CAPITOLO 8 - IV

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– Sto bene, mamma, sul serio. – Enyd aveva passato cinque giorni a letto, rimpinzata dalla madre e prosciugata dal bambino, ma nonostante si sentisse ancora indolenzita lo splendore del sole sulle erbe del poggio che filtrava dalle finestre costitutiva un richiamo irresistibile. – E il bambino non ha ancora visto la valle.

Dele la osservò severa liberarsi dalle lenzuola, mettersi a sedere sul bordo del letto e poi alzarsi in piedi sorreggendosi incerta alla testiera del grande letto, con indosso solo il lóin imbottito che indossava nei giorni del sangue: Hylidis le aveva consigliato di tenerlo e cambiarlo spesso, per tenere sotto controllo eventuali perdite, ma fortunatamente non era successo nulla. Con l'occhio attento della madre notò con una punta di tristezza il pallore dell'incarnato, le grinze della pelle ancora molle sul ventre, i capezzoli arrossati, gli occhi cerchiati per il poco sonno, ed ebbe una stretta al cuore. Che peccato, pensò, che la più grande gioia che possa capitare ad una donna debba rovinarne l'aspetto in quel modo. – Fai come credi – le disse con un sospiro.

Enyd si lavò al bacile ed indossò un abito pulito, poi prelevò il piccolo dalla culla e, stringendoselo al seno avvolto nel suo lenzuolo, lo portò all'aperto per la prima volta.

L'aria era tiepida e profumata, ed i raggi del sole quasi abbaglianti dopo la penombra in cui era stata immersa fino a quel momento. Enyd inspirò forte, assaporando il piacere dell'erba fresca sotto le piante dei piedi nudi e la carezza del vento sulla pelle del viso. Matias era dovuto scendere a valle, e non sarebbe tornato che da lì a qualche ora, ed Enyd era dispiaciuta che si stesse perdendo la prima escursione del suo bambino nel mondo, ma nonostante non fosse ancora perfettamente in forma si era resa conto che non sarebbe riuscita a restare chiusa in casa ancora a lungo.

Mosse qualche passo, poi si sedette sull'erba. La valle si stendeva ai suoi piedi, coi suoi boschi, i suoi prati ed i suoi campi, attraversata dai nastri d'argento liquido del Maw e dei torrenti suoi affluenti. Se guardava attentamente, poteva scorgere qua e là le piccole figure delle persone indaffarate nei loro compiti e le greggi di pecore, simili a cespi di denti di leone. Il latrato di un cane giunse fino a lei sovrastando il frinire dei grilli.

Il bambino si agitò tra le sue braccia, mugolando piano ed emettendo piccoli schiocchi con le labbra. Enyd aveva già imparato a capire ciò che voleva: prima che le proteste diventassero rumorose, slacciò il vestito al collo e si scoprì un seno, accostando la boccuccia al capezzolo. Il bambino vi si attaccò con energia, stappandole un gemito di dolore. – Accipicchia che fame – mormorò Enyd. – Il tuo papà era più gentile, con le mie tette. – Ma una volta di più, guardando il suo bambino suggere avidamente il suo latte, la piccola mano appoggiata sulla carne morbida del seno quasi ad abbracciarla e ringraziarla per ciò che stava facendo, sentì che nonostante tutto il dolore che le aveva causato e le avrebbe causato ancora, non avrebbe mai amato nessuno come lui, ed avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere per proteggerlo.

*

Enyd si riprese in fretta e presto volle tornare ad occuparsi della casa e dell'orto. Naturalmente, Dele oppose dal principio una strenua resistenza ma ben presto dovette arrendersi all'evidenza che sua figlia aveva ereditato la sua tempra, oltre al colore dei capelli, perciò permise ad Enyd di occuparsi delle faccende di casa, a patto che non fossero gravose e pericolose per l'infante che la ragazza si portava sempre appresso, attaccato ai seni o addormentato nella fascia legata a tracolla.

*

– Allora, – domandò zia Tara a Matias incontrandolo nella dispensa del teach, – avete deciso come chiamarlo? Ormai son due settimane che è nato.

– Per la verità, non ancora – rispose Matias, – ma ci stiamo pensando.

