Capitolo 4 - "Truth"

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Si era chiusa in camera da tre ore esatte. E non aveva fatto niente di niente. Era semplicemente rimasta a fissare il soffitto di camera sua. Non che fosse una novità. Era un hobby rilassante che le svuotava la mente. Perché lei non voleva pensare a niente. Il solo fatto di pensare la portava alle recondite profondità dei suoi ricordi, quelli belli, quelli brutti e quelli dolorosi.
Perché ora mi sono rimasti solo i ricordi brutti e dolorosi. Quelli belli che fine hanno fatto?
Quando cercava di ricordarsi i bei tempi non ci riusciva più. Il dolore offuscava tutto. Si rigirò nelle soffici lenzuola, avvolgendosele intorno al corpo. Si girò finché anche la testa rimase nascosta sotto le lenzuola. Poi scoppiò a ridere. Si era girata così tanto per fare, mentre cercava di non pensare.
Che scema.
Decise di uscire dal bozzolo di lenzuola in cui si era chiusa. Scese lentamente, un piede dopo l'altro. Con calma. Non era sua intenzione stare chiusa lì per tutto il giorno. Sua madre aveva ragione sul fatto che doveva smettere di fare l'eremita. Come una lumaca nascosta eternamente nel suo guscio.
Raccolse la borsa, che aveva poggiato sulla scrivania il giorno prima, e prese la mappa. La aprì e prese una penna rossa. Sopra il quartiere, nel quale era situato casa sua e il tempio, ci scrisse sopra un 2. Ovvero un demone percepito due giorni prima e un altro percepito e visto dal binocolo la sera prima. E in totale, assieme a quello percepito sopra lo Shibuya 109, facevano tre.
Tre demoni. Il primo mi ha svegliato dal lungo coma vegetale, il secondo mi ha fatto sembrare una pazza di fronte a Yuka e il terzo mi ha iniziata al delizioso hobby del birdwatching...
Yuka. Aveva promesso di ritrovarsi con lei e le altre. Come colta da un improvviso allarme ripiegò la mappa, la infilò assieme alla penna nella borsa. Scese di corsa al piano di sotto fino all'ingresso di casa per infilarsi la giacca e il primo paio di scarpe che le capitarono a caso. Salutò la mamma gridando e corse. Corse per prendere un maledetto autobus. Stavolta avrebbe tenuto duro e non sarebbe scesa chilometri prima di arrivare a Shibuya.

~

C'era una sensazione fastidiosa sulla sua fronte. Ci passò sopra una mano e ci trovò un post-it attaccato.
Classico di Brianna. Lascia i post-it ovunque, perfino sugli esseri viventi...
Lo prese e se lo rigirò in mano da poterlo leggere. Quando arrivò sulla firma, gli scappò un sorriso dalle labbra stoiche. Ripiegò il foglietto e se lo mise nel taschino della camicia scura. Si alzò dallo sgabello e osservò il locale. Non c'era nessuno tranne che lui. Guardò l'orologio: erano le 15 precise.
Stavolta ho pensato un po' troppo... quel tempo avrei potuto usarlo per finire tutte le scartoffie.
Con un veloce salto atterrò dietro al bancone. Si volse verso la cassa, l'aprì e prese un paio di chiavi nascoste sotto le banconote. Brianna gliele lasciava lì quando non c'era. Richiuse la cassa e uscì dal bancone attraverso una porta nel retro. Chiuse quella a chiave e salì su per un paio di scale. Arrivò al piano terra del vecchio condominio grigio. Prima di uscire in strada doveva camuffare l'aspetto demoniaco. Frugò nelle tasche dei jeans e trovò il suo orecchino camuffante. Se lo attaccò all'orecchio sinistro. Della nebbiolina bordeaux si formò intorno a lui. Svanì subito dopo, portandosi via le ali, le orecchie appuntite, gli occhi grigi e gli artigli. E con l'aspetto di Kuronuma Shun uscì allo scoperto, perdendosi nella folla umana.

~


Kagome ce l'aveva fatta. Aveva resistito per tutto il tragitto nell'autobus e ne era fiera. Insomma, passare di colpo dall'epoca feudale agli anni 2000 non era facile. Scese alla fermata più vicina alla piazzetta di Hachiko e si sentì sprizzare di un'energia che credeva di aver perduto. Lo shock iniziale per aver perduto l'unico collegamento con la Sengoku jidai l'aveva debilitata sia fisicamente sia mentalmente.
Guardò l'ora dal cellulare. Non ricordava l'ora esatta per quando si doveva ritrovare con le amiche. Avrebbe potuto chiamarle benissimo da casa ma siccome ormai era lì, non aveva senso. E poi non aveva nemmeno i numeri cellulari delle amiche. Gli unici contatti in rubrica erano quelli della sua famiglia: ovvero la mamma e il nonno. Ma non si perse d'animo. Avanzò passo per passo, finché non arrivò davanti alla statua del fidato Hachiko. E per sua fortuna erano tutte e tre lì che la stavano aspettando. Yuka era seduta su uno degli scalini e aveva l'aria annoiata. Ayumi la stava salutando freneticamente con entrambe le braccia, accompagnata da Eri. Kagome corse loro incontro e le abbracciò tutte quante, una a una.
-Un anno. Uno!- la sgrida Eri, mentre si districò dall'abbraccio.
Sventola l'indice alzato davanti al naso di Kagome. La quale scoppia a piangere.

