15.

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Le coperte mi avvolgono come un guscio, tenendomi al caldo e al riparo. Mi sembra di essere tornata indietro nel tempo, al giorno dopo la notizia.
È passato un anno ormai, ma se c'è una cosa che ho imparato durante questi mesi è che la ferita non guarisce, può solo fare più o meno male a seconda di ciò che mi circonda.
Con Daniel sembrava essersi alleviata, qui a Richmond Hill si è riaperta.
La spiegazione è semplice: non puoi dimenticare una persona. Il ricordo può affievolirsi, diventare confuso, ma non può sparire. Allo stesso modo la ferita non può guarire, puoi solo conviverci.
Un anno fa, cercando di razionalizzare la situazione, mi sono permessa di dare un nome alle sensazioni che, come un ritornello, mi colpiscono ad intervalli regolari: le tre A.
A volte sento freddo senza una ragione precisa. Semplicemente comincio ad avere i brividi e a tremare; che fuori ci siano 30°C o 10°C è indifferente.
A volte mi fermo a fissare il vuoto di punto in bianco. I miei occhi rimangono incantati su un soggetto imprecisato, la mia mente si svuota ed io resto immobile, a chilometri dalla realtà.
A volte sento una terribile sensazione di vuoto partire dal mio stomaco, per poi propagarsi per tutto il corpo. Mi impedisce di dormire, di mangiare, persino di respirare.
Pensavo che le tre A fossero sparite per sempre una volta arrivata a New York, ho come la sensazione che mi stessero semplicemente aspettando qui a casa.
Mi sento indifesa, attaccata da centinaia di forze esterne senza possibilità di vincere e, non volendo rimanere esposta, l'unico rifugio che sono riuscita a trovare è sotto le coperte.
Eppure, per quanto cerchi di proteggermi, so anche di starmi raccontando un mucchio di bugie: i colpi bassi arrivano da dentro il mio corpo, non da fuori.

Jake mi ha sempre protetta da tutto e da tutti. Anche quando ero troppo impegnata a tenere testa alle sue battute impertinenti e non mi accorgevo di come mi guardava, lui mi ha sempre protetta. Ha costruito un muro intorno a me, un muro che poteva essere varcato solo da persone degne di farlo, da persone non intenzionate a ferirmi. Quando Jake è morto quel muro è caduto. Non un mattone alla volta, badate bene, il muro è collassato al suolo, ed io mi sono ritrovata a dover affrontare ciò da cui Jake mi aveva sempre protetta e, come se non bastasse, ho dovuto fronteggiare la sua assenza.
Negli ultimi mesi ho pensato, sperato, di aver trovato un equilibrio, un modo per andare avanti nonostante l'apatia ed il silenzio, ma ora quella sensazione di sollievo sembra solo un ricordo lontano e sbiadito. Quello che sento in questo momento, le lacrime, il senso di vuoto, questo è reale.

-

Guardo la tazza blu di fronte a me, è piena di latte e cereali, minacciosa. Non ho fame, ma mi sono costretta a cercare di mangiare qualcosa, visto che lo stomaco chiuso non ne vuole sapere di battere in ritirata.
Negli ultimi giorni mia mamma si è dimostrata piuttosto preoccupata: deve aver notato le occhiaie profonde, il fatto che non sono uscita dalla mia camera e, soprattutto, che non ho toccato il mio violino surrogato.
Ha cercato di cominciare un discorso serio, ma io ho deviato l'argomento. Ho deciso, poi, che il modo migliore per evitare di parlarne è quello di comportarsi normalmente; mangiare sembra un buon inizio. Un buon inizio, ma una brutta idea.
Rassegnata, sospiro e mi alzo dallo sgabello della cucina, per poi far sparire quello che doveva essere il mio pranzo e dirigermi in camera mia a vestirmi, forse fare due passi mi farà sentire un po' meglio.
Non appena indosso le scarpe da tennis mi fiondo fuori di casa, per poi chiudere a chiave e cominciare a lasciarmela alle spalle senza guardarmi indietro. Cammino per un periodo di tempo indefinito, senza una meta precisa, o almeno in apparenza.
Non sono poi così sorpresa nel ritrovarmi davanti a casa di Jake, senza tentennare percorro il vialetto e suono al campanello; poco dopo Kiki apre la porta fissandomi con un'espressione sbalordita. « Jasmine, tesoro, è così bello vederti.» mi saluta cercando di dissimulare il suo stupore, dopodiché mi stringe in un abbraccio.
Ancora una volta il suo profumo rischia di farmi scoppiare a piangere, tuttavia stringo i denti ed entro in casa. Scopro che Kiki sta dando lezione ad un bambino, il quale mi guarda dal salotto, accanto al piano a coda. Vorrei sorridergli, ma all'improvviso è diventato impossibile: immagino quante volte Jake mi abbia osservata dal punto in cui mi trovo in questo momento e mi abbia vista esercitarmi al violino, il mio violino, proprio dove ora è quel bambino.
« Jasmine, posso offrirti qualcosa da bere?» domanda Kiki con uno sguardo preoccupato: anche lei deve aver notato le occhiaie.

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