Capitolo tre-Glicine

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Dieci anni dopo

Jule May

-Hai finito qui?- una testa piena di riccioli biondi fece capolino dalla porta. Le lanciai uno sguardo affettuoso. Volevo bene alla ragazza con quegli occhi blu notte. La conoscevo da tempo, ormai.

-Che ci fai ancora qui?- chiesi con un sopracciglio alzato. Era tardi; o almeno lo supposi dall'intero ufficio vuoto e dalle luci accese al di fuori dell'ufficio. Avevo iniziato a lavorare da pochi mesi. Ero stata da poco assunta a tempo pieno in una delle aziende più importanti della città. Mi occupavo di edilizia, più precisamente di architettura. Sebbene fossi solo un'impiegata, speravo che un giorno avrei spiccato il volo e sarei riuscita a diventare la direttrice di quell'impresa. Era la mia più grande ambizione.

E poi c'era lei: la mia migliore amica da più di sei anni. L'avevo conosciuta durante l'ultimo anno di liceo. Era un Venerdì come tanti. Mi ero alzata dal letto con espressione raggiante, sapendo che l'indomani sarei andata al bowling con il ragazzo più carino della scuola. Sembrava quasi che fosse stato un dettaglio irrilevante il fatto che non saremmo stati soli; ma a me non importava più di tanto. M'interessava soltanto poter passare del tempo con lui. Sapevo di essere una bella ragazza. Quando le persone intorno a me facevano dei complimenti sul mio aspetto fisico, non negavo che avessero ragione. Ero nel mio periodo di transizione all'età adulta. Volevo semplicemente godermi a pieno l'ultimo anno di svago che mi restava. E il mio egocentrismo era alle stelle. Non mi rendevo conto del mio comportamento. O, almeno, finché non mi fu fatto notare. E ci pensò lei ad aprirmi gli occhi.

Stavo sistemando il mio armadietto, nonostante fosse perfettamente in ordine. Ero assorta nei miei progetti per il Sabato sera. Una parte di me, quella piccola parte che non amava la compagnia, avrebbe preferito restare a casa a leggere un buon libro. Ma il mio desiderio di farmi notare e gli addominali scolpiti del ragazzo con cui sarei dovuta uscire riuscivano a soffocare la mia indole solitaria. A pensarci ora, a distanza di molti anni, mi sento una completa idiota.

Con un tonfo, avevo richiuso l'armadietto e stavo frugando nello zaino per trovare il mio specchietto. La campanella non era ancora suonata, perciò decisi di dirigermi al bagno delle ragazze. Almeno avrei avuto una base su cui appoggiare lo zaino. Quel Venerdì la scuola sembrava deserta. Il giorno prima c'era stata una mega festa di una confraternita e quasi tutti gli studenti avevano partecipato. A dispetto delle previsioni, avevo deciso di restare a casa e guardare un film strappalacrime con la mamma. Non passavamo molto tempo insieme, soprattutto per i suoi orari insostenibili. Papà era sempre più indaffarato nella contabilità di casa e lo vedevo meno spesso. Mi mancava trascorrere con lui tutte le sere a giocare a scacchi o a leggere un libro. Mi sentivo sempre più sola. Probabilmente era questo il motivo che mi spingeva a farmi notare a scuola. Avevo bisogno di quell'affetto che stava venendo meno all'interno del mio nido familiare.

Entrai nel bagno a passo spedito ed appoggiai lo zaino accanto ai lavandini. Pensavo di essere sola. Non si sentiva un solo rumore intorno a me. Afferrai lo specchietto e controllai che i capelli fossero in ordine. Attraverso il riflesso, mi accorsi che c'era una persona al lato opposto del bagno. Stava guardando fuori dalla finestra. Sembrava assorta completamente nei suoi pensieri. Mi girai verso di lei.

La prima cosa che mi colpì di lei furono i capelli: erano corti e ricci. Vista da lontano sembrava quasi un ragazzo. Intuivo il colore degli occhi attraverso il riflesso del sole. Erano azzurri, azzurri scuro. Posai lo specchietto nello zaino e me lo misi in spalla. Mi incuriosiva, quella ragazza. Aveva un non so che di misterioso ed affascinante. La ragazza in cerca di popolarità non si sarebbe mai avvicinata a lei; ma la vecchia Jule May desiderava conoscerla.

