Capitolo 56

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Guardo Parker e sorrido. Aggiusto ancora la sua cravatta mentre balliamo avvolti dalla folla di persone arrivate da tutto il paese per la premiazione dei vincitori della gara di beneficienza. Il tutto è stato organizzato nei dettagli dal capo di Lexa che ora è anche il mio visto che mi permette di ottenere vantaggiosi lavori. Ho posato per delle riviste e partecipato a qualche sfilata. Non è stato poi così imbarazzante ma non è la mia vera ambizione.
Tovaglie colorate, cibo di ogni tipo e nazionalità, alcolici ovunque, musica alta e un'atmosfera magica di festa. Le mie amiche ballano a poca distanza mentre Daniel tiene in braccio la piccola Stella per permettere alla figlia di divertirsi per qualche minuto. Più i giorni passano, più la bambina cresce e diventa bellissima. Sono sempre più convinta del fatto che un giorno farà strage di cuori e Mark sarà costretto a mettere al tappeto i ragazzi che le gireranno intorno.
«E se ce ne andassimo tipo tra un secondo?»
Parker sembra smanioso di fuggire da questa festa. Chiunque si ferma per complimentarsi con lui per l'ottimo risultato e lui sembra sempre più in imbarazzo e sotto pressione. Capisco anche il motivo del suo comportamento e non voglio di certo litigare con lui per un qualcosa che lo induce a stare male. Pensare alla sua carriera sportiva distrutta, deve essere sempre doloroso. Mi dispiace vederlo triste.
«Dico che per me va bene ma solo se hai un piano di riserva per divertirci», stampo un bacio sulle sue labbra e poi stringo la sua mano intrecciando le nostre dita per seguirlo; ovunque lui voglia andare. Sembra avere una certa fretta. È come se stesse soffocando e avesse bisogno di trovarsi fuori per tornare a respirare.
Superiamo le file di persone ammassate in pista intente a ballare e riusciamo a raggiungere il piccolo e stretto corridoio.
«Dove pensate di andare?»
Lexa e David arrestano la nostra fuga sbarrandoci la strada. Ci guardano curiosi e sorridono quasi complici. Lancio uno sguardo prima a Parker poi alla mia amica prima di rispondere alla loro domanda. «Pensavamo di uscire da questo casino tra meno di un secondo ma voi state ostacolando i nostri piani».
Lexa ridacchia. «E se ci uniamo a voi tra meno di un quarto d'ora?»
«Al mio appartamento?», domanda repentino Parker. Ha proprio fretta. Mi viene da ridere.
«Affare fatto!», David trascina Lexa fuori mentre Parker stringendo le nostre dita si destreggia ancora tra la folla fino a raggiungere il parcheggio e quindi la sua auto dove entro quasi lanciandomi sul sedile.
Guida con concentrazione mentre inizio a domandarmi cosa abbia in mente e il perchè di tutta questa fretta per uscire dalla festa. Non credo sia solo il fatto del passato. C'è sicuramente dell'altro.
Arriviamo sotto il palazzo. Posteggia nel garage sotterraneo, salutiamo la guardia e poi saliamo nel suo appartamento. Non mi sono ancora abituata a definirlo mio. Non credo riuscirò mai a farlo.
Tolgo subito i tacchi, sciolgo i capelli scuotendoli. Stiracchio le braccia e le dita dei piedi indolenzite e seguo Parker in camera mentre toglie la giacca e apre le maniche della camicia bianca. Lo aiuto con i bottoni e lui si ferma un momento di troppo ad osservarmi. Sorrido timida e continuo ad aprire la camicia e a toccare i suoi addominali scolpiti.
Di punto in bianco mi solleva per i glutei e premendomi contro la parete mi bacia con impeto. Ridacchio quando tenta invano di aprire la zip dell'abito che indosso. Dietro il corpetto c'è un gancetto ben nascosto, non solo la cerniera.
«Abbiamo meno di quindici minuti e tu non mi avverti delle trappole?»
Rido più forte mentre gli spiego come fare. Sbuffa e solleva subito la gonna sulle mie cosce. Sorride e poi mette il broncio perchè non riesce proprio a togliermi il vestito di dosso. Si siede con la schiena nuda contro la testiera del letto e mi fa cenno di raggiungerlo. Cammino a gattoni sul letto sistemandomi a cavalcioni su di lui poi prendo il suo viso tra le mani per baciarlo. Infila le mani sotto la gonna lunga iniziando a toccare dei punti sensibili con le dita. Comincio a non avere fiato e ben presto anche lui sembra perdere la bussola. Lo capisco dal modo in cui si alza e si abbassa il suo petto, dal modo in cui morde le mie labbra e preme le dita.
Sbottono i suoi pantaloni mentre sorridiamo come due bambini che hanno fretta. Mi bacia mentre cerca sul comodino una protezione.
Entra dentro me con delicatezza. Gemo e mordo le sue labbra per trattenere il lieve dolore seguito dal brivido che ha percosso la mia spina dorsale. Muove i miei fianchi e ansima sulle mie labbra mentre i suoi occhi imprigionano i miei per degli attimi che a me sembrano eterni.
«Sposiamoci Emma», geme e stinge la mia vita.
Cosa? Mi irrigidisco trattenendo il fiato. Ho sentito bene? Credo di essere diventata più pallida del lenzuolo e per fortuna ho ancora addosso l'abito colorato. «C-osa?», balbetto affannata e stordita.
«Sposiamoci, ora!»
Mi fermo e prova a baciarmi ma lo blocco mettendo due dita sulla sua bocca. «E' una dichiarazione?», domando ancora scossa ma con un sorriso. Ho il cuore che galoppa troppo velocemente e lo stomaco che si contrae dalla paura per ciò che la mia bocca potrebbe lasciare uscire.
«Non credo ci siano altre parole più importanti di questa. Sposami!», la sua mano preme sulla mia schiena e nel sollevarmi leggermente emetto un mugolio perchè è ancora dentro me.
Tengo stretto il suo viso. «Non possiamo», sussurro con un sorriso. «Non ancora», balbetto.
«Perchè no?», il suo viso muta improvvisamente espressione.
Deglutisco e provo a staccarmi da lui ma non me lo permette. I suoi occhi mi inchiodano e ardono di una strana luce. «Conviviamo non basta? Non è la stessa cosa?»
Il suo viso si fa rosso dalla furia. Per un momento ho paura che possa urlarmi addosso. Non passa molto. «No, non è la stessa cosa». Allenta la presa. «Non sono all'altezza vero?»
«Cosa? Che cosa significa questo ora?»
«Emma non mentire e non fare l'ingenua. Perchè non vuoi sposarmi? Perchè non sono come lui? Perchè non ho la reputazione da cattivo ragazzo? Perchè non mi ami così tanto da sposarmi? Dimmi, dimmi perchè?», alza il tono della voce.
Mi abbraccio stringendo le palpebre e allontanandomi da lui. «Tu non hai niente a che fare con questo. Sono io, io non vado bene per questo...», sbuffo e sgancio l'abito che inizia a starmi stretto. «Maledizione!», ringhio staccando il gancetto con forza e aprendo la cerniera. Torno per un nano secondo a respirare e apro l'armadio per cambiarmi con le lacrime agli occhi.
Parker si è alzato e sta facendo lo stesso ma con una certa furia. «Quindi convivi con me perchè non hai alternative?» urla.
Sobbalzo. «Stai proprio dando di matto! Sto con te perchè ti amo e perchè mi piace convivere con te.»
«Però non vuoi sposarmi»
«No, non voglio sposarmi in questo momento Parker», infilo la canottiera e i pantaloncini con rabbia. Non era questo il piano per la serata. Come diavolo gli è venuto in mente?
Scuote la testa. «Quindi non ha senso convivere...», stringe la mandibola richiudendosi nel bagno e sbattendo la porta. Razionalizzo un momento la situazione. Valuto se raggiungerlo in bagno e rischiare di peggiorare la situazione o rimanere qui, dargli ragione e rischiare di peggiorare lo stesso la situazione. Sospiro e apro la porta del bagno. Sta lavando il viso con furia. Non mi guarda nemmeno. La cosa mi fa stare male. So che quando si arrabbia ci vuole parecchia pazienza per farlo ragionare.
«Per me ha senso convivere con te perchè ti amo. E' una situazione nuova per me e sto iniziando ad abituarmi davvero alla nostra routine. Non voglio cambiarla così, di punto in bianco», stringo le dita a disagio. Sembro una ragazzina in questo momento.
«Ti sei espressa benissimo Emma. Ho capito!»
