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Il giorno dopo appioppai una scusa a Calum per motivare la mia assenza all'uscita di scuola, era incredibile il fatto che in cinque anni non gli avessi mai mentito né nascosto nulla e ora mi ritrovassi per la seconda volta nel giro di pochi giorni a raccontargli una bugia.
La settimana dopo Cal avrebbe iniziato gli allenamenti e sembrò realizzare che non avremmo più potuto passare molto tempo insieme così decise che dovevamo usufruire di quei giorni, passai tutti i pomeriggi da lui e mi trattenni a casa sua fino a tardi, mai come allora mi resi conto di quanto i suoi genitori fossero poco presenti nella sua vita, certo, non era una novità ma sapevo benissimo quanto facesse male non avere i propri genitori presenti e conoscevo Cal abbastanza da capire che ciò lo faceva soffrire parecchio.
Avrei voluto fermare il tempo e prolungare all'infinito quei pomeriggi ma più cercavo di trattenerlo più lui mi scorreva tra le dita come la fine sabbia delle spiagge di Sydney.
Lunedì dopo le lezioni Calum mi salutò velocemente con un bacio sulla guancia e poi si diresse verso il campo da calcio con un borsone in mano e un sorriso a trentadue denti, io invece tornai a casa con la musica a palla nelle orecchie per coprire i miei pensieri.
Nei primi giorni quasi non mi parve insolito che Cal non fosse con me dopo scuola, non era la prima volta che per un breve periodo non stavamo costantemente insieme.
Sabato passai da casa sua e andammo a scuola insieme come al solito.
Ero tranquillo: mancava mezza giornata di lezioni e poi sarebbe iniziato il weekend e contavo sul fatto che io e Calum potessimo passare di nuovo una giornata insieme.
— Ci vediamo all'ultima ora guance rosse— disse lui, lasciandomi un bacio sulla guancia e facendomi inevitabilmente arrossire.
— Odio quel soprannome!— gli gridai dietro, lui continuò a camminare verso la classe di matematica ma la sua risata cristallina mi giunse comunque alle orecchie.
Cercai di prepararmi psicologicamente alle due ore di educazione fisica che mi aspettavano, con scarsi risultati.
Odiavo l'attività fisica con tutto me stesso e soprattutto odiavo mettermi in ridicolo davanti a quei deficienti palestrati della mia scuola, ma non avevo vie d'uscita così mi apprestai a raggiungere gli spogliatoi.
Nel complesso la lezione andò meglio di quel che mi aspettavo, certo, nello spogliatoio mi era toccato ascoltare le solite battute del cazzo tipo "ehi Hemmings guarda che lo spogliatoio delle ragazze è dall'altra parte del corridoio" o "quelli come te dovrebbero avere uno spogliatoio a parte almeno eviteresti di guardarmi il culo, frocio", ma ci avevo fatto l'abitudine dato che il 90% dei miei compagni erano omofobi.
Per lo meno il professore aveva caritatevolmente deciso che i miei scarsi risultati nei millecinquecento metri valevano un 6 tirato e la mia media per ora era miracolosamente sufficiente.
Dopo essermi cambiato mi diressi verso l'aula di letteratura, in teoria era intervallo ma preferivo andare in classe e riuscire a prendere un banco in fondo all'aula piuttosto che stare in quei corridoi affollati, che detestavo con tutto me stesso.
A pensarci bene non era la scuola in sé che detestavo, io ero molto curioso e non mi pesava studiare, ma le persone, odiavo il loro modo di uniformarsi alla massa e additare come deficienti tutti quelli che non lo facevano.
La campanella suonò ma ci andarono cinque minuti buoni prima che tutti fossero entrati, Calum si sedette accanto a me e mi salutò con un sorriso.
— Ehi Callie, - cominciai, a quel soprannome lui mi guardò storto arrossendo, io sorrisi - questo pomeriggio o domani usciamo, vero?— chiesi speranzoso.
Lui abbassò lo sguardo, dispiaciuto.
— Luke, ti giuro che mi spiace un sacco, ma oggi ho gli allenamenti fino alle sette e domani c'è la partita —
— Oh— dissi solamente prima di voltarmi per cercare il mio libro nello zaino, e per evitare di scoppiare a piangere davanti all'intera classe.
Calum mi toccò una spalla in modo gentile e io riemersi dalla cartella con il libro in mano.
— È tutto okay, Lukey?—
— Certo, cosa ci potrebbe essere che non va?— ribattei sperando che non si notasse la nota di sarcasmo.
— Ehm... Non so...—
— Va tutto bene Cal, davvero.— dissi mentre nella mia testa gli davo dell'idiota.
Non parlammo per il resto della lezione ma all'uscita mi afferrò un braccio facendomi voltare.
— Lo sai che puoi dirmi tutto, ma proprio tutto, vero?— mi disse con sguardo a metà tra il gentile e il preoccupato.
A parte che sono innamorato di te, pensai.
— Si, lo so Callie, ora andiamo a casa o stiamo qui a...—
— Luke - mi interruppe lui - ho gli allenamenti—
— Giusto, io vado, allora. Ci si vede—
E mi voltai, mentre il suo sguardo dispiaciuto mi bruciava sulla schiena.
***
Ero mezzo addormentato nel letto quando il mio telefono squillò.
Era mia madre.
— Ehi mamma, dimmi tutto—
— Pulcino, stasera non torno per cena, è un problema se mangi da solo?—
Fui tentato di risponderle che lei non c'era quasi mai a cena e non era un problema perché ormai ci avevo fatto l'abitudine.
