1. Ricordi

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Emicrania.
Una fastidiosissima emicrania stava dilaniando la mente del povero ragazzo, incosciente e inerme sul lettino.
Stordito com'era ci mise del tempo ad aprire gli occhi, cercando disperatamente di mettere a fuoco. Ci riuscì dopo svariati tentativi capendo subito di essere in una stanza linda e pulita, probabilmente di un ospedale o qualcosa di simile.
Un forte dolore prese a martellargli la fronte quando degli uomini in divisa fecero irruzione nella stanza,  dopo di loro un medico fece il suo ingresso avvicinandosi subito al corpo sdraiato del ragazzino.
«Ricordi cos'è successo?»
La frase arrivò alle orecchie di Hinata come un suono distante, appena udibile.
Si limitò negare con il capo, riuscendo a malapena a tenere gli occhi aperti.
«Ti trovi in caserma.»
Hinata non capiva, perché doveva trovarsi in un posto del genere?
Il signore in camice lo aiutò a mettersi seduto, reggendolo per non farlo ricadere a peso morto sul materasso.
Tutto ad un tratto il viso del ragazzo si contorse in una smorfia di dolore, e così come il forte mal di testa era arrivato scomparse. Solo allora qualcosa gli tornò alla mente.

Appena uscito dai corsi serali che teneva a scuola per recuperare alcune materie, Hinata percorse la strada di casa, sorridente come il suo solito. Percorso qualche metro però si presentò un grande ostacolo per lui, altro non era che un fastidioso compagno di classe, sempre pronto a deridere e schernire. Shoyo odiava le prese in giro, per questo decise di cambiare strada.
Si avventurò in un vicolo buio, non molto frequentato. Dei ragazzi più grandi di lui si trovavano riuniti lì, circondati da un forte odore di marijuana. Tutta quella situazione non piaceva al più piccolo, che decise di affrettare il passo. In quel momento si sentì il suono delle sirene della polizia riecheggiare per tutto il vicolo, facendo immobilizzare tutti i presenti.
Due poliziotti scesero dalle autovetture, avvicinandosi a loro e chiedendo gli zaini, compreso quello di Hinata.
I ragazzi più grandi non sembravano affatto preoccupati, anzi, guardavano il ragazzo dalla
Folta chioma arancione con un ghigno divertito sul viso. Ovviamente Shoyo non capì cosa c fu di divertente in tutto quello finché uno dei due poliziotti tiro fuori dal suo zaino azzurro una bustina di plastica, contenente della droga accuratamente divisa tra essa.

Solo in quel momento Hinata comprese appieno la situazione.
Decise però di non obiettare quando gli agenti nella stanza gli ordinarono di alzarsi e dirigersi verso un ufficio, scortato ovviamente da uno di loro.
Spalancò la porta in mogano della stanza, riconoscendo le figure dei suoi genitori al suo interno, un signore si trovava insieme a loro.
La padre di Hinata aveva un tale disprezzo negli occhi che lui stesso si sentì le gambe deboli. Tutto quello era assurdo, lui era innocente e lo avrebbe dimostrato.
Si sedette ad una delle sedie libere, aspettando che qualcuno parlasse. A farlo fu sua madre.
«Agente... Deve esserci stato un errore.»
Hinata si sentì incredibilmente più leggero, sua madre era con lui. Sapeva che il suo bambino non farebbe mai una cosa del genere. Eppure... Suo padre non la pensava allo stesso modo.
«Un errore? Hanno trovato della droga nel suo zaino. Non c'è nessun errore.»
Il ragazzo si sentì mortificato, senza nessuno avere alcuna colpa.
«Papà, lascia che spieghi.»
«Non c'è niente da spiegare, che prendano provvedimenti.»
A questo punto il signore intervenne.
«Il ragazzino ha ragione, deve poter esporre la propria versione dei fatti.»
Shoyo prese parola, raccontando che all'uscita da scuola aveva cambiato strada imbattendosi in un gruppo di ragazzi. Disse infatti che le cose trovate nello zaino non fossero sue, ma appunto di quei ragazzi che, per scampare alla polizia approfittarono della sua goffaggine e della sua ingenuità.
Una volta terminato di parlare il padre sbuffò sonoramente, schernendolo.
«Ci credi stupidi?!»
Sbottò alzandosi dalla sedia, allontanandola da se.
«Se credi che crederemmo a questa storiella, sei proprio un ingenuo. Nemmeno un bambino lo farebbe.»
Eppure la mamma ci credeva, in cuor suo sapeva che fosse quella la verità. Lo sapeva.
Nuovamente il signore seduto alla scrivania calmò il genitore ormai su tutte le furie.
«Abbiamo chiesto anche hai ragazzi che erano lì di testimoniare la vicenda. Ci hanno raccontato che continuavi ad infastidirli per via del loro aspetto, dicevano che volevi vendergli qualcosa, che insistevi. Tutti e cinque confermano. Inoltre siamo riusciti a trovare un testimone oculare al di fuori della vicenda, che passava casualmente di lì. Ci ha detto di essere tuo amico.»
Mostrò ad Hinata una foto di tale soggetto. Iniziò a sudare freddo, iniziava ad avere paura sul serio.
La foto ritraeva quel ragazzo che aveva evitato, il motivo alla base del perché lui si trovasse in un posto del genere.
«Anche lui ha confermato la versione dei ragazzi. Dicendo che da tempo frequenti i corsi serali per approfittare dei ragazzi.»
Shoyo lo guardò, non riuscendo a pensare a nulla, tutto era contro di lui, il mondo stesso in quel momento era contro di lui. Tranne sua mamma, lei ancora provò a difenderlo.
«Stupidaggini! Questo ragazzo è un bulletto he tormenta mio figlio da anni ormai, come può credere una cosa del genere? Conosco mio figlio, non è capace di fare certe cose.»
«Per quanto le sembri incredibile, i fatti parlano chiari signora. Sono davvero dispiaciuto per lei e la sua famiglia, ma devo chiedere al ragazzo di seguirci in una comunità penitenziale.»
La giovane mamma di Hinata sbiancò completamente.
«Una... Comunità penitenziale?»
Disse flebilmente, mentre le sue mani iniziarono a tremare leggermente.
«Si, è come un riformatorio ma con un nome diverso. Fortunatamente ce n'è uno qui vicino, sono piuttosto rari di questi giorni. È un luogo dove ragazzi minorenni con precedenti penali rimangono fino ai diciotto o più. In quel lasso di tempo vengono seguiti da un tutor che li aiuterà a riabilitarsi. Hanno stanze, mensa e un'aula dove poter continuare gli studi. Non sono molto famosi, per questo sono piccoli e generalmente con pochi elementi.»
Hinata sentì gli occhi pizzicare e farsi lucidi, il labbro inferiore tremare, le mani sudare, gli si accaldò il viso, il petto... Stava male, molto male. La madre non se la passava meglio.
Il padre rimase totalmente indifferente, forse sollevato.
«Tesoro... Non possiamo lasciare Hinata, è il nostro bambino, abbiamo ancora troppe cose da insegnargli.»
Disse la donna trattenendo a stento le lacrime, guardando disperatamente il marito.
«È il tuo bambino. Ho provato ad insegnargli tutto ciò che sapevo. Ha scelto la strada sbagliata e ora, dovrà arrangiarsi senza la sua famiglia. Natsu non dovrà sapere che suo fratello girava a spacciare droga nei vicoli.»
Shoyo non riuscì a resistere sentendo il nome della sua adorata sorellina, era troppo per lui da sopportare. Tutto quell'odio insensato... Era semplicemente troppo.
Scoppiò in un pianto disperato, guardando i suoi genitori, in particolare l'uomo.
«Papà ti giuro, io non c'entro nulla, non è colpa mia, sono stato bravo, ti prego non abbandonarmi.»
Disse in preda al panico, alzandosi dalla sedia e quasi cadendo a terra. La madre non riuscì a reggere la vista del proprio figlio in quello stato e, dopo averlo abbracciato ed aver sussurrato lui parole per rassicurarlo, uscì dalla stanza emotivamente sconvolta.