Una decina di minuti più tardi, dopo che le tre ragazze erano riuscite a mettere un freno alle lacrime di Kagome, erano entrate al primo bar capitato e avevano ordinato the freddo assieme a parfait vari. Eri si era messa di fronte a Kagome assieme a Yuka, Ayumi invece le era rimasta vicina, sussurrandole parole di conforto. Quando arrivarono le ordinazioni, Eri aprì bocca e si sfogò. Ce l'aveva con Kagome perché dopo il liceo era svanita di nuovo, per aver perso i contatti con le sue migliori amiche. E mentre Eri parlava, Yuka annuiva in segno d'assenso. Ayumi rimase zitta.
-Ragazze... avete ragione ad avercela con me. Ma sono successe tante di quelle cose... - disse Kagome, mentre prese un sorso di the.
Le stavano tremando violentemente le mani. Quasi perse il controllo sulla tazzina di the, ma alla fine riuscì a rimetterla sul piattino senza far danni. Non voleva riaprire quelle ferite. Ma non voleva nemmeno perdere le sue uniche amiche. Così ingoiò il groppo che le si era formato in gola e raccontò loro la sua storia, ommettendo il lato sovrannaturale. Raccontò a loro come alla fine Inu-Yasha aveva scelto l'altra. Di come la strega si era lavorata per bene il suo primo amore e i suoi amici, facendo cadere la scelta su di lei piuttosto che su Kagome. E alla fine l'aveva fatta estraniare da loro, spezzando l'amicizia che li legava. Si era presa tutto: il suo amore e i suoi più cari amici.
Eri l'aveva ascoltata senza battere ciglio. Yuka aveva abbassato la testa, nascondendo il suo sguardo preoccupato. Ad Ayumi erano scese le lacrime.
-Chi sono questi amici che hai perso? Non li hai mai nominati in nostra presenza!- disse Eri, appena Kagome aveva finito di raccontare.
La verità, si era detta Kagome.
-Li ho conosciuti in viaggio con Inu-Yasha- rispose.
-Che viaggio?- domandò Yuka in tono accusatorio.
-Io... non ero malata quando ero assente da scuola. Partivo ogni volta per un luogo lontano, irraggiungibile ora- rispose lei, con la voce che tremava.
Notò come Ayumi si allontanò da lei, per raggiungere le altre, raggiungendo il lato opposto della tavola. Ora aveva anche lei lo sguardo tradito, ferito.
-Ragazze, non riuscireste a capire anche se ve lo spiegassi... -.
-Spiegacelo, Kagome- dissero tutte e tre, fissandola di traverso.
Kagome boccheggiò. Non poteva dirglielo, non voleva. Perché tanto non l'avrebbero mai capita. Le persone normali, che non avevano mai avuto un contatto con gli youkai, non potevano capirla.
Osservò, senza dire né fare niente a proposito, come le sue amiche si alzarono e se ne andarono.
Le ho perse. Ora sì che sono completamente sola. Colpa mia, solo per il fatto che per una volta volevo dire nient'altro che la verità.

~


Il sole stava tramontando e il cielo non prometteva stelle nemmeno stasera. E al posto del sole arrivarono delle nuvole plumbee, tempestose. Il cielo si ricoprì di un manto grigiastro e infine, con un gran scisma tuonante, scoppiò a piangere. Nessun uccello in vista. Ma qualcosa si stagliò, coraggiosamente, in mezzo a quel tempo furibondo. La sagoma nera si fiondò in picchiata giù per la città, zigzagando tra la moltitudine di grattacieli della metropoli. Aveva dalla sua parte il temporale: nessuno avrebbe alzato lo sguardo con quella tormenta in corso.
Karasu scelse di atterrare sul tetto dello Shibuya 109. Amava osservare il panorama dall'alto. Amava la sensazione di come tutta quella moltitudine di gente, che a lui parevano insetti, fuggiva dalla forza dirompente di Madre Natura. In tutti quei secoli gli umani non erano cambiati per niente. Eterni vigliacchi da soli, ma se sono in tanti si credevano dio. Ma qui vero dio si stava scatenando in tutta la sua sinfonia di tuoni, fulmini e correnti d'aria.
Ma una persona, una ragazza, era rimasta dov'era senza spostarsi. Sé ne stava lì a infradiciarsi tutta quanta. Karasu affilò lo sguardo e la osservò meglio. Era la ragazza che aveva spiato l'altra sera, la presunta miko.
Ma cosa aspetta? Qualcuno che le ha dato buca?
Decise di scendere e di avvicinarsi. Aveva la sensazione che la ragazza non era del tutto normale. Spiegò le sue ali corvine e planò giù, zigzagando velocemente. In quel modo nessuno l'avrebbe notato. Atterrò nella zona verde della piazzetta, in mezzo agli alberi. Si rimise l'orecchino e si avvicinò alla statua, sedendosi sul lato opposto a quello della ragazza. Rimase in attesa per qualche istante, prima di avvicinarsi di qualche metro. Quando poi decise di farlo, si fermò. Notò che mischiato assieme agli ululati del vento c'erano dei singhiozzi. La ragazza era in preda ad una crisi di pianto. Touché, quello era il suo punto debole. Non riusciva a starsene lì, mentre lei piangeva.
Le ragazze non sono fatte per piangere.
Si alzò e la raggiunse. Quando le fu di fronte le offrì un fazzoletto. Si aspettò uno sguardo colmo di dolore. Non quello furibondo che la ragazza gli riservò, appena lei alzò la testa.
Improvvisamente sentì un lungo brivido freddo scendergli giù per la schiena.
-Youkai-.
Ma come diavolo fa a saperlo?!



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