Ma non era certo colpa di mia madre se stavo di merda e lei si stava sbattendo per portare a casa i soldi grazie ai quali sopravvivevamo, quindi risposi con: — no, no, anzi mi ci andava proprio una serata di soli uomini— cercando di buttarla sul ridere.
Lei rise debolmente.
— Nel congelatore c'è della pizza. Ti voglio bene pulce—
— Ti voglio bene anch'io ma'—
Dopo aver messo giù la chiamata accesi lo stereo e misi su il cd dei blink-182 poi mi lasciai cadere a peso morto sul letto e mi addormentai.
Ero in una stanza tutta bianca.
Un'enorme vetrata si affacciava su un'altra stanza più grande della mia e dalle pareti azzurre e lì c'era un ragazzo, mi dava le spalle ma sapevo benissimo chi era, Calum.
E con lui c'era una ragazza mora, non troppo alta e parecchio carina.
Lei disse qualcosa, indicandomi.
Calum rise.
Mi avvicinai al vetro.
Chiamai Calum ma lui non rispose.
Poi si voltò e mi guardò con scherno.
Sussurrò all'orecchio della ragazza ed entrambi risero.
Mi sentivo umiliato e impotente come una tigre rinchiusa in gabbia.
Presi il vetro a pugni e a calci.
Chiamai Calum, ancora e ancora.
Lui rideva.
Poi si voltò verso la ragazza, lei fece lo stesso.
E si baciarono.
Un vuoto si propagò nel mio stomaco.
Mi lasciai cadere a terra.
Lacrime bollenti mi rigavano le guance.
E mi ritrovai nel mio letto a piangere, i blink-182 di sottofondo.
Passarono dieci minuti abbondanti e le lacrime non smettevano di scendere, poi sentii la porta d'ingresso aprirsi e chiudersi, buttai uno sguardo fuori dalla finestra e mi resi conto che era tutto buio,probabilmente era mia madre che rientrava dal lavoro.
Finsi di dormire, ma non fu la voce di mia a madre a dire: — Luke, ehi, posso entrare?—
Bensì quella di Calum.
Cosa ci faceva lì?
— C-cal? Cosa ci fai qui?— gli domandai con la voce impastata di sonno e lacrime.
— Cosa succede? Perché piangi Luke?—
Merda.
Io... io non sto piangendo—
— Perché piove dagli occhi tuoi, mia dolce sposa? Meglio?—
Sorrisi, come facesse a farmi sorridere sempre lo sapeva solo lui.
Si avvicinò al letto e mi fece segno di spostarmi un po' verso il muro, lo feci e lui si accoccolò di fianco a me, avvolgendomi un braccio intorno ai fianchi.
Le mie guance andarono a fuoco all'istante e divennero tanto calde che volendo ci si poteva cuocere sopra un uovo.
— Allora, me lo dici perché piangi?—
— Prima dimmi perché sei qui, che fine hanno fatto i tuoi allenamenti?—
– Annullati e anche la partita di domani, fuori c'è un tempo da lupi. Qualcuno dice addirittura che è il caso di un'allerta meteo— mi spiegò, e io mi sentii d'un tratto felice.
— Quindi non è notte fonda?— chiesi confuso.
— No idiota- disse ridendo - ci sono solo dei nuvoloni neri. Ti pare che vengo a casa tua in piena notte a caso?—
— Ne saresti capace— borbottai.
— Può darsi, ora però mi potresti dire perché piangevi principessa?—
— Giuro che ora ti picchio—
Feci una lunga pausa e cercai di ignorare del tutto la voce nella mia testa che mi gridava assolutamente di non dire ciò che stavo per dire.
— È che mi manchi— buttai fuori infine, e fu tanto liberatorio che sentii il bisogno di ripeterlo ancora e ancora e ancora, così lo feci.
— Mi manchi, mi manchi, mi manchi dannatamente.
E ho paura di perderti.
E che tu mi sostituisca.
E di non essere importante per te quanto tu lo sei per me.—
— Luke, guardami.—
Mi voltai verso di lui, le guance ancora rosso fuoco.
— Come potrei mai sostituirti?
Dove lo trovo un pinguino con gli occhi azzurri, che ama la poesia, che ascolta la mia stessa musica, a cui interessa più essere che apparire, che arrossisce ad ogni mia singola frase e che mi vuole bene quanto me ne vuoi tu?
Semplice, da nessunissima parte.
Quindi no, non ti sostituirò mai Luke.
E per me sei più importante di ogni altra cosa, chiaro? E farò di tutto per fartelo capire.—
Un sorriso mi si stampò in faccia.
— Potresti cominciare col dormire qua stanotte—
— Già, potrei— mi rispose lui con un sorrisetto.
Parlammo e parlammo e parlammo e tra un argomento e l'altro lasciammo che un silenzio pieno di significato scivolasse leggero tra di noi.
Quando ormai eravamo entrambi assopiti, mia madre aprì leggermente la porta e sussurrò un "buonanotte ragazzi", avrei potuto giurare che sulle sue labbra aleggiasse un sorriso.
Lei aveva capito tutto, al contrario di quell'idiota che mi stava affianco.
Lasciai che il profumo di Calum mi cullasse e mi addormentai pensando a quanto fosse bello stare lì tra le sue braccia.

Who am I? »cake //itaWhere stories live. Discover now