«Bene, mi servono un paio di firme per l'affido del ragazzo e un bollettino indirizzato direttamente all'istituto. È una piccola tassa da pagare solo per i primi tre mesi di permanenza.»
«Bene, ci accorderemo nel dettaglio nei prossimi giorni. Ora fate sparire questa delusione da davanti ai miei occhi.»
«Papà, ti prego... Non credere a quelli là, sono tuo figlio, ho il tuo stesso DNA, il tuo stesso sangue... Non puoi davvero abbandonarmi per così poco.»
«Così poco?! Ti rendi conto della vergogna che ho provato nel sentire che il figlio che ho cresciuto spacci ad altri ragazzi?! Continui pure a negare l'evidenza. Shoyo, ora stai zitto e vattene, non voglio più vederti.»
Le lacrime scendevano copiose sulle guance del ragazzo, la cui vita gli stava scivolando dalle mani troppo velocemente.
«Non ho fatto niente... Sono un bravo bambino, lo giuro...»
Sussurrò flebilmente, sentendosi mancare l'aria quando il padre abbandonò la stanza, trascinando via con se la donna.
Hinata sentì un forte giramento di testa, era ancora debole, ma decise comunque di combattere e precipitarsi fuori, rincorrendo i propri genitori e attaccandosi alla gamba del padre.
«Non lasciatemi, non voglio, non voglio!»
Urlò, in preda al pianto.
«Voglio tornare a casa, voglio tornare a casa mamma.»
La donna fece per abbassarsi e cullare il ragazzo che era ridotto ad un pasticcio di lacrime, ma il marito prontamente la strattonò per un braccio, costringendola ad uscire e liberandosi di Hinata semplicemente scrollando la gamba con disgusto.
E di nuovo non si arrese. Corse verso l'uscita nonostante avesse le gambe molli. Venne bloccato fisicamente da un agente, iniziò quindi a scalciare, mollare pugni e schiaffi, urlò con la poca aria che gli era rimasta nei polmoni, fino a che le sue agonie non trovarono pace in una siringa che venne spinta nel proprio braccio.
Subito si sentì assopito, mentre la testa prese a girare vorticosamente, la vista si annebbiò, per poi lasciarsi cadere esausto sul pavimento e addormentarsi, cullato dal tranquillante che gli avevano appena iniettato.

My space 🏳️‍🌈
Capitolo 1 super lungo per i miei standard. Comunque. È la prima storia a tema gay che scrivo e boh, spero non stia uscendo un aborto. Ovviamente Kageyama ancora non si è visto, ma farà la sua comparsa nel prossimo capitolo uwu
Sof🌱🐝

Prison [KageHina]Where stories live. Discover now