Capitolo 8 - "The Meeting"

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Quello che si stava avvicinando pericolosamente al bidone non era Inu-Yasha. Aveva sì le orecchie canine e i capelli argentati, ma erano gli unici tratti che lo accomunavano con il suo primo amore. Sulla fronte troneggiava una mezzaluna blu e su entrambi gli zigomi due linee color magenta. Quando il cervello fece due più due, Kagome finalmente riuscì a capire:
quello che aveva scambiato per Inu-Yasha era in realtà il figlio di Sesshomaru.
Che idiota, che idiota!
E continuò a insultarsi per non essersi resa conto che ora l'hanyo era di fronte a lei, con zanne e artigli sfoderati. Dagli artigli sguainati stava colando un liquido verde brillante.
Non mi dire che intende usare il Dokkasou su di me?!
Si alzò di scatto, evitando per un pelo l'attacco velenoso destinato a lei. Ma non era finita lì; il mezzodemone aveva corretto la traiettoria dell'attacco a mezz'aria e la stava per raggiungere. Istintivamente, Kagome protese entrambe le mani in avanti, infondendoci i suoi poteri purificatori. Ma non ci fu nessuno scontro tra i due. L'hanyo si era ritratto subito quando le mani di Kagome si erano illuminate di un celeste acceso, balzando via da lei.
«Gin! Non agitarla!» gridò Karasu, mentre s'avvicinava volando.
Gin rispose ringhiando e mostrando un dito medio artigliato al suo sottoposto. Ma nonostante l'avversità che stava mostrando, rimase fermo lì ad aspettare il compare. Intanto, Kagome si era alzata da terra e si era allontanata un paio di metri, cercando di mettere una distanza di sicurezza tra sé e gli youkai. Appoggiò la schiena contro il muro e aspettò che Karasu raggiungesse Gin. Quando atterrò accanto a lui, Karasu le rivolse un sorriso imbarazzato.
«Non era nostra intenzione spaventarti, miko» le disse, alzando le mani a mo' di arresa.
Kagome annuì solamente. Non riusciva ancora a realizzare l'idea di trovarsi di fronte il figlio di Sesshomaru, per di più sotto le spoglie di un mezzodemone.
Ero sicura che Sesshomaru odiasse gli hanyo... e poi chi è la madre?
Stava per chiedergli se era figlio di Sesshomaru e Rin, ma si tappò subito la bocca.
Zitta, potrebbero non sapere un accidente di te, Kagome. Solo Inu-Yasha e gli altri sapevano che venivo dal futuro... e forse quella maledetta traditrice cadaverica si è anche presa tutto il merito del mio contributo!
Cercò di darsi una calmata e di affrontare i demoni che aveva di fronte. Doveva smetterla di rievocare i demoni del passato. Si schiarì la gola, prima di parlare:
«Spaventare? Più che altro avete tentato di catturarmi e uccidermi allo stesso tempo!».
Karasu stava per ribattere, ma Gin lo precedette, e con irruenza:
«Sei tu che hai invaso il nostro territorio e hai portato scompiglio, umana!».
Umana. Sesshomaru non è nemmeno qui, ma il suo sangue ne fa le veci, a quanto pare...
«Parla per te, hanyo!» disse Kagome, stizzita.
La rabbia di Gin defluì all'istante e l'indignazione prese il suo posto. Strinse i pugni più a fondo di quanto stava facendo prima, imprimendo gli artigli nella carne. Karasu stava per posargli una mano sulla spalla, ma ci ripensò. Poi volse un'occhiata a Kagome, cercando di farle capire che non era il caso che rimanesse lì. Kagome recepì il messaggio e s'incamminò verso la strada. Era contrariata e allo stesso tempo felice di scampare una morte certa.
«Come fai a sapere che in me scorre sangue umano?».
Quella domanda, giunta così inaspettatamente, le accese un campanello d'allarme nella testa. Si era tradita da sola. Ma prima che potesse anche solo fare un passo, la mano artigliata di Gin la fermò. La trascinò di peso con sé, con un Karasu che lo seguiva, perplesso. Quando arrivò di fronte alla porta blindata, la buttò giù con un calcio. Poi spinse Kagome dentro il corridoio che portava alla sala principale del pub.
«Ma come ti permetti?» protestò lei, girandosi.
Gin, ignorando le sue proteste, continuò a spingerla verso la sala.
Kagome infine s'arrese e seguì le direttive di Gin. Le indicò uno dei tanti tavoli e lei occupòil primo che le capitò. Gin si sedette di fronte a lei, e Karasu fece altrettanto.
«Non mi offrite neanche una tazza di tè?» chiese Kagome, rivolgendo lo sguardo a Karasu.
«Falle 'sto dannato tè» ordinò Gin.
Karasu si alzò controvoglia. Sapeva che lasciare quei due da soli era una cattiva idea, con Gin che bolliva come una teiera e la sacerdotessa che continuava a non rendere facili le cose. Ma fuggì in fretta e furia quando Gin lo fissò con lo sguardo che tendeva di nuovo verso il rosso.
Quando Karasu entrò in cucina, Gin rivolse lo sguardo alla ragazza di fronte a sé. Lei contraccambiò con uno sguardo irritato e senza la paura che di solito albergava dentro gli occhi di tutti gli umani che lo avevano servito e riverito come una divinità. La ragazza non aveva battuto ciglio nemmeno quando i suoi occhi erano diventati rossi.
«Il tuo nome, miko» disse poi.
«Kagome».
