【 twelve 】

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Se c'era una stagione che Frank amava quella era proprio l'autunno. Oro, porpora, rosso sangue, miele, arancio, marrone, verde scuro, gli alberi ed i prati erano chiazzati di queste tinte grazie alle foglie che morenti si staccavano dagli arbusti scheletrici e si lasciavano trasportare dalla corrente in un gioco di luce e colori veramente magnifico, per poi ricadere sul terreno pullulato da quelle piccole pennellate vivaci che scricchiolavano se calpestate. In autunno il mondo si riempiva di colori, suoni e sapori. Dal fruscio del forte vento di Novembre alla bruciante sensazione delle caldarroste in bocca, ricche del loro sapore lievemente dolciastro. Quando era piccolo Frank amava andare a cercare le castagne sebbene non ne trovasse mai nessuna a causa dell'evidente mancanza di alberi di castagne vicino casa sua. E poi finalmente cominciava a fare freddo, il che era solo un punto a favore per l'autunno, visto che Frank amava infagottarsi in mille felpe diverse e chiudersi in camera a leggere o suonare con una coperta ed un pacchetto di Skittles, soprattutto se era sabato e si svegliava con lo scrosciare della pioggia contro la finestra. Ma era più in primavera che pioveva, con tutto quell'umido ed i pollini che altro non facevano se non causargli innumerevoli starnuti; preferiva decisamente l'autunno. Era una stagione di stallo, ma non come la primavera che ti trascinava al caldo afoso e ai mari estivi. L'autunno era un'incognita, era una metafora dell'adolescenza in cui si trovava invischiato. Era il passaggio dai ricordi tiepidi e soleggiati dell'infanzia a un grande freddo punto interrogativo. Ogni volta che provava ad immaginarsi adulto la sua mente produceva solo un muro bianco, come se non riuscisse a figurarsi un Frank Iero adulto con qualcosa di concluso e concreto in mano. Sua madre diceva che semplicemente ancora non aveva trovato la sua strada, ma per Frank la verità era che non era così entusiasmato alla vista dell'età adulta. Per quanto avesse sentimenti contrastanti riguardo il presente avrebbe preferito rimanere per sempre bloccato in quel limbo tinteggiato di bronzo a inseguire foglie con le mani fredde e screpolate piuttosto che essere trascinato in un buco di ghiaccio nero. Certo, il fatto che in meno di un mese avrebbe compiuto diciotto anni non lo aiutava di certo. Maggiorenne non sarebbe ancora stato sotto certi aspetti, ma dai diciotto ai ventuno era come stare in una fase di stallo, né adolescente né adulto. La verità era che non aveva nessun appiglio consistente per pensare felicemente al se stesso adulto, niente in cui eccellesse, nessuno su cui poter fare affidamento. Solo la sua chitarra gli dava una certa sicurezza, ma Frank era perfettamente cosciente di quanto fosse difficile fare un percorso lavorativo con la musica, e neanche aveva frequentato un istituto professionale. Forse non aveva neanche il talento adatto, per quanto suonare la chitarra gli sembrasse naturale e perfetto. Perfetto come il viso rilassato di Gerard addormentato, lambito da una luce dorata, una perfezione ingannevole perché dietro quella facciata apparentemente pura e immacolata nascondeva un passato a cui Frank aveva a stento creduto, che però sapeva fosse vero. Quanti giorni erano che non vedeva quel viso. Tanti. Erano altrettanti quelli in cui cercava di nascondere a se stesso che quel viso e tutta la persona a cui era attaccato gli mancavano da morire.

Frank scosse la testa e si impose di camminare più veloce, volgendo il viso verso l'alto e godendosi sul viso i deboli raggi di sole di quella che riteneva una perfetta giornata autunnale: poche soffici nuvole, il cielo di un azzurro sbiadito a contrasto con i colori vivi e morenti della natura, nessun accenno di vento e temperature fredde ma non ghiacciate. Proprio perché sarebbe stata una bella giornata Ray e Jamia gli avevano proposto di vedersi tutti insieme per fare una passeggiata da qualche parte, in modo da godersi quegli ultimi giorni di bel tempo e cercare di portare avanti quella specie di terapia di gruppo, per quanto non gli facesse piacere pensarla in quel modo. In un modo o nell'altro a un certo punto si era aggregato pure Mikey, così il trio di scapestrati si era trasformato in un quartetto. Alla calcolatrice afro, l'emo asociale e la pazza chiacchierona si era aggiunto l'unico sano di mente, se si potevano escludere la palmface perenne e gli attacchi d'ansia quando c'erano le verifiche di trigonometria. Comunque si erano dati appuntamento alle quattro e mezza davanti a scuola, ma erano le quattro e quaranta e ancora non era arrivato, per cui sì, era ufficialmente in ritardo.

dear psychologist 【 frerard 】Where stories live. Discover now