Capitolo 3:"la batteria del mio telefono dura più delle tue promesse."

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Dopo neanche un anno Stefano si dimenticò di tutti e 4, si dimenticò di me. Esisteva solo Marina per lui.
Mi aveva promesso che la nostra amicizia non sarebbe cambiata, ma a cambiare è stato lui.
Non era più quello timido e legato a me, no...era scontroso e non mi parlava quasi mai e a volte nei messaggi mi scriveva normalmente, era diventato bipolare.
Appena mi accorsi che i miei sentimenti invece di diminuire aumentarono, mi rinchiusi in camera a piangere, per giorni, un giorno Stefano venne a casa mia, mia madre e lo fece entrare e lui aprì la porta, mi guardò, il suo sorriso si spense sul suo volto nel momento in cui vide le mie lacrime, si precipitò subito vicino a me e si inginocchiò, visto che ero raggomitolato in un angolo della stanza:"Sascha." Disse, restò a fissarmi per un po e poi mi abbracciò, mi mancava abbracciarlo, mi mancava tutto di lui, lui mi accarezzò la schiena e io continuai a singhiozzare sulla sua spalla:"ci sono io." Disse, io piansi ancora di più e mi strinsi a lui, erano mesi che portavo orgoglio per non abbattermi, non piangevo da mesi, non mi toccava neanche la spalla da mesi, non lo vedevo quasi mai e questo mi tormentava., era la mia esistenza. Non mi staccai dalle sue braccia e neanche lui era procinto a farlo, ma a un certo punto sciolse un po l'abbraccio per guardarmi in faccia, io non lo guardai negli occhi, mi fermai al suo maglione di cotone:"mi dici che hai?" Mi tolse gli occhiali e con l'indice mi pulì le lacrime che scorrevano ancora sul mio volto, poi me li rimise.
"Vattene Stefano." Dissi con un filo di voce vattene ti prego. "No, non me ne vado finché non mi dici perché stai piangendo." A stento, barcollando, mi alzai lui mi tenne le braccia, si vedeva che non mi reggevo in piedi, quando fui stabile mi lasciò, tutti quei gesti mi toglievano il fiato e il cuore mi esplodeva nel petto, finalmente lo guardai quasi con odio, lui fu spaventato da quello sguardo:"HAI ABBANDONATO TUTTI STEFANO, ME SOPRATTUTTO, NON SONO UN CRISTO DI OGGETTO. HO DEI SENTIMENTI, MI HAI USATO, AVEVI PROMESSO CHE NON AVREBBE INTRALCIATO NELLA NOSTRA AMICIZIA, EPPURE- mi fermai per prendere fiato visto che stavo urlando- EPPURE GUARDATI, GUARDAMI...PER CHI CREDI STIA PIANGENDO IO ADESSO?!" Lui mi guardò, le lacrime uscirono più copiose dai miei occhi, lui mi prese il braccio:"Sascha." Tempo fa amavo quel tono che usava quando era serio e preoccupato e chissà che cosa voleva dire, io gli tolsi ancora una volta il braccio, guardavo le vene del mio, che pulsavano come non mai, non sono mai stato manesco, ma avrei voluto tirargli un pugno così tanto che serrai le mani, lui rimase lì a guardarmi e poi si sedette ai miei piedi, mi guardava dal basso verso l'alto, fece un sorriso sforzato e batté la mano sul pavimento della mia camera davanti a lui, dicendomi di sedermi di fronte a lui, io rimasi in piedi, lui continuò a guardarmi e alla fine mi sedetti, ma lo guardai con lo stesso sguardo con cui lo guardavo da quando era entrato, non distolsi lo sguardo da lui neanche un secondo, mentre lui guardava me e intanto si arricciava le stringhe del pantalone:"Sascha io non vi ho abbandonato, non ti ho abbandonato." Io a quel punto mi buttai addosso a lui cercando di tirargli un pugno, ma lui mi parò, sorrise:"sapevo l'avresti fatto." Non mi lasciò le mani, rimase così e io rimasi a guardarlo, vedevo nel suo sguardo qualcosa che brillava, poi sentii qualcuno salire le scale allora Stefano mi fece rotolare e poi corse dall'altra parte della stanza, entrò mia madre, io cercai di mettermi composto:"Stefano, vuoi qualcosa?" Lui era rosso e disse:"n-no." Mia madre si avvicinò a lui:"stai bene? Sembra tipo che hai la febbre." "N-no no sto bene." Dopo di che mia madre annuì e uscì dalla stanza lasciandoci di nuovo da soli, Stefano seduto sul pavimento mi guardò, io lo guardai, poi mi alzai e decisi di uscire dalla stanza, lui mi prese per il braccio:"dove stai andando?" "Perché devo risponderti?" Stefano guardò a terra e poi di nuovo i miei occhi, deglutì e poi lentamente mi mollò il braccio, allora proseguii verso la porta di casa e uscii, diretto a chissà dove.

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