【 twenty two 】

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Il suono del campanello quasi colse di soprassalto Frank, per quanto
fosse ben consapevole di starlo attendendo da un po', essendo le sette
e mezza ed avendo già i pallidi lampioni rimpiazzato la luce lattiginosa del sole invernale da un bel pezzo. Con quel gentile strappo della carta velina che separava la dimensione dell'idealizzazione del futuro alla sua venuta a piè pari nel presente, Frank urlò un arrivo dal salotto e si precipitò alla porta, che aprì per far rientrare sua madre in casa, la quale per prima cosa lanciò un'occhiata disgustata ai suoi piedi.
«Certo che un paio di pantofole potresti pure mettertele Frank, è
praticamente Gennaio e sai di avere la salute debole.» Frank alzò gli occhi al cielo. Sua madre non avrebbe mai smesso di riprenderlo per cazzate del genere, che però in un certo qual modo donavano anche equilibrio alla loro comunicazione.
«Sono corso ad aprirti e le ho lasciate in cucina.»
«Cosa ci facevi in cucina senza le ciabatte ai piedi?» chiese Linda, lasciando cappotto e borsa sull'appendiabiti.
«Ho preparato la cena come mi hai chiesto.» replicò Frank, trovando inopportuno specificare che era dovuto salire sulla sedia per raggiungere l'armadietto delle spezie. Sua madre gli fece un sorriso.
«Grazie mille Frank, ora vado a cambiarmi e ceniamo.» detto questo la
donna andò in salotto e salì le scale, mentre Frank tornò nella sua coperta di silenzio e andò in cucina, rimettendo la sedia al suo posto. Aveva preparato tutto, il risotto stava ancora borbottando sul fornello basso, ma sulla tavola erano state disposte con accuratezza tutte le stoviglie, piatti e bicchieri. Per due persone. Frank ricacciò lo stimolo del brutto pensiero, spense la radio sulla voce da zanzara di Bob Dylan e si sedette al suo posto, puntando i gomiti sul tavolo e poggiando la testa sui palmi delle mani. Iniziò a dondolare appena il piede seguendo il suono di un'improvvisata blowin' in the wind, intrattenendo la sua mente nel tentativo di non fissarsi sul pensiero della serata, di come in poche ore si sarebbe tutto risolto nella migliore o peggiore delle maniere, e tornò a pensare a come dirlo a sua madre. Aveva bisogno di tutta la razionalità e la lucidità possibile, aveva una sola possibilità e ne dipendeva gran parte della sua vita, da una stupida cena a base di risotto sciapo e la sua abilità a ripetere un discorso che si era ripetuto nella mente almeno una ventina di volte. Certo che qualche volta era proprio tragico. Anche maniaco di autocontrollo. Sapeva perfettamente cosa dire, ormai il battito cardiaco accelerato era diventato stabile, impercettivo alla realtà tangibile e stava talmente immerso nel suo autocontrollo da risultare inespressivo: solo gli occhi, scuri e proiettati lontano nelle ombre dell'inconscio tradivano la sua inquietudine, come i cromatici tasselli di vetro di una finestra gotica in un'enorme basilica francese quando tutti i turisti erano andati via e gli ultimi custodi serravano i battenti nel pesante silenzio di una graffiante, plumbea serata d'inverno. E nel profondo silenzio che solo gli pesava sulle spalle e gli inglobava la cassa toracica era crudamente conscio del presente che da ore si proiettava innanzi a sé, ma i suoi passi erano armati di una forza di coscienza preponderante, altrettanto forte dell'alito di paura gelido contro la pelle.
