Capitolo 44

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Sento come una sferzata al centro del petto. Fredda, diretta, potente, dolorosa. Sento irradiarsi una strana pressione dentro. Opprimente, asfissiante.
Spalanco gli occhi ritrovandomi con la mano sulla bocca mentre inizio ad indietreggiare come ubriaca.
«Cosa?», balbetto piano mentre gli occhi iniziano a bruciare e uno strano senso di vuoto si fa strada dentro il mio cuore. «Che cosa?»
«Stai mentendo lurido stronzo!», Parker molla un pugno in faccia ad Ethan il quale non si muove dal posto e non tenta di reagire. Scoppia solo a ridere riempiendo lo strano silenzio che aleggia attorno. «E' ironico no? Non puoi chiedere alla tua ragazza di sposarti perchè già lo è e con il tipo che tu non sopporti!», fa un passo indietro continuando a fissare Parker che se ne sta impietrito. Si volta come un automa e domanda in silenzio spiegazioni.
«Lei non ne sa niente!», ribatte calmo Ethan pulendosi il naso pieno di sangue con la manica della giacca. Risponde come se fosse una situazione del tutto normale. Questo inizia a farmi arrabbiare.
«Che cazzo significa?», urla Parker incapace di trattenere la furia. David lo trascina a distanza da Ethan perchè capisce che lo farà a pezzettini se quest'ultimo continuerà a provocarlo con quella strana calma e quel ghigno. Mentre Mark scuote la testa e afferra Ethan per un braccio. «Sei contento ora?», domanda furioso. «Hai ottenuto ciò che volevi no?»
In tutto questo, mi ritrovo stordita. Me ne sto impalata, incredula. Quelle parole mi hanno proprio freddata. Sono state come un colpo di pistola. Gli occhi mi si riempiono di lacrime e questa volta sono pronte ad uscire fuori. Stringo i pugni in vita. «Mi avevi detto di no...», parlo lentamente, tra i denti e con difficoltà. Lo sguardo perso nel vuoto. «Mi avevi detto che...», non riesco a parlare. Sto soffocando nel dolore mentre le immagini di quel giorno mi investono con una certa forza distruttiva.
«Chiunque lo avrebbe fatto vedendo i tuoi occhi quel mattino. Eri così agitata, così spaventata... Non riuscivo proprio a dirti la verità in quelle condizioni», ribatte gelido Ethan.
Sento il cuore strapparsi in tanti piccoli pezzi di carta. A breve, arriverà quel soffio di vento pronto a farli svolazzare ovunque. Indietreggio quando prova a fare un passo avanti e scuoto la testa guardandolo adirata. «Però non eri spaventato o preoccupato un secondo dopo!» singhiozzo. «Mi hai mentito! Tu mi hai mentito per tutto questo tempo!», il tono di voce mi esce stridulo. Inizio a perdere il controllo. Il petto si alza e abbassa velocemente. L'aria inizia a scarseggiare dentro i miei polmoni. Non ho più ossigenazione e continuo a piangere silenziosamente. «Mi hai guardata negli occhi e mi hai mentito prima di...», non riesco più a parlare ripensando a me e lui in quella stanza mentre facevamo l'amore. Mi sento sporca dentro, umiliata, tradita.
Ethan prova ad avvicinarsi ancora ma indietreggio. «Quello che so è che ti amo e che sei mia moglie. Non posso più condividerti con un altro. Ho già resistito abbastanza e credimi, è stato davvero troppo.»
Dalla mia gola esce un singhiozzo sonoro. Non riesco più a guardarlo negli occhi. Fa troppo male. «Hai rovinato la mia vita!» urlo incapace di trattenermi oltre, singhiozzando e guardandolo con risentimento. «Sei uno stronzo egoista!» urlo ancora.
«Tu le hai mentito!», strilla Lexa riscuotendosi dallo stato di shock. «Per tutto questo tempo le hai mentito! L'hai fatta soffrire abbandonandola, l'hai usata per i tuoi sporchi giochetti e le hai ancora mentito facendole credere di amarla!», gli urla contro adirata. «Come hai potuto?» si avvicina a lui come una furia spingendolo.
Ethan incrocia le braccia. «Cosa avrei dovuto fare? Permetterle di sposare un altro uomo? Sappiamo tutti che non è legalmente possibile non se prima non chiede il divorzio.»
La lucidità con la quale parla, mi fa stare doppiamente male. Sono sconvolta. Non posso credere che sia vero. Sto sognando? Che scherzo del destino è mai questo? Perchè ha agito alle mie spalle in questo modo?
«Oh, te lo chiederà eccome il divorzio!», ribatte riprendendosi Parker. «Procederò personalmente in sua difesa...»
Ethan scuote la testa. «Sta a lei decidere non credi? Tu le hai già fatto a lungo il lavaggio del cervello. Inoltre io non le darò mai il divorzio per lasciarla tra le braccia di un coglione come te!»
Parker parte incapace di controllarsi. I due si azzuffano ancora dando un pessimo spettacolo. In tutto questo ferita, umiliata e in stato di shock, indietreggio e lentamente sparisco dal parcheggio. I miei piedi si muovono da soli come spinti da uno strano istinto.
Prima che me ne possa rendere conto, sono per strada, tra i pedoni. Mi confondo tra la gente raggiungendo il mio appartamento.
Raccolgo qualche vestito infilandolo dentro il borsone. Non so dove, non so nemmeno cosa sto facendo ma so che ne ho bisogno.
Getto il borsone nel bagagliaio, mi siedo al volante, allaccio la cintura con mani tremanti. Metto in moto e sfreccio per le strade di Vancouver in lacrime. Accendo lo stereo per non sentire il rumore continuo dei pensieri. Dalle casse parte Radioactive degli Imagine Dragons. Mi fermo a fare rinfornimento e poi riparto. Non ho una meta, so solo che devo isolarmi per qualche ora.
