso un aperitivo che ha compromesso buona parte della mia lucidità. Per cena siamo tornati a casa e abbiamo ordinato tre pizze, una per me e due per Oliver.
Abbiamo guardato un film strappalacrime stesi sul divano, passandoci alternatamente di mano l'insalatiera con i popcorn appena usciti dal microonde e la bottiglia di birra. Abbiamo riso e pianto come succede durante il pre ciclo poi, come ogni volta che la storia ci coinvolge, ci siamo innamorati entrambi del protagonista maschile.
<<Accidenti, stavo facendo un sogno meraviglioso.>> Brontolo ad alta voce mentre stiracchiandomi mi tiro su a sedere.
In realtà lo ricordo appena. Qualcuno camminava al mio fianco in riva al mare al tramonto. Gli cingevo il fianco e lui teneva il braccio sopra le mie spalle. Guardavo in basso i nostri piedi lasciare impronte sul bagnasciuga e assaporavo il momento in cui avrebbe preso il mio viso tra le mani per baciarmi con passione.
Ha ragione Rhonda, se continuo a farmi prosciugare dal lavoro mi rimarranno solo questi sogni.
Oggi in ufficio sarà una giornata di assegnazione incarichi ed avrò il calendario delle probabili trasferte che dovrò affrontare nei prossimi quindici giorni.
Mentre scendo le scale di casa per raggiungere il parcheggio interno, sento del chiacchiericcio rimbombare dall'arcata d'ingresso. Quando svolto alla fine delle scale, infatti, noto Lucas con i gomiti appoggiati al davanzale della postazione del portiere. Attraverso il vetro commenta le immagini, di quella che immagino sia una partita, insieme a Denzel. Sono concentrati entrambi sullo schermo del televisore e sembrano non notare la mia presenza. Quando però l'azione termina, ed io supero Lucas, il rumore dei tacchi sul pavimento lo induce a voltarsi nella mia direzione. Percepisco il movimento con la coda dell'occhio e mi giro per salutare educatamente.
<<Buongiorno Denzel>>, dico prima. Il portiere, seduto sulla sua poltrona girevole, ricambia il saluto facendo il gesto di sollevare il berretto in segno di galanteria. <<Buon lavoro India.>>
<<Ciao>>, dico poi rivolgendomi a Lucas, anche se è già tornato a fissare lo schermo dove in effetti trasmettono una partita di rugby.
Non risponde e non si volta.
Strano
Va bene l'ignorarci, ma fino a questo punto? Ipotizzo che possa non avermi sentita, allora riprovo con più slancio. <<Buongiorno anche a te Lucas!>>, insisto inclinando il busto in avanti e alzando la voce.
<<Ti ho sentita India. Risparmia la fatica. Fai un favore ad entrambi, da oggi in poi non limitarti ad ignorarmi, fai direttamente finta che io non esista.>>
La freddezza nel tono che usa sull'attimo mi immobilizza.
Rimango impietrita per lo stupore, prima ancora che per il disappunto, perché sono letteralmente spiazzata. Guardo Denzel in cerca di un segnale che mi indichi che possa trattarsi di uno scherzo, anche se da Lucas non mi aspetto ilarità di nessun genere.
Il portiere però sembra in imbarazzo. Si schiarisce la voce e comincia ed armeggiare con delle scartoffie che pinza con la spillatrice.
Rischio di fare tardi a lavoro, ma allo stesso tempo non posso lasciar correre.
<<Hey, hai qualche problema?>>, chiedo a Lucas stizzita.
Lui continua a far finta che io non ci sia.
Questa storia non mi piace per niente.
<<Lucas...vuoi dirmi che succede?>>, mi trovo ad esortarlo impaziente. Non ci vediamo da un paio di settimane, precisamente dalla sera del suo compleanno.
Lui si volta e mi indirizza uno sguardo carico di risentimento. <<Succedono tante cose India, ma nessuna ti riguarda. Vai a farti un giro.>> Poi affonda le mani in tasca, mi passa davanti con gli occhi iniettati di rabbia e se ne va senza aggiungere altro.
Odio ammetterlo ma la cosa mi manda completamente fuori di testa.
Ma che gli prende?
<<Aspetta!>> Lo seguo in strada e lo afferro per un polso. <<Vuoi parlare chiaro? Ci rivolgiamo a malapena la parola, cosa posso aver detto che non va?>>
Lucas si blocca di scatto. Abbassa lo sguardo sulla mie dita strette attorno al suo polso e lentamente estrae la mano dalla tasca dei jeans. Tiene un cartoncino stropicciato. Me lo porge ed io lo afferro interdetta. Spiego la carta e riconosco la mia calligrafia. Sono i cinque aggettivi che avevo cestinato.