Da quando aveva messo giù la cornetta del telefono, gli pareva di aver reciso un filo, come quando alle presentazioni d'arte si taglia il nastro e da quel momento il museo è aperto. Gerard ed i suoi baci, Lord Henry e quel suo maledetto cinismo aristocratico erano rimasti come un segnalibro nello stesso Dorian Gray, ed ora il libro era poggiato, chiuso da una doccia fredda. La genuinità della sensazione lo aveva pervaso completamente, rinvigorendolo come una sorsata d'acqua fresca e del suo stesso puro colore cristallino, rifratto dalla freddezza della luce. Stentava a crederci, era stato ammesso, era stato ammesso davvero e ce la aveva fatta da solo. Era una gioia, un successo completamente suo, che aveva plasmato con le sue sole mani e la cui fatica, il sudore, non erano mai stati condivisi, era ancora puro ed integrale, ora tra le sue mani lo stringeva, per la prima volta, condensato in una sfera di vetro che gli pareva del materiale delle anime, piena dei suoi sogni. Tutti i sussurri di sconforto e le domande ed i dubbi impertinenti, le volte in cui non ce l'avrebbe mai fatta, prendere muri invisibili di faccia e discutere se stesso per gli altri e contro di essi, ora gli si riversavano contro, intrecciati nella voce del professor Urie che gli diceva di essere stato ammesso. Non durò tanto, ma l'idilliaca perdizione nella gioia è di per sé morente: una canzone dura tre minuti, in pochi secondi si ride in primavera, i momenti di più profana intimità in cui spogli corpo ed anima per qualcuno, se si è molto coinvolti, durano un'oretta. E così essa dopo il picco iniziò a svanire, depositandolo lentamente sulla terraferma dopo un volo nell'azzurro con un soffuso fruscio d'ali. Non poteva da un momento all'altro mollare tutto e andarsene, ma intanto aveva la certezza di quel punto di arrivo, non stentava a crederci ma era meravigliato di poterlo vedere parte del suo percorso, comunque doveva recidere i fili. E quello era un boccone amaro. Innanzitutto doveva parlarne con sua madre, e già quello sarebbe stato difficile. Non si sarebbe di certo fermato per lei, ma il pensiero di deluderla dopo tutto ciò che aveva fatto in diciotto anni e passa di vita per lui gli dispiaceva. E poi non era un'università gratuita, anzi, del tutto il contrario, e Linda aveva per anni specificato che qualsiasi percorso di educazione avesse scelto al termine del liceo glielo avrebbe pagato lei, era suo dovere. Non gli avrebbe mai detto di no, ma sarebbe potuto essere un sì non condiscendente, e questo faceva preoccupare Frank, per quel minimo di senso di responsabilità morale nei suoi confronti. Linda doveva comunque accettare che le loro strade erano separate in quanto riguardanti due esseri umani diversi, fuori dalla barriera epidermica della carne non avevano niente che li univa se non una stretta di mano, che non era comunque intrinseca ai due corpi, e che quindi ormai Frank poteva camminare da solo, conservano il loro rapporto consolidato, ma per conto suo, sulla sua strada. Era una vita avviata, come lei, con una trentina di anni di esperienza in meno, ma che li avrebbe fatti e percorsi coi suoi piedi. Doveva accettarlo, e Frank non voleva sentirne il peso addosso. Per questo dovevano parlarne, e Frank glielo aveva già spiegato, ma questo sarebbe stato l'inizio definitivo. Sua madre scese le scale e fece il suo ingresso in cucina, si sedette al tavolo ed i due iniziarono a mangiare il risotto che poi tanto sciapo non era, conversando di futilità che galleggiavano sopra il tavolo. Lei parlò del lavoro e di come le persone al pronto soccorso cambiavano da estate ad inverno, da emergenze a comportamenti. Ci fu un momento di silenzio quando Frank ebbe finito di mangiare il risotto e visto che sua madre era ancora a metà scodella si protese verso il cestino del pane. Glielo avrebbe dovuto dire. Ma in un certo senso voleva aspettare il momento giusto. Strappò una fetta di pane e la intinse nel piatto. Che coglione che sei, pensò. Aspettare il momento giusto, per cosa? Il momento giusto sarebbe venuto quando si sarebbe sentito pronto a parlarne. Ma era già pronto. A che pro aspettare il momento giusto se era quello il momento
per agire, e dipendeva da lui?
«Ho ricevuto una chiamata oggi.» disse, e si portò un pezzetto di pane alla bocca. Sua madre alzò lo sguardo dal piatto.
«Be' sì, è normale quando si ha il telefono. Successo qualcosa?»
«Ti ricordi l'Accademia musicale di New York?» non spezzò il contatto
visivo con sua madre, la cui espressione si fece più profonda ed annuì. «Mi hanno richiamato. Hanno detto che mi vogliono.»
