Capitolo 55.

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Mi metto le mani in tasca, noto che ho le chiavi di casa, insieme a quella della cantina e del garage, nella tasca destra del gubbino. Dopo magari prima di salire vado a prendere anche la valigia così poi devo solo prepararla e nel frattempo le faccio prendere aria, tanto non dà fastidio se la lascio aperta nella lavanderia. Chiudendomi nel gubbino inizio a scendere abbastanza in fretta, saltando di grandino in gradino e quando una volta che sono arrivata davanti al portone, lo apro e lasciandolo socchiudere alle mie spalle esco fuori, mi guardo intorno e non vedendo ancora nessuno quindi faccio qualche altro passo ed esco fuori al cancello. Non c'è molto freddo, ma comunque butta il vento ed è anche forte, i capelli mi continuano a volare davanti gli occhi e mi rende ancora più difficile vedere dove sia lei. Dopo aver fatto qualche passo fuori dal cancello mi guardo intorno, ma vedo solo desolazione e buio. Mi aveva detto che stava qui, ora perché non c'è?! Sbuffo. Prendo il cellulare e noto che non c'è nessun altra notifica, nessun messaggio.
Io: -Ma dove è?- Dico quasi sottovoce e Sbuffando ancora. Con le mani mi tiro i capelli indietro, mettendomi alcune ciocche dietro l'orecchio così da fermarli un po'.
Continuo a guardarmi intorno, ma nascondendomi sempre nel gubbino.
Debora: -Non potevi coprirti di più?- Faccio un sobbalzo. La sua voce di fa sentire nella più totale desolazione, io mi paralizzo, mi ha spaventata. Mi guardo intorno cercando di capire da dove proviene la sua voce, e sento alcuni passi avvicinarsi a me, sbuca da dietro una macchina, era nascosta nel buio appoggiata sul muro del palazzo di fronte il mio. Una volta arrivata a debita distanza da me inizia a parlare: -Allora?- La guardo perplessa è seria, e dal suo viso non traspare un minimo di emozione. Ha le mani nelle tasche del gubbino sbottonato, che è troppo leggero per i miei gusti e sotto una semplice felpa nera.
Io: -Cosa?- Le rispondo quasi tremando dal freddo. La guardo dritto negli occhi e lei fa lo stesso.
Debora: -Perché non ti sei coperta di più?- Ha i lineamenti del viso che si irrigidiscono alla fine di ogni sua frase.
Io: -Ho cercato di scendere il più in fretta possibile.- Dico diretta.
Debora: -Ti ho detto che venivo, avevi tutto il tempo.- Sbuffo. Non posso credere che stiamo parlando di come sono vestita. Non era venuta qui per "chiarire"?!
Io: -Ormai non ha senso che io torni su e mi cambi.- Dopo essermi guardata intorno, Mi guardo i piedi e ricordo che ho le pantofole a forma di leone, il che è al quanto imbarazzante, spero solo che lei non le noti. Almeno le pantofole potevo cambiarle!
Debora: -Possiamo salire su così non hai freddo e stiamo al riparo entrambe.- No! Non potrei, non voglio. Dopo la perdonerei sicuro e non deve accadere.
Io: -No, tanto non stiamo molto.-
La guardo dritta negli occhi e lei si irrigidisce ancora di più. Tiene gli occhi fissi su di me, resta immobile e dopo qualche secondo mi risponde.
Debora: -Bene.- Ma che bella risposata.
Sbuffo e torno a guardarmi intorno, mi innervosisco solo di più guardandola. Il vento fortunatamente ha dato una tregua, si è calmato, almeno così non ho i capelli che continuano a svolazzare.
Io: -Allora?- La guardo e lei continua a non smuoversi.
Debora: -Non so dimmi tu.- Alza le spalle e inizia a guardarsi intorno, si comporta come se non le interessasse nulla, e sinceramente nemmeno a me, sono stanca di questi giochetti.
Io: -Sei tu che hai insistito nel voler venire qui per chiarire.- La inforno, lei non si guarda intorno ma non me. Io continuo a parlare: -Quindi ora sei qui, per me non c'è nulla da chiarire, tu hai da dire qualcosa?- Le domando fredda, dopo questa domanda prendo la sua più totale attenzione, torna a guardarmi fisso e per un secondo mi sento piccola è fragile, ma non glielo do a vedere, resto impassibile, con gli occhi fissi su di lei e non muovendo nemmeno un millimetro di me.
Debora: -Non è successo nulla..- Dice con un filo di voce. Cerco di non smuovermi, anche se a guardarla stare così è praticamente impossibile. Resta immobile ma ha gli occhi che parlano e dicono molto di più di ciò che vuole far credere. Vorrai solo urlargli contro tutto il male che mi ha fatto. Vedendo in una mia non risposta continua a parlare: -Io non capisco perché tu te la sia presa così tanto.- Sbuffo nuovamente. Lei si irrigidisce e anche gli occhi diventano freddi e distaccati, non lasciano trapelare nulla nemmeno loro. Sono stanca di ripetergli sempre le stesse cose. Distolgo lo sguardo da lei, mi guardo intorno e poi torno a darle attenzioni.
