Capitolo II

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Il Colosseo, sebbene fosse il monumento più antico del Mondo Conosciuto, splendeva di luce propria nel mezzo della prima mattina.
Teresia inspirò l'aria polverosa.
L'umidità calda le si attaccava alla pelle in modo fastidioso, tant'è che ordinò a Càsto di farle ombra con la sua massa enorme. Lo schiavo, sebbene impassibile, guardò con gli occhi che brillavano la struttura da insetto del Colosseo.
L'Imperatore le strinse il braccio. «Su, mia signora, sediamo al posto d'onore.»
Teresia alzò il mento e seguì il suo promesso, che avanzò oltre l'arco dell'ingresso. Sebbene fosse Imperatrice di uno dei regni più potenti e grandi, dovette ammettere che il Colosseo si meritava il titolo di Architettura più bella.
I tanti archi sembravano intessuti come fili dalle mani degli dèi, e circondava come una corona il cerchio sabbioso dove due leoni dalla peluria argentata si agitavano inquieti e ruggivano.
La gente, già seduta sugli spalti, batteva le mani all'unisono al suo ingresso.
L'Imperatore Cesare la guidò verso una rampa di scalini di pietra bianca. E iniziò a raccontare, con l'orgoglio tipico dei romani.
«Roma, per secoli, è stato il passaggio tra l'antico e il nuovo, come disse Yiasto nel 2188. Le sue opere sono ancora cantate, come le liriche di Orazio, che si celebrano tutt'oggi. Ma lei, mia signora, è appena arrivata: non sa ancora quali prelibatezze cela Roma sotto il suo mantello!»
Prelibatezze avvelenate, pensò Teresia, ma si limitò a far affiorare dalle sue labbra il suo bel sorriso, sicura che le sue parole non sarebbero state lodate dall'Imperatore.
Sentiva su di sé lo sguardo dei romani, che al suo passaggio si incantavano nel vederla: pareva una dèa, nelle sue vesti pregiate e lo sguardo bellissimo.
Ma Teresia, che conosceva le sue doti, si sentì infastidita da quegli sguardi indagatori, come se da un momento all'altro quella stessa gente avrebbe potuto stendere verso di lei le braccia e strapparla dalla sua gloria. Vedeva solo sangue sulle loro unghie sporche.
«Càsto, non voglio che la mia fiamma sia consumata dalle occhiate della plebaglia» bisbigliò allo schiavo, osservando senza emozioni i movimenti meccanici dell'uomo.
L'Imperatore le si voltò vicino, facendo splendere uno dei suoi migliori sorrisi. «Qualche imprevisto, mia signora?»
«Solo l'immensa voglia di godermi lo spettacolo, caro» rispose, sfiorando con un dito il polso dell'Imperatore.
Infuocare l'animo del giovane Cesare era facile. Come tutti i giovani, aveva sete di fama e, ovviamente, di belle fanciulle, di un letto caldo combattuto con una donna. Per Teresia era facile stuzzicare i suoi voleri come era facile porgere dolci ai bambini, attirandoli.
Arrivarono ai posti d'onore, in alto al Colosseo, e l'Imperatore la fece sedere su un trono intagliato nella pietra e coperto da morbidi cuscini rossi. Teresia poggiò le mani affusolate sui braccioli, passandoci sopra un dito.
L'Imperatore si stava sedendo al suo posto, sul trono riservato al sovrano dell'Impero Romano. Teresia, nel profondo del suo cuore, bramava quel trono come bramava la corona d'oro di foglie di alloro sul capo di Cesare Augusto.
La gente si zittì.
Al centro del cerchio di sabbia, un guerriero romano alzò le braccia, con in mano una spada che puntò al cielo.
L'Imperatore si passò un dito sul mento, in attesa; a Teresia quel gesto non passò inosservato. Così fece scivolare un dito sul braccio dell'Imperatore, senza farsi notare dai senatori romani che accampavano vicino a loro come corvi.
Mai un posto le era sembrato allo stesso tempo bello e velenoso.
Quel ruolo le piaceva.
«Lo spettacolo sta per iniziare» urlò il guerriero, e un fragoroso applauso esplose sugli spalti.
L'Imperatrice iniziava ad annoiarsi.
I leoni, notò allora, erano legati ai lati da lunghe catene di metallo marrone, e i loro ruggiti erano gli unici indizi a rivelare la loro presenza.