Mi appoggiai al davanzale della finestra, proprio acanto a lei. Sentii il suo sguardo posarsi su di me e studiarmi fin nei minimi particolari. Le sorrisi leggermente. Lei sembrò sorpresa da quel gesto, ma non ci mise molto a ricambiarlo.

-La scuola sembra una casa abbandonata, oggi.- affermai-Sono andati tutti alla festa alla confraternita.-

Lei annuì e rise di gusto. La guardai incuriosita-Tu eri lì?- domandai con una punta di sorpresa nella voce.

-Puoi dirlo forte.- il suo tono di voce era cristallino, leggermente alterato dalle risate.

-Raccontami tutto, ragazza festaiola!- mi girai verso di lei e le rivolsi la mia completa attenzione. Ero curiosa di sapere cosa era successo in mia assenza.

Lei fece spalluce-Niente di che, a dirla tutta. Le solite cose. Tutta la squadra di football era ubriaca e Lucy Adams si è gentilmente denudata davanti a tutti. È stata una festa...noiosa.- disse quest'ultimo termine sbuffando-Sinceramente, mi aspettavo qualcosa di più. Ma, evidentemente non ci si può aspettare molto da un quoziente intellettivo medio non molto alto.-

Strabuzzai gli occhi per qualche secondo e scoppiai a ridere:-È la stessa cosa che ho pensato io esattamente un anno fa! Le vecchiette del mio quartiere organizzano sedute di poker più interessanti ed emozionanti.-

Lei alzò un sopracciglio e rise leggermente nel sentire la mia affermazione. Si appoggiò meglio al davanzale della finestra e si girò nuovamente dall'altra parte, osservando il paesaggio al di fuori.

-Vorrei essere oltre quel cancello verde arrugginito.- sussurrò, riferendosi al maestoso cancello della scuola-Mi piacerebbe trascorrere una giornata così bella all'aria aperta. Penso sia davvero un peccato stare chiusi in questo edificio quando c'è un intero mondo per noi. Un mondo che aspetta solo di essere conosciuto.-

Aveva lo sguardo quasi perso nel vuoto, assorto in chissà quale altre pensiero. Quella ragazza aveva catturato la mia attenzione fin dal primo momento. E non mi ero sbagliata sul suo conto: era davvero diversa da tutte le altre persone che avevo conosciuto nella mia vita.

-Hai proprio ragione.- sussurrai-Sarebbe bello poter uscire di qui adesso e andare a visitare quel mondo di cui sembri tanto invaghita. Ma, hai mai pensato di poter rimanere delusa da ciò che i tuoi occhi vedrebbero e le tue orecchie sentirebbero? Quel mondo di cui tu tanto parli non è così bello come viene dipinto dalla nostra immaginazione.-

Lei mi guardò. I suoi occhi incontrarono i miei. Notai che sul suo viso c'era un'espressione pensierosa, come se stesse soppesando le mie parole. Sospirò leggermente e sorrise:-Queste sono le tipiche frasi di una donna vissuta.- sussurrò-Oppure di una ragazzina ancora immatura che crede di sapere tutto.-

Metabolizzai le sue parole e la guardai sorpresa. Non mi aspettavo di certo un commento del genere. Soprattutto da lei.

-La verità è che hai paura di vedere il mondo. Hai paura di cambiare opinione su di esso e di trovarlo addirittura un luogo piacevole e pieno di attrazioni interessanti. Vorresti rimanere delle tue opinioni già preconfezionate. Perché non capisci che non è tutto così terribile come i nostri coetanei pensano?-

Soppesai il suo breve discorso e mi resi conto di una cosa fondamentale. Lei aveva ragione. Mi ero lasciata trasportare dagli altri. Avevo quasi perso la mia vera essenza, la particolarità che mi rendeva diversa da tutti gli altri. In quel momento, mi vergognai profondamente di me stessa. E capii che l'unica persona che sarebbe stata in grado di farmi aprire gli occhi era la ragazzina minuta con i capelli corti che avevo davanti.

Le porsi la mano:-Io sono Jule May Scott, adolescente troppo ambiziosa che si è appena resa conto di essere stata una totale idiota e che desidera tornare ad essere la persona che è nel profondo.-

Mi sorrise. Si scostò i capelli dalla fronte e mi strinse la mano con la sua:-Io sono Catherine Kirk, ragazza che aiuterà Jule May Scott a vivere distinguendosi dalla massa.-

E così fece.


Wisteria è un genere di piante rampicanti della famiglia delle Fabacee (da legume), note col nome comune di glicine. Nel linguaggio dei fiori indica l'amicizia.

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