Io: -Stavolta devi arrivarci da sola.- Mi prendo qualche secondo per continuare. -Sono stanca di dirti sempre io cosa fai e cosa sbagli. Se ci arrivi bene se non ci arrivi mi dispiace per te.- Dico guardandola. Le sue reazioni innervosiscono ancora di più, non fanno trasparire nulla, questo lascia intendere che non gli interessano o che gli interessa troppo e non lo lascia trasparire, e io non so quale delle due ipotesi sia quella adatta.
Debora: -Per me non ho sbagliato nulla.- Non ha sbagliato nulla?! Trattarmi come un giocattolo non è nulla per lei?! Che stronza e io che ci sono stata anche male. Alzo le sopracciglia e faccio un mezzo sorrisetto sarcastico. Non posso crederci che davvero la pensa così, non posso crederci che davvero non capisce dove ha sbagliato.
Io: -Se la pensi così, va bene, ma dopo non venire a lamentarti che io non ci sarò o a chiedere il mio perdono.- Dico fredda lei mi copia il sorrisetto sarcastico, si guarda intorno e poi alza la testa e si mette a guardare il cielo.
Debora: -Me ne farò una ragione.- Dice fredda sbuffando, non mi guarda e io continuo a non capire questo suo comportamento. Non si interessa di nulla, non gli interessa di me, non gli interessa di noi, non gli interessa di quello che sta succedendo o di cosa sta accadendo. Io non ce la faccio più. Sento un groppo in gola, le lacrime salirmi agli occhi bruciano. Il respiro aumenta e lei continua a non guardarmi.
Io: -Io direi che abbiamo anche finito di chiarire.- Dico girandomi verso il cancello nel preciso istante in cui lei abbassa la testa. Faccio passi lunghi e decisi. Le lacrime iniziano a scendere incontrollate, ma faccio finta di nulla, sto crollando senza fare rumore. Sto morendo poco a poco di più, ogni secondo che passa sempre di più e lei nemmeno se ne rende conto. Ogni singola parte di me vorrebbe urlare, muoversi, ribellarsi, invece si limita a stare immobile. Ogni piccola parte di me sta sopprimenti tutto il dolore e lei sta lì, in piedi, impassibile a tutto questo. Voglio andarmene da qui. Voglio andarmene da lei. Voglio andarmene da tutto questo.
Lei mi blocca per un braccio afferrandomi, io mi blocco ma non mi giro a guardarla, non voglio mi guardi.
Debora: -Io..- Si ferma, la sento sospirare e poi riprende. -Non volevo, scusami..- strattono il mio braccio e lei lascia la presa. Ha capito l'errore di ciò che ha detto, ma non di ciò che ha fatto, è il colmo. Attraverso il cancello che si chiude automaticamente dietro di me.
Io: -Ormai è passato.- Dico riprendendo a Camminare.
Debora: -Fermati..- Urla, poi in modo più calmo continua. -Ti prego aspetta.- Mi fermo ma Senza voltarmi, il cancello ci fa da divisoria, non sento nessun passo suo o il rumore del cancello, non sento nulla, passano secondi che sembrano minuti e minuti che sembrano ore.
Debora: -Spero solo che un giorno potrai perdonarmi..- Non riesco più a controllare le lacrime, se dico qualcosa ho paura che i singhiozzi abbiano la meglio, il groppo in gola si fa sentire sempre di più, mi prendo qualche secondo, deglutisco e riprendo a camminare.
Faccio passi lunghi e decisi in modo tale che arrivo molto velocemente vicino il palazzo, lei non si muove da lì, mi guarda andarmene e non tenta nemmeno di fermarmi. Tutte quelle promesse, tutte quelle parole erano soltanto parole. Spingo il portone con le mani e una volta entrata lascio chiudere il portone alle mie spalle, non voglio girarmi, non voglio guardarla, non voglio perdonarla. Non salgo le scale ma giro nel corridoio difronte a loro e molto velocemente mi avvicino alla porta della cantina, prendo le chiavi dalla tasca e apro la porta, premo l'interruttore per accendere la luce e mi fermo qualche secondo, l'ultima volta che sono venuta qui è stato con Giorgia e ci siamo anche baciate, dopo aver fatto un rumoroso sospiro, mi avvicino al primo scaffale e prendo la valigia più grande che ho da sopra lo scaffale. È un trolley, così mi è anche più comodo portarlo a me e non caricarlo su Giorgia. Lo tiro giù dallo scaffale e lo prendo per la maniglia che ha sul lato. Torno indietro e una volta arrivata davanti le scale le salgo a due a due. Ho bisogno di andarmene da qui. Arrivata al primo piano mi fermo e Guardo giù dalla finestra per vedere se è andata via e lei non c'è più, riprendo a salire e in poco tempo arrivo davanti la porta di casa mia, metto le chiavi nella serratura e la apro, entro e la chiudo con la mano libera. Hanno tutti appena finito di mangiare, non ho un bel senso dell orientamento ma credo di essere stata via almeno per un po'. Appoggio il trolley in terra e lo trascino per la maniglia, facendolo camminare sulle rotelle, Non appena entro tutti mi fissano, guardo Giorgia che non mi toglie gli occhi di dosso, fissa ogni mio movimento. Arrivo vicino al divano, appoggio la valigia completamente in terra e mi togli il gubbino buttandolo sul suo bracciolo. Riprendo la valigia in mano e guardando Giorgia dico: -Voglio partire subito, possiamo partire stanotte o domani mattina?-

Perché ogni cosa bella, ti fa sempre stare male. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora