Capitolo 3

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«Allora? Sto aspettando, anche perché dubito che il pavimento di casa mia possa esserti in qualche modo utile,» sbuffai, dopo una decina di minuti in cui, giunti al mio appartamento, Aaron continuava a rivolgere a terra tutta la sua attenzione, evitando di alzare la testa.

Era rimasto zitto per tutto il percorso, eppure era stato proprio lui a implorarmi di ascoltarlo.
Finalmente, si decise ad alzare il capo e arrossì davanti al mio sguardo attento e incuriosito.

«Io…» cominciò a dire, bloccandosi di colpo. Prese fiato e ripartì dall’inizio: «Io non mi capacito del fatto che tu ti sia dimenticato di me. Ma deve essere davvero così… dato che la volta scorsa eri deciso a… a portarmi a letto.»

Spalancai gli occhi, stupito dalla sua rivelazione. Io ero sicuro di non averlo mai visto prima, di certo non era nessuno con cui avevo fatto sesso, visto e considerato che mi ero sempre ritenuto etero. Al di fuori del locale in cui lavoravo non frequentavo nessuno, non avevo amici né compagni di bevute. Per quanto riguardava i clienti dell’Eclipse Pub, avevo un’ottima memoria fotografica ed ero sicuro, al cento per cento, di non avere mai avuto a che fare con Aaron, se non quell’unica volta che ero stato sul punto di scoparmelo.

«Non ti ho mai visto prima, se non quella volta che ricordiamo bene entrambi.»

Aaron diventò del colore della brace e una strana luce si accese nei suoi profondi occhi scuri, uno scorcio di una qualche indefinibile emozione.
Ed ecco che ritornò il silenzio e la rabbia iniziò a farsi spazio dentro di me. Non potevo perdere tempo con questo ragazzetto impacciato che non riusciva nemmeno a mettere insieme un discorso decente. Avevo di meglio da fare che guardare il suo imbarazzo. Aaron era bellissimo e mi arrapava terribilmente, ma era stato chiaro nel dirmi che non voleva fare sesso con me e io ero nelle condizioni di dovermi procurare una scopata al più presto.
Ancora un minuto e lo avrei spedito fuori dalla mia porta a calci nel culo.

«Senti, se non hai niente da dirmi puoi anche andartene, io devo uscire.»

«Uscire? Ma se sei appena rientrato, inoltre è notte fonda,» esclamò Aaron, ritrovando l’uso della parola e facendomi imbestialire.

Dove stava scritto che non potevo uscire di notte, quando ero maggiorenne e non dovevo rendere conto a nessuno della mia vita?
Lasciai scivolare lo sguardo sul suo corpo asciutto, desiderandolo, eccitandomi al solo pensiero di poterlo stringere tra le braccia e sentirlo premuto contro il mio. Ricordavo bene quella sensazione, il piacere di aspirare il suo profumo e averlo così vicino da desiderare di averne di più. Quella famosa sera in cui mi era sgusciato fuori dalle braccia, interrompendo il bacio più erotico di sempre, mi ero sentito come svuotato, privato di qualcosa cui non riuscivo, ancora adesso, a dargli un nome.
«Scusa mamma, se di notte faccio le ore piccole!» lo sfottei, ironico, facendogli capire quanto le mie abitudini non fossero affari suoi.

«M-mi dispiace, non volevo essere invadente,» balbettò Aaron, mortificato.

«Ti decidi a dirmi cosa cazzo vuoi da me? Cosa devi dirmi? Spicciati!» lo assalii, oramai stufo marcio, contento di vederlo sobbalzare.

Non voleva concedermi il suo corpo e, di conseguenza, volevo che lasciasse il prima possibile il mio misero appartamento, permettendomi di sfogare altrove la mia voglia di lui e, soprattutto, di nutrirmi.
Avevo una lunga lista di ragazze registrate nella rubrica del mio telefono, la maggior parte ben disposte a ritornare nel mio letto ma, vista l’ora tarda, la lista si accorciava ad ogni minuto che passava senza che io le chiamassi.

Finalmente il ragazzo si decise a parlare: «Tu… tu davvero non sai chi sono?»

Aggrottai le sopracciglia, vedendo le sue guance colorirsi sotto il mio scrutinio. No, ero sicuro di non conoscerlo, non avevo il benché minimo dubbio.

Un'altra VitaWhere stories live. Discover now