Linda rimase qualche secondo in silenzio. «È grandioso, Frankie, sono
molto contenta per te.» disse cautamente. «Immagino che si tratti di
una buona occasione.»
«Non è quello, cioè sì anche, insomma è fantastico, ma non si tratta di quello. Hanno detto che mi vogliono da quest anno, che sarebbero disposti a farmi entrare subito viste le capacità dimostrate.»
«Frank, tu devi ancora finire il liceo.»
«Si tratta di un programma, hanno delle classi apposta che ti permettono di continuare il piano di studi per la licenza liceale però lì, con già alcune classi introduttive ai programmi di musica successivi. Sarebbe come cambiare scuola e aggiungerci qualche ora di
musica con sicura ammissione a fine anno all'università.»
«Significherebbe trasferirsi fin da subito, New York non è esattamente
a due passi da qui.» sua madre posò le posate e piantò gli occhi dritti nei suoi. «Da quando inizierebbe questo tipo di programma?»
«Tra due settimane, la terza di gennaio.»
«Credo sia troppo presto, anche se ti offrissero alloggio e tutto, non sei ancora pronto ad andartene da solo.»
«E come faremmo a saperlo se sono pronto o no senza neanche una possibilità per mettermi alla prova e vederlo davvero?» sbotto Frank, cerando di mantenere il controllo. «Quale sarebbe il problema
comunque? È come hai detto te un'occasione unica, ed oserei aggiungere irripetibile, ed il fatto che mi venga vuol certo dire qualcosa.»
«Con così poco preavviso, cambiare città e domicilio? Mi sembra molto presto, tutto qui.»
«Prima o poi sarebbe dovuto accadere, e sei mesi in più non cambia tanto la situazione, anzi potrebbe renderla più difficile considerato che tutti si comporterebbero con me come un malato terminale. Sarebbe perfetto, invece.» si portò il bicchiere alle labbra e bevve qualche sorso, mentre sua madre sembrava riflettere sulla situazione. Quando
lo poggiò desiderò che l'ambiente tra loro due fosse chiaro come il vetro del bicchiere, freddo e trasparente, senza aloni di condensa. «E poi diciamocelo apertamente, tardare un'eventuale dipartita mi sembra inutile visti i recenti avvenimenti. Non possiamo pretendere una famiglia che non esiste.»
«Questo è molto offensivo da parte tua, Frank.»
«Non intendo dire che sia irrilevante il legame che abbiamo.» si scusò
subito lui, cercando di meglio esprimere il concetto sul quale voleva
puntare l'attenzione. «Ma credo che far finta che nulla sia cambiato sia veramente ipocrita da parte nostra.» Frank cercò di non guardare il posto vuoto accanto a sua madre, che non aveva neanche apparecchiato. Il tonfo sordo di un ciottolo che gli cadeva in pieno petto e affondava nelle lacrime ancora non piante a calcificarsi lì per anni, una mera pozzanghera, nessuna legge dei vasi comunicanti gli avrebbe permesso di farle salire fino agli occhi. La pressione si era esaurita, la ferita era disinfettata, e l'eco delle onde smosse dal ciottolo frusciava solitario nella cava vuota. «Ormai siamo rimasti noi due, in parte come è sempre stato. Ed ultimamente le cose stavano addirittura peggiorando, mamma, voi volevate divorziare non appena lui
fosse tornato.»
«Ciò non cambia che ho comunque perso un marito.» l'eco monocorde della voce di Linda recava appena una nota di piatta disperazione.
«Non avrei mai voluto che andasse a finire così, io gli volevo ancora bene, semplicemente così non poteva continuare, non era una situazione
serena per nessuno dei due, ma di certo tutto ciò non ha migliorato la situazione. Qualsiasi cosa gli sia successa, ha lasciato la nostra vita incompiuta, e di certo per te la situazione può essere più indifferente, ma io conoscevo Anthony da anni, nella maggior parte dei quali lo ho amato. Si è comunque spezzato qualcosa quando ci hanno detto dell'incidente, qualcosa che prima non era messo tanto meglio, ma come ripeto, non cambia il fatto che lo abbia persone come persona
nella mia vita.»