Avverto un'ondata di imbarazzo che mi investe. E' come in quel gioco al luna park dove col martello bisogna far salire il contrappeso fino alla campana. Il colpo che mi prende fa propagare in fretta calore per tutto il corpo, mi rende incandescenti sia il collo che le guance.
Avvampo.
<<Cos'è, ti sei messo anche a rovistare nella spazzatura adesso?>>
Mi sento in difetto e la migliore difesa è rappresentata dall'attacco.
<<Vedi perché mi fai incazzare?>>, tuona Lucas avvicinandosi pericolosamente con gli occhi iniettati di sangue. <<Sei talmente piena di te che non ti prendi neanche la briga di tentare di giustificare le tue azioni.>>
<<Di quali azioni parli? Quella di aver gettato via un pezzo di carta?>> Quasi urlo mentre gli agito il cartoncino sotto al naso.
Lucas ha la mascella contratta, lo sguardo vitreo e le sopracciglia minacciosamente vicine.
<<Perché non me le dici in faccia certe cose?>>
<<Quanto tempo hai?>>, lo sfido con gli occhi piantati nei suoi.
Dalla bocca di Lucas si libera una risata amara. Fa segno di no con la testa mentre indietreggia allontanandosi. <<Tu sei senza speranza>> afferma puntando il dito nella mia direzione. Poi si volta e continua a camminare lungo il marciapiede.
Salgo in macchina con un diavolo per capello e per tutto il tragitto, da casa a lavoro, tengo la musica a palla. Vorrei tanto che riuscisse a coprire i miei pensieri. Passo dall'istinto omicida a impulsi più innocui che mi indurrebbero a soprassedere. Poi c'è una piccola fiammella che vuole fare da paladina al senso di colpa.
In ufficio non riesco a concentrarmi, intorno a me c'è il solito fermento, ma le voci sono attutite dal frastuono delle mie riflessioni.
Quando arriva la pausa pranzo non resisto più e decido di chiamare Rhonda per chiedere cosa ne pensa di questa faccenda. Le racconto tutto, e cerco di ricordare per filo e per segno ogni parola che ci siamo detti.
<<Wow!>>, esclama alla fine del racconto. <<Non ci sei andata per niente leggera. Non mi ero raccomandata perché gli concedessi una tregua?>>
Maledizione, lo sapevo che lo avrebbe detto.
<<L'ho fatto Rhonda, per ben due settimane è filato tutto liscio.>>
<<Non vale se non vi siete mai incontrati.>>, puntualizza.
Sbuffo di frustrazione mentre addento un bastoncino di liquirizia. <<Va bene, devo salutafti ora. Vedrò di rimefiare.>>
<<Ccccosa?>>
Estraggo di bocca il bastoncino e tampono le labbra con il dorso della mano. <<Ho detto che vedrò di rimediare.>>
La sera, quando torno a casa, le luci dell'appartamento di Lucas sono spente. Vado a farmi una doccia e indosso qualcosa di comodo. Sono esausta, se non fosse per placare il brontolio allo stomaco, filerei dritta a letto senza mangiare. Metto a scaldare una piadina in forno e intanto mi verso un assaggio di vino rosso. Lo sorseggio lentamente camminando per il salotto. Il pensiero di quello che è successo stamattina continua a ronzarmi in testa. È come una mosca intrappolata in un barattolo. Non posso smettere di rimuginarci sopra.
Mi avvicino alla finestra e scosto la tenda. Le luci dell'interno nove ora sono accese. Lucas è rientrato.
Il trillo del forno interrompe il flusso dei miei pensieri. Estraggo la piadina e la farcisco, poi mi accomodo sul divano davanti al televisore acceso. Trascorsi dieci minuti sono sazia, nervosa e percorsa da strane idee. Mi dirigo in cucina e deposito il piatto ed il bicchiere nella lavastoviglie. Appoggio le mani al bancone e rifletto un attimo su quello che mi frulla per la testa.
Voglio veramente andare a bussare a quella porta?
Dal momento che, malgrado le guerriglie interne, la mia volontà risponde di sì, indosso al volo una felpa e prendo le chiavi di casa prima di uscire al freddo. Mi avvicino con passo spedito all'interno nove e suono il campanello senza concedermi ripensamenti.
Dopo poco Lucas apre la porta. L'espressione dipinta sul suo volto dice almeno un paio di cose: prima di tutto che non si aspettava di vedermi; in secondo luogo che non gli è affatto passata.
