Capitolo 7 -"Mistake"

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Non aveva mai osato rispondere male alla madre e nientemeno sbattere la porta, con tale violenza poi. Ma non aveva spazio per quello ora. Aveva solo un unico pensiero che martellava, in maniera atroce, nella scatola cranica:
Inu-Yasha è qui!
Andava avanti e indietro, freneticamente. Pareva una bestia in gabbia. Gironzolò in tondo per dieci minuti buoni, prima di accorgersi che era completamente zuppa d'acqua. Si tolse la giacca, buttandola senza complimenti in terra. Poi passò ai calzini. Li appallottolò e li gettò via. Di solito i panni sporchi li metteva nel cestino di tela che teneva accanto al letto. In quel momento il cervello era solo impostato su quell'unico pensiero, che la stava letteralmente torturando, perciò era incapace di seguire la sua routine quotidiana. Il suo corpo fu colto da brividi freddi, dato che indossava ancora tutto quel fradiciume. Decise di fare una doccia calda.
Noncurante di esser sentita e vista, Kagome uscì dalla sua stanza, marciando come un elefante con i piedi scalzi. Per sua fortuna non trovò nessuno dei suoi familiari tra i piedi. Preferiva evitare di fare altre scenate come quella accaduta pochi momenti fa con la madre. Si chiuse in bagno e liberatasi dagli abiti fradici, si dedicò alla doccia. L'acqua calda fluì incessantemente per molti attimi, attimi dedicati a lunghe riflessioni. Le era successo di tutto in poche ore.
Aveva tentato di essere finalmente sincera con le sue uniche amiche, nonostante il dolore di riesumare vecchi ricordi, per poi ritrovarsi completamente sola e abbandonata. E dopo era apparso il demone guardone, quello che l'aveva spiata qualche sera fa, che aveva osato avvicinarsi. Uno youkai corvo alquanto tosto, visto che si era avvicinato all'unica miko vivente, cadaveri a parte. Le aveva proposto di prendere del tè, ma l'invito si era rivelato una trappola ordita da una ragazza, forse anche lei youkai, e un tizio dai capelli color argento e dalla voce praticamente uguale aInu-Yasha. E lei alla fine era scappata come una fifona.
Vuol dire che non ho il coraggio di affrontarlo. Se poi la trappola era destinata a me, era sicuramente un'idea che proveniva da un cervello putrescente. Aspetta... ma se è formata solo di cenere e terra com'è possibile...
Era rimasta più sbalordita dal fatto che la sua antenata putrefatta non aveva il cervello che dall'improvvisa entrata in scena del suo primo amore. E poco dopo era piegata in due dal ridere.

Stavolta si svegliò senza l'ausilio della sveglia scassa-timpani. Grazie al cincischiare degli uccellini, Kagome si era alzata di cattivo umore. Spostò una delle tende e constatò che era solo l'alba. Lasciò perdere l'idea di rimettersi a dormire. Ormai era completamente sveglia.
Di solito adoro gli uccellini, ma in questo momento ho una voglia morbosa di avere con me il mio fidato arco per qualche tiro a segno.
Si stupì di sentirsi così cattiva. Ma le venne naturale accettarlo, ricordandosi degli eventi recenti.
Tre amiche che infine non si sono rivelate amiche e un'improvvisa apparizione di quello stupido. Qualche nota di preavviso mi avrebbe fatto piacere.
Scese in cucina, facendo meno rumore possibile, per fare colazione. Si era appena ricordata la sera precedente era andata a letto a stomaco vuoto. Aprì il frigo e prese i primi avanzi che le capitarono tra le mani. Ingoiò tutto in pochi bocconi veloci. Mentre stava sistemando il piatto sporco nella lavastoviglie, non si accorse che Sota e Buta, il vecchio gatto degli Higurashi, erano entrati in cucina.
«Nee-chan?» parlò timidamente il fratello.
Sobbalzò per lo spavento, perdendo la presa del bicchiere che stava sistemando. Il bicchiere cadde a terra, frantumandosi in tanti piccoli pezzi. Kagome guardò i relativi pezzi per un lungo attimo, prima di volgere la sua attenzione al fratello.
«Cosa c'è, Sota?».
Sota si ammutolì appena la guardò in faccia. La sorella aveva una vena tesa, proprio sulla tempia, che rischiava scoppiare da un momento all'altro. Con un'alzata di spalle, il ragazzino si dileguò dalla cucina, assieme ad un Buta alquanto spaventato.

~


Non aveva mai conosciuto suo zio. Ma era sempre stato curioso di poterlo incontrare, almeno una volta. Aveva pregato suo padre tante volte. Ma la risposta era sempre stata la stessa:
«Gin, tuo zio è morto».
Ma Gin non ci aveva mai creduto. Aveva sentito voci in giro. Voci che dicevano che tra i due fratellastri, Sesshomaru e Inu-Yasha, non era mai corso buon sangue. Altre voci insinuavano che Inu-Yasha aveva deluso profondamente Sesshomaru. Ma mai nessuna voce aveva affermato che fosse morto.
Quando a Gin furono insegnate l'arte della lettura e della scrittura, il piccolo mezzodemone aveva finalmente ottenuto il permesso di accedere alla biblioteca di famiglia. Tra gli scaffali figuravano tanti esemplari di scritti preziosi che trattavano molti argomenti interessanti, ma Gin aveva solo interesse per l'albero genealogico della sua famiglia. Afferrato il tomo e nascosto sotto il kimono, Gin corse in camera, per poterlo leggere in gran segreto. Scoprì che suo zio come lui, era un hanyo. Cosa che lo rallegrò non poco. Pensando di essere l'unico caso di mezzosangue in famiglia, Gin si era sempre sentito inadeguato agli occhi di tutti, e soprattutto sotto quelli del padre. Da quel giorno giurò a se stesso che lo avrebbe incontrato, non importava come.

Che strano. Non aveva più sognato quelle cose da almeno cento anni. Si stropicciò l'occhio sinistro, e con l'altro aperto guardò che ore fossero. La radiosveglia segnava le undici meno un quarto. Scese dal letto e indossò il primo indumento che gli capitò. Per fortuna si trattava del suo yukata preferito. Quasi rischiò di inciampare quando aveva attraversato tutto il casino che troneggiava su tutto il pavimento.
Mi sa che è ora di chiamare la donna delle pulizie...
Lasciatosi addietro il caos, uscì dalla camera per andare a farsi una doccia. Fredda.

Uno squillo echeggiò per il grande appartamento. Gin, che aveva appena terminato di far colazione, si alzò dalla tavola per rispondere al cellulare. Lo trovò incastrato dentro ad uno dei solchi del sofà. Sul display lampeggiava il nome di Brianna. Era tentato di ignorare la chiamata. Brianna tendeva a tenere la gente per ore al cellulare e in più si lagnava spesso. Lasciò cadere il cellulare dove l'aveva trovato. Brianna cercò di richiamarlo per altre cinque volte, tutte di fila. Al quinto tentativo da parte della sua sottoposta, i denti di Gin cominciarono a digrignare. Ebbe l'impulso nervoso di spaccare il cellulare con le zanne, le quali erano sporse a tratti tra le labbra. Il cellulare smise di squillare proprio quando Gin se lo stava per mettere tra i canini.

Wrong TimeWhere stories live. Discover now