E su questo ha ragione. «Però c'è dell'altro. Tu non lo amavi più.»
«Lo ho amato.»
«Ed ora ami qualcun altro, vero?» esitò un attimo prima di dirlo. Il volto di sua madre rimase immutato.«Da quanto va avanti? Me ne sono accorto, sai.»
«Frank...» sua madre sospirò, poi annuì. «Hai ragione, sono ormai un
paio d'anni che io, io e questo mio collega ci sentiamo più vicini di prima, e credo che anche tuo padre lo sapesse, pur non conoscendolo.»
«Quindi è già da tanto che non lo amavi più.» gli faceva strano parlare di certi argomenti con sua madre, ma non quanto quella piccola briciola di immotivata delusione sulla punta della lingua.
«Sono tanti anni che la situazione tra noi è cambiata, principalmente a causa del suo lavoro. Con questo mio collega va avanti da un paio di anni Frank, ed è comunque giusto che tu lo sappia. Non ho mai voluto turbare la tua quiete dicendotelo, non credevo fosse molto utile visto che in realtà la cosa è più ufficiale di prima soltanto da qualche settimana, poco dopo la partenza di tuo padre. Prima uscivamo a cena insieme, ci sentivamo spesso e cose del genere. Eravamo molto vicini però, e forse anche questo ha contribuito alla fine della storia con
tuo padre.»
«Mamma, se io me ne andassi, tu saresti anche più libera di condurre la tua vita. Forse sarebbe pure meglio.»
«Non dirlo neanche per scherzo! Sei mio figlio, fai parte della mia vita.»
«Però me lo hai voluto tenere nascosto, per il mio bene, okay, e te ne ringrazio, ma non ti sentivi libera di farmelo sapere.»
«Ho cercato di rispettarti Frank.»
«Forse abbiamo bisogno dei nostri spazi.» Frank poggiò la forchetta.
Era difficile fare questo tipo di discorsi, soprattutto quando dall'altra parte del tavolo c'era sua madre, e si sentiva in colpa, ma si trattava della sua espressione personale, e conoscendo la persona
che aveva davanti a lui doveva essere capace di esporre con chiarezza i suoi pensieri. Sentiva che sarebbe stata la cosa migliore per entrambi. «Non dico che dobbiamo cancellarci dalle nostre vite reciprocamente, e anzi capisco che tu abbia cercato di proteggermi, ma non puoi continuarmi a tenere in braccio come un animaletto spaurito.
Lo so che in qualità di madre mi terrai sempre accanto a te, nel tuo cuore, perché abbiamo un forte legame, e non sto controbattendo su questo, che se diventerò genitore capirò probabilmente anche io, dico solo che non puoi tenermi lontano dal mondo, perché voglio, e per diritto di natura mi spetta di, scoprirlo. Io ho desiderio di aprirmi al mondo. Di camminare sulla mia strada. E questo non puoi impedirmelo. Non puoi neanche impedire a te stessa di abbracciare qualcun altro perché hai le braccia occupate da me, puoi lasciarmi andare, so camminare, ed anzi, voglio farlo. E questa potrebbe essere la mia strada, e non voglio perdere questa occasione. E capisco che per te possa essere difficile, ma come vedi ognuno ha le sue situazioni, e non voglio esserti di peso, anche perché farebbe male ad entrambi a lungo andare.»
«Un giorno imparerai che non tutte le strade sono definitive, per ora ti può sembrare assurdo, ma è perché hai ben pochi anni di esperienza alle spalle. La vita è lunga.» sua madre continuò a tamburellare con sguardo assorto le dita sul tavolo. «La situazione mia personale è un tantino più complessa di quello che appare, e vorrei parlartene meglio, ora che posso effettivamente farlo essendo capita mentre parlo. Diciamo che ti ritengo abbastanza maturo per capire senza necessariamente rapportare. Per il resto del discorso, capisco come tu ti senta, ma ciò che ti dico rimane essenziale per la tua educazione, e come hai detto tu stesso lo capirai meglio quando sarai
genitore, ma anche tra qualche anno probabilmente ti sarà più chiaro.
