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2 gennaio, 1959 autentico

Liesel si risvegliò accasciata al suolo dopo un tempo interminabile, in mezzo alla strada.
Rumori fastidiosi la investirono, facendola tremare ed alzare di soprassalto. Si trovò circondata da suoni di clacson e persone che strillavano, in netto contrasto con il silenzio del cimitero al quale negli ultimi minuti si era abituata.
Trovò la forza di stendere le gambe, reggendosi ad uno steccato a pochi passi da lei. Si guardò intorno e notò un gruppo di persone che aveva preso ad osservarla con interesse, lanciandole occhiate preoccupate.
Erano vestiti con abiti formali che apparivano molto antiquati, ma prima che Liesel potesse spiccicare parola questi si erano già allontanati come fossero spaventati dalla sua vista.
La ragazza lanciò un occhio sui suoi vestiti, cercando di capire cosa potesse averli fatti preoccupare a quel modo. Indossava un jeans sbiadito a vita bassa che le lasciava la pancia scoperta e un top a righe arancioni.
Improvvisamente, si rese conto di aver un gran freddo.
Eppure quella mattina, quando era uscita da casa, le temperature erano tutt'altro che basse. Essendo maggio inoltrato, l'estate non era lontana e tutti avevano preso a vestire abiti più leggeri.
Come mai le persone adesso andavano in giro avvolte in cappotti di lana e pellicce così pesanti?
E per quale ragione si era risvegliata in mezzo alla strada e non nel cimitero davanti la tomba di suo nonno?
Incominciò a camminare velocemente senza una meta precisa, spinta dall'unico desiderio di scacciare i brividi che avevano iniziato a farle rizzare la sottile peluria delle braccia. Man mano che avanzava, notava gruppi di persone che si fermavano a fissarla con aria sconcertata.
Liesel non era convinta di sentirsi bene. Continuava a respirare, a prendere aria per tentare di calmarsi, nonostante fosse fermamente convinta di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
Si guardò attorno osservando ogni casa, ogni angolo della strada, per cercare di trovare qualcosa di familiare.
E c'era, pur essendo differente.
Si fermò poi di colpo per osservare qualcosa davanti a sé. Era un manifesto pubblicitario in stile vintage, dove vi era raffigurata una donna in costume intero di colore azzurro.
L'insegna augurava un felice 1959 a tutto il paese.
La giovane non riusciva a capire se stesse dormendo oppure no. Normalmente, quando sognava, se ne rendeva conto, ed ogni volta che leggeva nei libri storie di persone che vivevano avventure incredibili senza sapere di star sognando oppure no, le veniva sempre da ridere.
Come facevano a non rendersi conto di star vivendo la pura realtà?
"Nei sogni non ti domandi mai se stai sognando" pensò Liesel "Non ti rendi conto della stranezza del sogno finché non ti svegli, solo allora capisci che qualcosa non andava. Ma quando sei nel bel mezzo di qualcosa e ti rendi conto che è troppo strana per essere vera, allora probabilmente è strana sul serio e tu sei perfettamente sveglio."
Questa volta, però, Liesel era troppo sconvolta per accettare la realtà dei fatti. Possibile che fosse davvero finita nel 1959 attraverso un buco temporale?
Il viaggio nel tempo era reale?
Aveva letto delle storie riguardanti questo argomento quando era bambina. Una in particolare, raccontava di un gruppo di persone che riuscivano a spostarsi nel tempo attraverso portali risiedenti nei cimiteri e nei luoghi sacri, come ad esempio le chiese, in quanto ripieni di energia spirituale.
Leggere romanzi però era ben differente dal viverli in prima persona.
Distogliendosi dai suoi pensieri, alzò lo sguardo davanti a sé e notò un bar con un'insegna che non aveva mai visto. Nella sua realtà, nel 2016, non esisteva. Perciò, doveva per forza trovarsi in un'epoca differente.
Attraversò rapidamente la strada, cercando di non farsi notare. Si rese conto che una cittadina degli anni cinquanta non poteva che sconvolgersi di fronte al modo indecoroso nel quale era vestita. Sarebbe risultato inappropriato anche durante la stagione estiva.
Aprendo la porta di vetro, si ritrovò in una stanza con poche persone, illuminata da una luce artificiale e piuttosto forte.
Notò subito un gruppo di ragazzi seduti ai tavoli in fondo al locale. Erano vestiti tutti uguali, con giacca di pelle, capelli scuri ripieni di gel, sguardo assente e aria da gradassi.
In poche parole, delle perfette fotocopie di suo nonno da giovane.
Evitò di avvicinarsi a loro e, allontanandosi dai volti indistinti che si agitavano per il bar, si sedette al bancone per ordinare un bicchiere d'acqua. Il barista portava un camice bianco e un buffo cappello di carta. Le lanciò un'occhiata incuriosita e divertita al medesimo tempo, per poi porgerle una grossa tazza dove probabilmente aveva appena versato dell'acqua.
Liesel bevve qualche sorso cercando di recuperare il controllo, notando però che braccia e gambe non avevano smesso di tremare a causa della confusione.
Restò seduta per qualche secondo finché un ragazzo, probabilmente appartenente al gruppo in fondo ai tavoli, le si accostò per chiedere al barista una seconda birra.
Liesel lo squadrò da capo a piedi, ed gli ricambiò.
La ragazza si ritrovò ad apprezzare fin da subito la sua corporatura ed il suo fisico asciutto. Doveva avere sedici o diciassette anni, portava un gilet e una grossa sciarpa al collo. Indossava inoltre jeans a vita alta, sopra i quali la ragazza riuscì ad intravedere un maglione scolorito.
Aveva iniziato ad osservarla divertito.
«Hai perso il giubbotto, ragazzina? Oppure sei solita andare in giro vestita in questo modo?»
Liesel lo squadrò con aria torva, scostandosi da lui. Molto probabilmente le sue parole non erano altro che un modo, neanche tanto velato, per darle della poco di buono.
«Stai tranquilla, non voglio morderti. Posso sapere come ti chiami?»
La ragazza sussurrò il suo nome, tenendo stretti i denti e lo sguardo fisso verso il basso.
«Liesel? Mi piace molto. Quanti anni hai? Non ti ho mai vista in giro.»
«Paul, santo cielo, lasciala perdere!» esclamò il barista divertito, dandogli una leggera pacca sulla testa, dalla quale il ragazzo reagì, allontanandosi infastidito «È solo una bambina.»
«Non sono una bambina.» si affrettò a precisare Liesel, anche se convinta che nessuno la stesse ascoltando.
Gli amici del ragazzo, che avevano assistito alla scena, scoppiarono a ridere all'unisono. Incitarono Paul di lasciarla perdere e, non contenti, iniziarono ad additarlo come pedofilo, ricordandogli che la galera non era un buon luogo dove trascorrere il resto dell'adolescenza.
Paul sospirò, leggermente indispettito e, dopo aver fatto un cenno di capo alla ragazza, si allontanò da lei, bevendo la birra in movimento.
Liesel lo guardò un'ultima volta, osservandolo mentre usciva dal bar con il suo gruppo che ancora faceva ironia sul dialogo bizzarro avvenuto tra Paul, loro amico, e una bambina come lei.


Lolita non l'ha mai fattoWhere stories live. Discover now