L'aria nell'abitacolo sembra addensarsi e serrarmi la gola ad ogni km superato, una morsa stretta, lenta, dolorosa. Deglutisco a fatica e provo a fare respiri lenti mentre proseguo il mio viaggio senza meta. Percepisco la tensione nei miei muscoli. Uno strano formicolio inizia a irradiarsi sulla pelle. Batto le palpebre mentre le luci della città si confondono e si allontanano quando supero il confine. Abbasso il volume della radio e mi rendo conto di avere la necessità di accostare perchè inizia a farmi male il petto. Un dolore che si riverbera su per il corpo partendo dal cuore come un'onda anomala improvvisa. Una contrazione dolorosa che arriva fino alle ossa. La mia pelle inizia a lucidarsi dal sudore misto alle lacrime che continuo a versare come un fiume in piena. Le asciugo con una certa urgenza con la manica del maglione. Fa freddo ma ho bisogno di uscire da questo abitacolo soffocante più in fretta possibile. Accosto ed esco dall'auto come un fulmine. Mi appoggio con i palmi contro lo sportello e tra i singhiozzi provo a riprendere fiato. Poso le dita sul collo e alzo il viso verso il cielo. Non riesco proprio a respirare, per fortuna il rumore circostante mi aiuta a non sentire il panico. Sono stufa, stufa di parole. Tappo le orecchie ed emetto un suono strozzato tra i denti prima di urlare.
Per tutto questo tempo la mia vita è stata una grossa bugia. Come ho potuto cadere così in basso?
Mi sono sfracellata al suolo dopo un salto pazzesco. Tutto per un ragazzo. Che razza di sfigata sono! Ho le ossa rotte, il cuore a pezzi e la mente continua a tormentarsi di domande a cui non so dare una risposta. Mi sono fidata e ancora una volta ho commesso un grosso errore. Mi sono illusa e ho deluso anche me stessa.
Ho bisogno di questo breve viaggio per schiarire le idee e per placare questo senso di stordimento momentaneo che continuo a sentire. Sapere la verità è stato un colpo basso. Sono sposata, SPOSATA!
«Cazzo!», urlo con le mani tra i capelli. «Merda!», continuo nervosa picchiando un pugno contro il tettuccio dell'auto. «Sono sposata!»
Risalgo in auto tornando alla guida. Passo una mano sul viso per concentrarmi. Premo sull'acceleratore spingendomi lontana da Vancouver verso una zona di montagna, isolata, tetra, silenziosa. Proprio quello che ci vuole. Una zona dove i telefoni non funzionano come dovrebbero. Un luogo dove posso meditare e trovare una certa tranquillità.
Trovo un piccolo resort modesto e confortevole nelle vicinanze. Pago in contanti una camera e mentre ammiro la natura incontaminata dalla finestra, inizio a domandarmi cosa staranno facendo tutti. Non voglio essere cercata. Non voglio tornare proprio ora a casa. Ho ancora una casa?
Mi rannicchio sulla piccola poltrona in legno e mi abbraccio per non sentire freddo. Nonostante il riscaldamento sia accesso, continuo a sentire quel gelo sotto pelle. Scoppio in lacrime. Ormai ho perso il conto dei giorni in cui non l'ho fatto. Le lacrime fanno parte della mia esistenza. Lavano lente il dolore ma non lo fanno smettere.
Come ha potuto mentire? Come è riuscito a tenere tutto questo dentro per mesi? Perché non me lo ha detto quel giorno? Avremmo trovato una soluzione. La vocina dentro la mia testa però dice il contrario e forse ha ragione. Cosa avremmo potuto fare? Ethan dal suo punto di vista lo ha fatto per non perdermi ma tenendomi nascosta una cosa del genere, mi ha persa comunque. Sono così arrabbiata con lui, così delusa. Non voglio vederlo. Non voglio guardarlo negli occhi e sentirmi presa in giro. Ecco di cosa voleva parlarmi. Ecco perché continuavano a tirarlo via quando tentava di lavare la sua coscienza. Ecco perché quel giorno sembrava nervoso, accorto. Ecco perché ha chiuso il portatile e il borsone con una certa fretta. Ecco perché ha continuato a proteggermi. Sentiva il dovere di farlo in quanto marito. Cazzo! Ethan è mio marito.
Qualcuno bussa alla porta. Due colpetti che si riverberano dentro la stanza facendomi sobbalzare. Lentamente mi avvicino per guardare dallo spioncino. Apro cauta la porta e un ragazzo mi porge un vassoio pieno di cibo fumante. «La sua cena signorina. Buona serata!»
Ringrazio interdetta e porto sul piccolo tavolo la cena. Apro la cloche argentata. Il vapore si innalza e l'odore del risotto con zucchine, tonno e pomodorini riempie l'aria. Il mio stomaco si contrae. Metto in bocca una forchettata di riso e chiudo gli occhi. Mi costringo a mangiare tutta la cena e dopo avere fatto una doccia calda mi metto a letto. Accendo la tivù e parte un cartone su delle tartarughe proprio nella parte in cui c'è la canzone Talking To the moon di Bruno Mars. Una canzone che adoro. Il cartone è bello anche se un po' triste in alcune parti. Per fortuna ha un lieto fine. Almeno lui.
Provo a non piangere e a non pensare, a non distruggermi ulteriormente. Provo a non pensare a lui, a quei giorni meravigliosi. Provo a non pensare alle sue bugie, alle sue finte promesse. Ormai il danno è fatto e anche da mesi. Avrei dovuto capire che qualcosa non andava.
Spenta la tivù, lascio la luce accesa per non avere nessun incubo e poi provo a dormire.

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