«Ave o Cesare, Ave o Teresia!» Espresse a gran voce, come se fosse una formula magica che avrebbe aperto i cuori della gente immergendoli di fuoco.
E così fu. La folla impazzì.
«Aprite le grate!» Urlò rivolto a due soldati appostati davanti a due grate.
Il guerriero si tolse dal cerchio, percorrendo agilmente un raggio perfetto per andare dietro la sicurezza di un muro.
I soldati si misero a lavoro e iniziarono a girare una manopola. Le due grate, simili a quelle di un cancello all'interno di un castello del Grande Nord, si alzarono con un sordo rumore.
La folla di zittì, attraversata da brividi.
Teresia seguiva con gli occhi azzurri ghiaccio tutti i singoli movimenti dei soldati, come una leonessa pronta all'attacco.
Finalmente, la grata toccò la sua fine. I soldati corsero dietro al guerriero.
Al di là della grata, c'era il buio.
Teresia strinse gli occhi.
«Ecco, mia signora, ora comincia il vero spettacolo» le sussurrò Cesare, guardando divertito l'arena.
Dietro di sé, Teresia avvertì Càsto bloccarsi sul posto. Quella sensazione la divertì.
«Vedi, Càsto, la fine che potevi fare?» gli fece con finta benevolenza. «Voglio che tu guardi bene, Càsto, molto bene».
Lo schiavo annuì, senza nessuna espressione sul volto.
Dal buio oltre la prima grata, si fece avanti una figura scura.
Era alta, grossa, dalla pelle color della notte. Incuteva una forte paura nei petti della gente comune, con lo spadone degli Africani nella mano e l'elmo della legione romana che gli copriva il volto. Come un pupazzo nelle mani di un burattino, avanzò.
Ma Teresia, a differenza di tutti gli altri, puntò lo sguardo sul buio che si celava dietro la seconda grata.
Quel gladiatore non le incuteva timore: era facile aizzare un burattino senza sentimenti contro dei leoni.
L'Imperatore Cesare notò il guizzo dei suoi occhi. «Cosa cerca il suo infinito sguardo, mia Imperatrice?» le domandò, premendo le sue labbra sul suo orecchio.
Teresia continuò a guardare il secondo arco oscuro. «Quell'uomo non è più nella benevolenza degli dèi, non avendo più un cuore né un'anima» gli disse, sperando che il suo promesso capisse.
Ma Cesare si girò verso l'arena con lo sguardo pensieroso, non aveva capito.
La folla trattenne il respiro.
Il secondo gladiatore entrò nell'arena.
Teresia strinse gli occhi.
Aveva il corpo abbronzato coperto di cicatrici. Ma non fu questo particolare ad attirare la sua attenzione.
L'uomo -o meglio-, il gladiatore indossava un elmo a forma di lupo, ma non il classico lupo Romano: era un lupo che ringhiava, come se si stesse difendendo da degli invasori; era il lupo spartano.
«Per quale motivo quel gladiatore indossa un elmo del genere?» domandò all'Imperatore, curiosa di togliersi qualche dubbio. Per anni, nel suo Impero, esteso dalla penisola scandinava a nord al Nilo d'Egitto, la maschera del lupo spartano era stato il simbolo dei ribelli.
L'Imperatore si strinse nelle spalle, come se non gliene importasse granché. «Dice di discendere dall'antica città di Sparta e di aver vissuto ai margini della città con la famiglia. Ma, da come mi hanno detto gli acquirenti, è stato trovato nel Peloponneso a vagare da solo e ubriaco. Niente di nuovo, insomma —l'Imperatore sorrise mentre il secondo gladiatore si avvicinava al centro dell'arena, come un bambino che guarda i propri giocattoli.— È bravo, molto bravo: ha davvero nel sangue il combattimento, e anima il Colosseo da più di tre anni.»
Teresia guardò con curiosità l'uomo.
La sua maschera incuteva terrore, quasi quanto il suo cammino lento e pacato, come se non si aspettasse di morire. Solo allora l'Imperatrice si accorse che non indossava armature.
«Be', morirà in fretta, senza metallo sul suo corpo» fece notare a Cesare Augusto, ma l'Imperatore le riservò un sorriso strano.
«Oh, non ha mai indossato armature, quel gladiatore, mia cara. La sua difesa è l'attacco e la sua arma la sua spada e le sue stesse mani: una volta ha persino squartato un leone spezzandogli le fauci come le sole mani nude!» L'Imperatore sembrava entusiasta.
Il classico umore romano quando si vantavano dei pregi del loro Impero.
Teresia si guardò le unghie perfette.
«E, mi dica Imperatore, qual è il nome di questo famigerato gladiatore che aduli tanto?» gli domandò, attendendo una immediata risposta.
Cesare puntò lo sguardo sul gladiatore di cui stavano parlando.
«Liberate i leoni!» tuonò il guerriero, e le catene che legavano i leoni si allentarono fino a cadere.
Un leone ruggì. E si lanciò contro il primo gladiatore, l'uomo grosso dalla pelle di bronzo.
Teresia seguì con profonda noia i movimenti meccanici del gladiatore, che metteva in pratica i classici modi romani per combattere.
Nel suo Impero, invece, i combattimenti erano molto più interessanti: derivato da tutti gli Impero più famosi e arditi di tutti i secoli —l'Impero Ottomano, l'Impero Scandinavo e l'Impero Macedone, cui precedevano le famose città greche—, i combattimenti si eseguivano con due armi: una spada e un garrota. Lo scudo, appeso sopra un filo in mezzo all'arena, doveva essere conquistato da un solo combattente tra cinque guerrieri. La procedura dell'incontro, il più delle volte, era imprevedibile: alcuni usavano la garrota a mo' di frusta ore falciare i piedi o le mani degli altri, poi con la spada conquistavano lo scudo che portava loro l'immediata vittoria; altri invece preferivano ruotare la spada in combattimenti faccia a faccia, finché non avesse ucciso tutti gli altri e poi preso lo scudo; altri, ancora, erano del tutto imprevedibili e suscitavano stupore tra gli spettatori.
Non come quel combattimento, che sembrava essere uguale al guardare  uno spettacolo di marionette.
Solo allora entrò in attacco il gladiatore con la maschera a forma di lupo.
Il gladiatore si spinse contro un muro dell'area e con un piede si slanciò verso il leone che gli correva in contro.
Con il piede colpì rudemente il muso del felino. Il rumore di ossa rotte si diffuse su per gli spalti.
Teresia si sedette meglio per vedere.
Il leone ruggì e si dimenò ancora un po', quando il gladiatore gli si avvicinò, gli sussurrò qualcosa e mise le mani intorno al suo grande collo: in poco tempo, il leone argentato esalò l'ultimo respiro.
La folla impazzì.
L'altro gladiatore era morto, poco dopo aver ucciso l'altro leone: il felino, prima di andarsene, si era portato con sé una mano del suo carnefice. L'uomo era morto dissanguato senza nemmeno urlare dal dolore.
Quella cosa turbò Teresia.
Il gladiatore si chinò verso il leone e prese la spada dal fodero: un rumore di lama che lacera prese possesso dei romani.
Teresia assistì sorpresa e allibita al gladiatore, che dopo aver scuoiato l'animale porgeva le pelli alla folla.
La folla, come sempre, ricominciò a battere forte le mani, urlando.
Tutta il Colosseo urlava: «Gladiatore! Gladiatore! Gladiatore!»
Il gladiatore indossò la pelle, come trofeo.
Teresia resistì all'istinto di vomitare.
Era stato tutto così veloce, ma così umano. Non riusciva a togliersi dalla mente il gladiatore che sussurrava qualcosa al leone. Era curiosa di sapere.
«Il suo nome, maestà, è Agapios» disse solennemente l'Imperatore, scrutando contento il gladiatore.
"Agapios" ripeté l'Imperatrice nella sua mente, mentre si passava un dito sulle labbra.
Agapios alzò le braccia al cielo, facendo esultare la folla, e voltò la maschera a forma di lupo spartano verso gli spalti.
Teresia giurò di aver visto la maschera fissarla a lungo, con quegli occhi intrisi di rabbia profonda e di sete di vendetta.
Era come incantata da quel pezzo di ferro che aveva preso possesso del volto e dell'identità dell'uomo. Sempre se uomo lo si poteva ancora chiamare.
Poi il gladiatore voltò il viso da un'altra parte, staccando gli occhi da quelli dell'Imperatrice.
Teresia si girò verso Cesare, che stava battendo le mani con foga.
L'Imperatore la notò e le chiese: «Desidera qualcosa, mia Regina?»
Teresia sorrise.
«Cesare, sarebbe possibile per me poter avere un incontro con Agapios?»

Il Sapore della LibertàOnde histórias criam vida. Descubra agora