– Guarda che porta sfortuna lasciare un bambino per tanto tempo senza nome. Gli spiriti del bosco possono rapirlo in ogni momento.

– Ma certo, e darlo in pasto ai loro enormi lupi – concluse Matias. – Zia, stai tranquilla, presto glielo daremo – e per tagliare corto afferrò un paio di forme di formaggio e se ne andò alla svelta.

Sulla via del ritorno rimuginò a lungo sulla faccenda, e a casa, una volta liberatosi le mani delle cibarie rubate a suo padre, si avvicinò alla culla. – Sarebbe ora che il bambino avesse un nome – disse senza preamboli.

Enyd restò un attimo interdetta dalla sorpresa, ma poi annuì. – Certo, sono d'accordo, ma finora non me ne è venuto in mente nessuno che mi piacesse veramente. Tu hai qualche idea? – La ragazza sembrava esausta, ma gli occhi brillavano di gioia ogni volta che si posavano sulla minuscola creatura, sia che dormisse beato come in quel momento, sia che strillasse a pieni polmoni come accadeva anche troppo spesso.

Matias passò un braccio attorno alle spalle di Enyd e la baciò sul collo strappandole un risolino divertito, poi distolse gli occhi dal seno gonfio di latte che intravedeva dalla scollatura per posarli anche lui sul bambino. – Non credo sia giusto nei confronti dei nostri padri chiamarlo come uno di loro – rispose con serietà. – L'unico risultato che otterremmo sarebbe scontentare l'altro.

– E allora? – domandò lei annuendo.

– Sceglieremo un nome che appartenga ad entrambe le famiglie. Io pensavo a Loth.

Lei sorrise. – Il padre di mio nonno si chiamava Loth, ed anche uno dei fratelli di mio padre!

– Ed anche un avo un po' più alla lontana del mio – confermo Matias. – È un nome comune, ma ha un bel suono. Ricorda loeth, il mattino, e lath, il verde delle foglie, è un simbolo di speranza e rinnovamento.

Enyd rise. – Che belle parole, Matias Conn. Non credevo di avere sposato un poeta.

– Ci sono ancora molte cose che non sai di me, Enyd Maclea – rispose lui facendole il solletico con la guancia un po' ispida di barba da rasare contro la pelle delicata del collo, e strappandole un'altra risatina deliziata.

Voglio scoprirle tutte – sussurrò lei tra i baci e trascinandolo giù sulle coperte.

*

Burns era rimasta isolata per due sole settimane.

Non vedendo più tornare gli araldi del Re, gli abitanti che avevano interessi sul lago avevano interrogato il sindaco sul da farsi e l'uomo, privo di informazioni come tutti gli altri, aveva ordinato di attendere ancora una settimana dal giorno della supposta visita del Re, e poi di sentirsi liberi di percorrere la via verso ovest a loro piacimento. – Se il Re non vuole farci uscire dalla valle, – aveva detto, – avrà disposto dei posti di guardia. Se non l'ha fatto, son problemi suoi.

Dolan Maclea aveva rimandato la sua visita a Chrie per colpa del blocco, ma non intendeva indispettire maggiormente il falegname cui doveva consegnare dodici tronchi di pino perciò quando il sindaco concesse l'utilizzo della via fu tra i primi a scendere a valle.

– Chrie è una città fantasma – aveva raccontato poi alle persone radunate nella locanda per il bicchierino serale. – Un deserto. – Era rimasto sgomento nel vedere le vie un tempo perennemente affollate della cittadina percorse solo da cani randagi in cerca di cibo, ed ancor di più nello scoprire che la bottega del suo committente aveva chiuso i battenti. – La gente se n'è andata, quasi tutti sono andati a sud, assieme ai profughi, e ad Eas è uguale. Senza i traffici verso il nord, non c'è rimasto nulla da mangiare, nulla da fare... è folle.

– Mi domando che cosa sia passato per la testa del Re – aveva domandato Boyle Edon, il fabbro, trangugiando un sorso di skye.

– Il Re è bello e andato – aveva allora ripetuto per l'ennesima volta Danan, rintanato nel suo angolo da cui gli altri si tenevano a debita distanza. – Non lo rivedremo mai più. – Quella volta nessuno se l'era sentita di contraddirlo.

Loth - Parte Prima: TerraWhere stories live. Discover now