Gli assolutismi sono ben pochi, principalmente le realtà di fatto
scientifiche, e per quanto tu possa effettivamente aver ragione non
concordo pienamente con te. In ogni caso, non è mai stata mia intenzione quella di tarparti le ali, mai, ma il ruolo di educatrice è molto cauto, e non mi pareri averlo assolto così male. Per come potevo, ho cercato di donarti tutto ciò che potesse aiutarti a fartele spiegare, le ali, e sono contenta che tu stia trovando la sicurezza di farlo. Da quando hai iniziato a vedere Gerard ti sei come aperto, e per me non c'è gioia più grande di vedere mio figlio così. Naturalmente c'è un minimo di apprensione, ma fa parte del legame che ho verso di te, è una sorta di dimostrazione del bene che ti voglio. E non sono contraria a mandarti in quell'Accademia, assolutamente, ritengo che sia un po' presto per allontanarti, ma ne si può parlare.»
«Davvero?» chiese Frank, quasi incredulo, e anche ancora un po' stordito se doveva ammetterlo.
«Ma certo, vorrei soltanto informazioni riguardo al programma, l'iscrizione, insomma, informazioni di base per non mandarti alla cieca. E per cortesia non pensare che stia cercando di ostacolarti perché non me lo andrei mai a sognare, e mi dispiace veramente tanto che tu possa pensarlo. Per quanto riguarda la situazione c'è alcun modo di contattare la scuola?»
«Be', c'è il sito, poi comunque si potrebbe chiamare la segreteria o
prenotare un colloquio, il professore mi ha comunque assicurato che posso chiamarlo in caso di necessità nel primo pomeriggio.»
«Come si chiama il professore?»
«Urie, Brendon Urie.»
«Domani mi dài il suo telefono e provvederò a chiamarlo, inoltre devi spiegarmi per bene tutto ciò che ti ha detto.»
«Okay, va bene, ma quindi ci vado a partire da subito?»
«Prima voglio sentire cosa mi dicono, poi si vedrà.» concluse sua madre con un sorrisetto, alla vista del quale Frank sentì il suo viso sciogliersi in un'espressione di euforia. Sentì come se un peso gli si stesse sganciando dalla presa tra costole e sterno, ed i suoi polmoni si gonfiarono di aria. Era già qualcosa in più, una certezza in più. Ed il pensiero di starcela in un certo qual modo facendo da solo, con ciò che amava, con i suoi soli sforzi, e che tutto ciò che aveva impiegato gli stesse finalmente tornando indietro, come colpito da una sferzata di vento fresco, del colore e del profumo delle mimose, gli si scatenò dentro, allentando anche i muscoli facciali, che si distesero in un gran sorriso.
«Oh, ora non farmi questa gran commedia solo perché hai ottenuto il
permesso.» reclamò sua madre, non riuscendo tuttavia a nascondere un pizzico di gioia. «Piuttosto aiutami a sparecchiare, visto che a quanto pare non starai qui per molto ad aiutarmi.»
Detto fatto, Frank non solo sparecchiò, ma la aiutò anche a lavare i piatti e a rimetterli apposto. Il resto dei pensieri era secondario, e l'iniezione di euforia provocatagli dall'avvenimento rendeva tutto più leggero. La luce arancione della cucina sembrava i vapori della buccia d'arancia strizzati, volatili e vivaci. Tutto avrebbe potuto esserlo, era distaccato dalla sfera temporale, come se il suo presente fosse un
isolato cristallo di tempo. Non c'era altro, cause né conseguenze. Non
c'erano altri, se non lui. E sua madre. «E poi lo sai che voglio solo il tuo bene.» disse lei aprendo l'acqua nel lavandino, con un sorriso un po' amaro. Ma quel fondo di egoismo c'è sempre, e Frank arrivava a capirlo. Non era il solo essere sensibile in quella stanza. Ma non era il solo che era felice per lui, neanche. Fu un po' segnante quella sera: se l'anima esisteva, la sua era indelebilmente macchiata di una vaporosa pennellata color arancio.

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⏰ Last updated: Apr 24, 2019 ⏰

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dear psychologist 【 frerard 】Where stories live. Discover now