10. Il demone nello specchio

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Hod percorreva a rapidi passi il corridoio fiocamente illuminato. Voleva abbandonare al più presto quegli umidi sotterranei per tornare a respirare l'aria fresca del mattino. Ma non era solo questo il motivo della sua fretta.

Trasaliva al minimo rumore, guardandosi le spalle per essere sicuro che nessuno lo avesse seguito. Non aveva alcun rimpianto per ciò che aveva fatto. Quegli uomini erano stati così stupidi da farsi scoprire, avevano avuto solo ciò che meritavano. Se avessero confessato, facendo il suo nome, sarebbe stata la fine. Ma Hod non era abituato a compiere i suoi misfatti da solo. Stavolta era stato costretto perché era l'unico a conoscere il passaggio segreto che aveva usato per introdursi nella cella senza essere visto dalle guardie, e da cui era sgusciato via dopo aver compiuto il delitto. Aveva appreso della sua esistenza da una mappa, tenuta accuratamente nascosta nel suo studio privato, sulla quale erano segnati tutti i corridoi segreti presenti nei sotterranei. Nemmeno il sovrano ne era a conoscenza. Gli sfuggì una risatina nervosa. Quante cose ignorava quello sciocco! Avrebbe trovato un altro modo per sbarazzarsi di lui e delle sue maledette figlie.

Il solo aspetto positivo della faccenda era stato il successo del suo ultimo composto chimico. Anche se riusciva a procurarsi cavie umane per i suoi esperimenti, erano sempre vecchi malandati che i suoi Intoccabili raccoglievano sui marciapiedi del quartiere povero della città. Stavolta invece aveva potuto usare uomini nel pieno della virilità. Erano bastate poche gocce nel cibo per condurli a una morte atroce. In meno di cinque minuti le vene erano esplose e il sangue era schizzato sulle pareti. Era stato uno spettacolo affascinante. Anche quando avevano smesso di respirare, Hod era rimasto a fissare i corpi, morbosamente rapito. Ma poi il bisogno di mettersi al sicuro aveva prevalso.

Ora, mentre tornava ai suoi appartamenti, aveva ancora con sé una fiala piena di liquido verde.

Un lieve fruscio alle sue spalle lo fece trasalire, e si voltò repentinamente.

«Buongiorno Cancelliere». La voce proveniva dal lato opposto, così Hod girò la testa ancora più confuso. L'uomo che aveva parlato era davanti a lui, ma fino a un secondo prima il corridoio era deserto, ne era sicuro! Era alto e lisci capelli corvini gli ricadevano ribelli sulla fronte, mitigando parzialmente l'intensità dei suoi glaciali occhi azzurri. Lo riconobbe, si chiamava Cole. Era un nobile minore, giunto da poco al castello da una lontana contea a nord. Ciò che aveva attirato l'attenzione di Hod era stato però un particolare: l'arrivo del giovane era avvenuto lo stesso giorno in cui le principesse erano riapparse.

Hod non credeva nelle coincidenze e si mise subito sulla difensiva.

«Che ci fate qui?»

«Siete impallidito Cancelliere. Qualcosa non va?» chiese Cole, alzando un sopracciglio.

«Sto bene» rispose Hod, stizzito, e facendosi avanti l'oltrepassò, per far intendere che la conversazione era finita. Avrebbe voluto porgli altre domande, ma la fretta di allontanarsi gli attanagliava le viscere.

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