Capitolo 4

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Un’altra lunga e interminabile serata di lavoro. Avevo un mal di testa terribile e il rumore della musica, mischiata a chiacchere e risate, stava peggiorando le mie condizioni. Oltretutto, mi sentivo depresso, dato che Aaron era da quattro giorni che non si faceva vedere. Dopo le sue rivelazioni, davanti alle mie insistenze si era deciso a lasciarmi il suo numero di telefono, peccato che non avesse risposto una sola volta alle mie chiamate né tanto meno ai messaggi.
Mi stava evitando e io avevo troppo bisogno di lui per permetterglielo. Il mio cuore aveva smesso di battere non appena se ne era andato e il gelo aveva avvolto nuovamente il mio corpo, lasciandomi con un senso di abbandono che mi aveva quasi fatto piangere.
Sentivo di provare qualcosa per quel ragazzo e lo desideravo al mio fianco.
Feci un cenno a Steve, uno degli altri due camerieri, indicandogli che uscivo un attimo per fumarmi una sigaretta e annuì dal bancone, proprio nell’istante in cui all’Eclipse facevano la loro entrata due ragazzi splendidi, inutile dire che uno dei due era Aaron.
Radiografai il suo accompagnatore, prendendo nota della sua prestanza e dei capelli castani e ricci, e la rabbia montò in me in un nanosecondo. Non era un bene dal momento che la rabbia incrementava la mia forza e rischiavo di ferire seriamente qualcuno senza neanche accorgermene.
Entrambi i ragazzi si sedettero intorno a un tavolo al centro del locale e presero a parlare, sorridendosi di tanto in tanto quasi stessero nascondendo chissà quale segreto divertente. Intercettai lo sguardo di Steve e gli indicai i giovani in questione, indicando poi me stesso, affinché capisse che quei clienti erano miei. Il cameriere aggrottò le sopracciglia, stupito, e sollevò le spalle come a dirmi che non c’era nessun problema. Mi diressi a passo marziale dai due piccioncini e rivolsi loro un sorriso fasullo, tentando di non digrignare i denti.

«Buonasera, cosa posso servirvi?» li accolsi, guardando fisso Aaron e sorprendendolo a fare altrettanto.

«Una birra media. E tu Aaron?» gli domandò il ragazzo seduto di fronte.

«Lo stesso per me, grazie,» mi si rivolse l’altro.

«Altro?» chiesi, desiderando di servire le bevande sulle loro teste.

«Io sono a posto così. Tu Richard?»

«No, magari più tardi.»

E tu Aaron? E tu Richard? Ma che dolci!!!
Mi allontanai da loro, rigido come un manichino per lo sforzo di trattenermi dal fare scenate in pubblico o commettere un reato.
Versai le birre e, dopo averle posate su un vassoio, sputai in uno dei due bicchieri, guardandomi bene dal non essere beccato o sarei stato licenziato in tronco.
L’emicrania sembrò svanire di colpo, pienamente soddisfatto per la mia piccola vendetta. Nessuno se ne sarebbe reso conto, ma io avrei ottenuto la mia rivincita con lo stronzo che pensava di soffiarmi il ragazzo.
Ragazzo? Il mio ragazzo? Davvero lo avevo pensato?
Tornando al tavolo, posai i boccali di birra davanti ai due ragazzi e il ricciolino alzò subito il suo, trangugiando una lunga sorsata e facendo piegare all’insù le mie labbra.

«Sei ancora qui? Non ci serve altro al momento,» mi riprese lui.

Era lo stesso tizio che mi aveva rimproverato tempo fa, quando mi ero imbambolato a guardare Aaron.
Gettai un’ultima occhiata al suo compagno di tavolo, fremendo nell’incontrare i suoi occhi, e ritornai al mio lavoro per una decina di minuti, dopodiché uscii dal locale per quella famosa sigaretta.
Sputare nel bicchiere era stata davvero una bambinata, ammisi con me stesso, tanto più che il divertimento era durato pochissimo e non avevo risolto nulla.
Fuori faceva freddo, l’autunno, stranamente mite, aveva lasciato spazio all’inverno e negli ultimi due giorni le temperature si erano abbassate notevolmente, ma non era un problema per me, perché i non morti non avvertivano gli sbalzi climatici, caldo o freddo non facevano differenza.
Erano pochi i giovani che sostavano all’esterno del locale, imbacuccati nei piumini, con le mani sprofondate nelle tasche. Erano clienti abituali e mi salutarono appena mi videro.
Scambiammo un paio di chiacchere, poi mi allontanai in un angolo appartato, sul lato buio del locale, dove il mio capo ancora non aveva provveduto a sostituire le lampade al neon bruciate.
Beh, meglio così, qui non mi avrebbe trovato nessuno ed era il mio luogo da “scopata e fuga”, le ragazze che mi ero fatto qui erano talmente tante che non avrei saputo contarle.

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