Apro la bocca ma veniamo interrotti dal citofono. Parker mi supera dopo avermi lanciato uno sguardo torvo e va ad aprire. Rimango un momento in camera mentre sento l'appartamento riempirsi delle voci allegre di Lexa e David. Trattengo le lacrime che rischiano di sgorgare e mi dirigo in soggiorno. Parker e David si stanno già occupando del vino e dei bicchieri. La mia amica si accorge della mia espressione ma non parla perchè quando mi siedo i ragazzi arrivano con i calici pieni. La tivù si accende e parte un film horror a caso. Non riesco proprio a fare attenzione perché la mia mente ripercorre i minuti prima del litigio. Parker mi ha chiesto di sposarlo e io ho rifiutato poi abbiamo litigato. La mia gola si stringe in una brutta morsa. Rischio di scoppiare davanti alla mia amica.
Lexa mi rovescia il vino sulla maglia dopo essere sobbalzata e avete urlato. La rassicuro quando mortificata tenta di aiutarmi e quando mi rialzo sento due occhi chiari in particolare, puntati addosso. Chiudo la porta con una certa forza, appoggio la fronte sulla superficie fredda e lascio uscire un singhiozzo. Scoppio in lacrime mentre mi cambio e tento di togliermi di dosso l'odore odioso del vino. Sciacquo il viso sbavando un pò del mascara che avevo sugli occhi e poi con compostezza torno in soggiorno.
Lexa se ne sta tra le braccia di David. Prendo posto accanto a Parker il quale non mi degna di uno sguardo. La mia amica se ne accorge ma continua a tenere a freno la lungua ricordando forse del casino combinato da Anya.
La suoneria del mio cellulare rimbomba dalla cucina. Mi alzo immediatamente grata per la distrazione e corro a vedere se è Anya che chiede dove siamo finiti o se ha bisogno con Stella. Purtroppo è un numero che non conosco. Schiarisco la voce prima di rispondere.
«Emma Evans? »
«Sono Emma, si?»
«Sono il dottor Green...»
Il mondo inizia a girare mentre sento incidente, sparatoria, ferito. Mi appoggio malamente al bancone della cucina facendo cadere la brocca d'acqua che si schianta con un tonfo sordo al suolo mandando milioni di scheggie e acqua da tutte la parti sul pavimento.
«Signora Evans c'è ancora?»
Dal soggiorno arrivano tutti allarmati. Mi trovano con le lacrime agli occhi, appoggiata al bancone, tremante e affannata a causa del panico crescente. Non riesco a respirare. No, non può essere vero. Non ora.
«Si», riesco a balbettare incapace di gestire il turbinio di dolore che investe ogni parte del mio corpo come lame affilate che arrivano da tutte le parti.
«Abbiamo bisogno di lei qui in ospedale. Riesce ad arrivare a Las Vegas più in fretta che può?»
Asciugo le lacrime e singhiozzo sonoramente mentre scivolo a terra. «Si, mi dia l'indirizzo e provvedo subito», rispondo a sussurro balbettando. Il dottore parla ma non riesco proprio a concentrarmi su altro. So solo che devo andare. Stacco la chiamata, mi rialzo barcollante e come un robot mi guardo spaesata attorno. Qui non ho molto da mettere nel borsone. Non ho niente da portare dietro perchè non so nemmeno se riuscirò a superare tutto questo.
Lexa mi afferra per le braccia allarmata. «Che cosa è successo? Perché piangi e tremi?»
«Devo andare!», stacco le sue mani dalle spalle e i miei piedi si muovono lenti sul pavimento. Apro il borsone e infilo quello che trovo alla rinfusa. Confusa cerco il caricabatterie e il telefono. Lexa me li passa e tenta di moderare le domande mentre i ragazzi sbarrano la porta con i loro corpi. Parker non fa altro che guardarmi turbato e arrabbiato per prima. Non riesce proprio a trattenersi. Sa cosa sto per fare e sa dove sto andando. Questo lo farà infuriare maggiormente.
«Emma, cazzo, fermati!», urla Lexa bloccando le mie mani che tremano visibilmente mentre recupero una giacca e dal telefono trovo un volo diretto per Las Vegas. Urla anche addosso a Parker chiedendogli di fermarmi ma lui rimane immobile.
«Mi dici cosa diavolo è successo? Dove stai andando? Max sta male? Emma ti prego rispondi!»
Scuoto la testa scoppiando in singhiozzi. «Si è fatto male», piagnucolo come una bambina mentre la mia amica mi abbraccia e tenta di farmi calmare inutilmente. «Chi?»
«Devo andare, vogliono solo me e... io, io devo andare», tiro su con il naso e spalanco la porta tra le lacrime. Corro subito giù per le scale, chiamo un taxi con il cuore in gola e vado dritta in aeroporto.

Continua...

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