La porta non è del tutto aperta, solo scostata. Lucas è vestito praticamente come me, solo che ha una t-shirt bianca a maniche corte che mette in mostra i muscoli scolpiti delle braccia. Tiene una mano sul pomello della porta e l'altro braccio teso, appoggiato al muro all'interno dell'appartamento. Mi fissa dubbioso valutando probabilmente se richiudere o meno.  Mi sembra che impieghi un tempo smisurato a decidere. Nessuno dei due emette un fiato, però i nostri sguardi sono perforanti. Quando stacca il palmo dal muro e indietreggia aprendo la porta rimango stupita. Faccio due passi in avanti e varco la soglia. Lucas lascia il pomello con una piccola spinta e la porta si richiude alle mie spalle facendomi sobbalzare. Ed ora eccoci qui. A mani nude, l'uno contro l'altra.


Lucas
Mi porto le mani in testa e massaggio la nuca cercando di raccogliere le idee. Vado verso il bancone della cucina a vista e rovescio nel lavandino la tazzina di caffè che avevo appena preparato. Qualcosa mi dice che è meglio evitare bevande eccitanti. Rischio di inveirle contro con tutta la furia che ho in corpo.
<<Senti Lucas...>>
Il tono della sua voce tradisce nervosismo. <<Non era mia intenzione farti dispiacere.>>
La blocco subito. <<Non sono dispiaciuto. Sono incazzato, è diverso.>>
Faccio il giro del bancone e mi piazzo ad un metro da lei, che invece non ha mai mosso un passo da quando è entrata.
<<Ti spiego una cosa India. Quello, per le persone come te, è il gioco meno adatto. E sai perché?>>, le chiedo con voce aspra senza attendere replica. <<Te lo dico subito. Avresti sparato sentenze su tutti in quel privè, perché sei fatta così. Ti credi l'emblema della perfezione e ti circondi di gente che non si sogna minimamente di contraddirti. E sei ipocrita, perché hai bisogno di un foglio e una penna per esprimere la tua opinione. Ti manca la faccia tosta per guardare la gente negli occhi e vomitargli addosso tutto il tuo disprezzo.>>
Faccio ancora un passo nella sua direzione e la sovrasto con la mia stazza. <<Comunque, non è obbligatorio rivolgerci la parola. Lo sapevi? Ma certo... Tu sai tutto>>, concludo con una risata acida.
India ha gli occhi spiritati e la bocca ridotta ad una sottile fessura. Credo non immetta aria nei polmoni da quando ho iniziato a parlare. È cianotica. Decido di aspettare che si riprenda dallo shock senza aggiungere altro. Forse sarà sufficiente per farla girare sui tacchi ed andarsene.
<<Tu...>>, controbatte invece colpendomi col dito al centro del petto, <<sei un individuo maleducato e irrispettoso. Come ti permetti di darmi dell'ipocrita? Quello che pensavo di te era lampante anche prima di quello stupido gioco. Te lo dimostro ogni volta che ci incontriamo che mi rimani qui' >>, dice indicandosi la gola. <<Non hai mai niente di sensato da dire, ma quando si tratta di sputare veleno su di me riesci perfino ad essere incisivo.>>
<<Ma per chi mi hai preso?>>, sbraito. <<Non sono mica un analfabeta.>>
<<No, sei un cavernicolo, che è peggio! Ma dopotutto cosa ci si poteva aspettare da un figlio di papà come te. Comoda quella poltrona è? Se non fosse per tuo padre staresti col culo per terra.>>
<<Sono schifato. Continui a giudicarmi senza ritegno. Sei pessima India, davvero. Covi rancore come una zitella repressa. Dovresti trovare qualcuno che ti dia una bella ripassata perché di questo passo finirai per mangiarti il fegato>> affondo il colpo senza ritegno.
Lei stavolta rimane impietrita. Ha le guance rosse come un peperone e le tremano le spalle per la rabbia. Fa dei grandi respiri con le labbra socchiuse. La sua espressione mi ricorda quella dei miei avversari in possesso di palla, quando li placco all'interno della loro area di meta. Nel rugby questa azione vale due punti. A casa mia, invece, vale...
Un paio di occhioni inondati di lacrime? Non mi dire cazzo!
Mi si smorzano i pensieri. India sta per piangere.
<<Ero sicuro che con quella lingua biforcuta non avresti avuto problemi a tenermi testa>>, dico impreparato.
<<Lucas...>>
Ha la voce rotta e tremolante. <<Non voglio che tu mi rivolga più la parola.>>
Lotta perché le lacrime non trabocchino dalle sue palpebre.
<<Non sarei mai dovuta venire quì>>, si rammarica voltandomi le spalle e dirigendosi come una furia verso la porta.
Ma poco prima che ruoti il pomello la raggiungo e blocco la porta con la mano. Allungo l'altro braccio contro la parete ed India rimane intrappolata tra me e l'unica via di fuga. Prova a divincolarsi e a tirare il pomello ma la forza che esercito non le permette di aprire. Un attimo dopo, in preda alla frustrazione, appoggia la fronte alla porta e una lacrima amara le solca una guancia.

Nonostante noi.Unde poveștirile trăiesc. Descoperă acum