Aveva aperto bocca e la voce era uscita fluida come l'acqua, senza balbettii e con un'inflessione sicura. Kagome lo stava letteralmente sbalordendo, con quei gesti dettati da una sicurezza e tenacia che nessuna donna odierna possedeva. Pareva uscita fuori da uno di quei tanti racconti dell'epoca Sengoku che suo padre era stato solito raccontare, quando era stato nient'altro che un cucciolo.
«Sei fortunata a trovarti al mio cospetto, Kagome. Se la fazione nemica sapesse di te, saresti morta e sepolta già da un pezzo» disse Gin.
Kagome non sapeva che dire. Il mezzodemone che stava cercando di intimorirla in ogni modo che gli era possibile, era così pieno di sé e altezzoso. Non si era preso la briga di modernizzarsi come il suo sottoposto, da quel che aveva capito Karasu serviva Gin, e la cosa la stava infastidendo.
Altezzoso quanto Sesshomaru e irriverente come suo zio il traditore.
«Gin, giusto? Sarò sincera con te. Odio i tipi tronfi come te e preferirei mille volte dialogare con il tuo sottoposto, che è molto educato e gentile, al contrario di te!» disse Kagome.
Aveva ribattuto stizzita e senza rendersi conto che aveva alzato la voce. Un ringhio echeggiò dalla gola di Gin attirando il suo sguardo in quello rosso fuoco di lui. Osservò come lui si stava mordicchiando freneticamente il labbro inferiore con i canini. Se lei calcava ancora un po' con le parole, di sicuro mancava poco che lui mordesse quel labbro con ancora più ferocia, ferendosi. Kagome intuì che Gin si stava trattenendo dall'idea di ammazzarla lì seduta stante.
Il loro contatto visivo s'interruppe quando Karasu appoggiò due tazze di tè, con un clangore eccessivo, sul tavolo. Poco dopo sparì di nuovo nella cucina per poi tornare con dei dolci per accompagnarli al tè. Quando finì, tornò al suo posto, accanto a Gin. Appena il demone corvo si era seduto accanto a lui, Gin si era calmato e aveva approfittato di quel momento per tenere a bada i suoi artigli velenosi. Poi, come se le parole piene di odio della ragazza non l'avessero toccato, continuò il suo discorso:
«Mi dispiace, ma per ora dovrai accontentarti di me. Allora, dove eravamo rimasti?».
Kagome, che non aveva fatto caso a cosa aveva appena detto, era rimasta distratta da come Gin si era calmato nel giro di un secondo.
Inu-Yasha avrebbe già spaccato il tavolo dalla rabbia. Si vede che è figlio di Sesshomaru.
«Kagome?».
La voce di Karasu la riportò alla realtà. Con una casuale alzata di spalle, Kagome tornò a concentrarsi sui due youkai e al suo tè.
«Dunque, chi sarebbero questi nemici?» domandò, mentre intingeva un dolce nel tè.
Gin ridusse gli occhi a due fessure.
«Sei nel mio territorio, umana. Le domande qui le faccio io» disse, alzando il mento in segno di sfida.
Sfida che Kagome non colse perché stava focalizzando tutta la sua attenzione sulla tazza di tè. L'aveva ignorato deliberatamente. Digrignò i denti, cercando di calmare la rabbia che gli cresceva dentro. Era incredibile come una semplice umana riuscisse a fargli perdere le staffe con semplici gesti del corpo.
Brianna in confronto è un fiore. Questa Kagome non si rende conto con chi ha a che fare, eh?
Scrocchiò entrambe le mani e le appoggiò sul tavolo. Inspirò un paio di volte e quando si sentì capace di proferire parola, disse:
«Sono secoli che la tua stirpe si è estinta, umana. I miei nemici sono anche i tuoi, per il solo fatto che esisti. Ti conviene collaborare se ci tieni alla tua vita».
Poiché ribattere non le avrebbe portato nient'altro che un mezzodemone incazzato, Kagome smise di stuzzicarlo e, anche se con molta irritazione e sdegno, annuì alle parole di Gin. Decise di dirgli la verità, con varie omissioni qua e là:
«Come ho già accennato a Karasu, discendo da una miko. I miei poteri si sono risvegliati quando sono venuta a contatto con una maschera carnivora, anni fa».
Insomma, tralasciò tutto. Per non ricordare e non peggiorare la sua situazione.
«E questa maschera? Di solito noi youkai non attacchiamo a prima vista voi umani» domandò Karasu.
Si vede che lui è il cervello di questo gruppo...
«Era un semplice oggetto indemoniato. Da quel che so, è che non era come voi, intelligenti e ben nascosti dalla comunità umana» rispose Kagome.
«Insomma, ti attacca e tu la distruggi, col semplice tocco di una mano?» commentò sarcastico Gin.
Non poteva crederci. Una ragazzina ignorante che all'improvviso si ritrova attaccata da uno youkai, anche se di livello infimo, non è capace di purificarlo così per caso. Kagome non gliela stava raccontando giusta. Anche se dal corpo della ragazza sentiva solo odori umani e d'incenso, c'erano altri, che le erano rimasti attaccati nonostante i vari lavaggi subiti col passare del tempo. Si concentrò a fondo, cercando di associarli a qualcosa.
«Sì. Purificato in un sol colpo» ribatté Kagome.
La sua voce, tagliente e forte, lo distrasse. Colse una nota di sfida e troppa sicurezza in quella frase appena pronunciata.
«E per oggi questo è tutto. Devo tornare a casa».
«Lasciaci un recapito e potrai andartene» le ordinò l'hanyo.
E lo fece.

Pochi minuti dopo, Gin si alzò e piantò un pugno nel primo muro che trovò. Karasu non disse niente. Sapeva perfettamente che in momenti come questi era meglio lasciarlo sbollire. Aveva imparato a sue spese di cosa fosse capace il suo capo.
«Maledetta bugiarda! Crede di cavarsela raccontando bugie a destra e manca?» sbraitò il mezzodemone.
«Ci ha preso in giro per tutto il tempo?» gli chiese Karasu.
«Certamente! Una che puzza di cadaveri e demoni vari e purifica un youkai infimo per puro colpo di fortuna non è normale!» rispose Gin, digrignando rumorosamente.
Dalla rabbia si era morso il labbro inferiore.
«Signore, lei sta sanguinando!».
Toki, che era appena entrato dalla porta sfondata, stava indicando il suo padrone, alquanto agitato. Gin si leccò rapidamente il labbro. Ormai per lui, quella era un'abitudine dura a morire. Gli capitava ogni volta che perdeva le staffe. Le prime volte furono quando il padre gli aveva negato il permesso di andare a trovare suo zio, Inu-Yasha. Inu-Yasha. Un nome che portava solo scompiglio in famiglia e, anche se suo padre lo negava, nella loro comunità demoniaca.
Dette un ultimo pugno al muro e si volse verso il suo braccio destro.
«Stanotte va a tenerla d'occhio» disse Gin.
Karasu annuì solamente, mentre osservò Gin che sé ne andava, passando attraverso quel che restava della porta.

˜


Kagome stentava a crederci. Era uscita di casa credendo di incontrare Inu-Yasha, anziché il figlio di Sesshoumarou, Gin. E per giunta un mezzodemone! Sarà anche stata inflessibile e, cosa che non faceva da tanto tempo, aveva tenuto testa a un altro mezzodemone cocciuto, oltre ad Inu-Yasha. Una giornata fuori dal comune. E non era niente male la via che stava prendendo la sua vita.
Niente male un corno, Kagome!
Per quanto riguardava il fattore fuori dal normale era ok, ma per quello normale? Aveva diciannove anni suonati, il quale stava per iscriversi all'università o lavorare. Non era ancora un ronin, dato che non aveva mai sostenuto un esame d'ammissione in una qualsiasi università, ma tra poco l'avrebbero etichettata come una NEET. Non che le importava. Ma a sua madre importava eccome.
Per darle un po' di pace dovrei tentare qualche esame d'ammissione, ma ormai ho sforato col tempo...
Non le rimaneva che cercarsi un lavoro. Doveva rendersi indipendenti agli occhi di sua madre. Solo così avrebbe potuto rimettere a posto la sua vita normale


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