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12 febbraio, 1959 autentico

La mattina del dodici febbraio, Liesel era seduta sul ciglio della strada e stringeva fra le mani la lettera che Paul le aveva lasciato davanti la chiesa. Aveva la schiena piegata verso le gambe e si stringeva il petto per il dolore.
Quel giorno si era svegliata con fortissime fitte allo stomaco, che nel corso della giornata non avevano fatto altro che peggiorare. Le lacrime continuavano ad uscire senza che potesse fermarsi, tanto che il foglio di carta le cadde perfino sul pavimento senza che lei se ne accorgesse.
Non riusciva a comprendere quell'improvviso malore che non sembrava intenzionato a svanire. Poteva sentire le ossa scricchiolare nel suo corpo, mentre il dolore iniziava ad estendersi per tutto il corpo.
Riuscì a trovare la forza di alzarsi ed uscire dalla sua baracca per andare alla ricerca di un telefono pubblico. Ne trovò uno a pochi metri di distanza dalla chiesa stessa, dove entrò ed iniziò a comporre il numero di Paul.
Rispose una voce allegra che riuscì a migliorare l'umore della giovane.
«Pronto, chi parla?»
«Paul, sono Liesel.»
«Liesel, tesoro! Hai una voce strana, è successo qualcosa?»
«Oggi non possiamo vederci, Paul, non mi sento molto bene.»
Dall'altro capo della cornetta, il ragazzo corrugò lo sguardo.
«Non farmi preoccupare, cosa ti senti?»
«Nulla di grave, un po' di mal di stomaco. Ma preferisco rimanere a casa a riguardarmi.»
«Ma certo, stai tranquilla. Fatti preparare una camomilla e mettiti a letto, domani starai di sicuro meglio.»
Liesel non desiderava altro che riposare su di un materasso vero e mangiare del cibo sano. Allo stesso tempo, però, sapeva perfettamente quanto tutto ciò fosse impossibile.
«Scusami davvero, Paul. Mi manchi un sacco, ci sentiamo domani.»
«Anche tu mi manchi, non immagini quanto.»
Entrambi chiusero la conversazione, e Liesel dovette reggersi al muro per non cadere a terra. Il dolore era leggermente diminuito, ma la ragazza era ugualmente spaventata dal fatto di non potergli dare un senso.
Per evitare di continuare a tormentarsi, concluse che in quel periodo doveva aver preso freddo. In fondo, dormiva da più di un mese in una baracca senza riscaldamenti e senza coperte, e il tutto nel bel mezzo della stagione invernale.
Tornò lentamente verso la sua sistemazione, si adagiò sul vecchio tappeto e cercò, per quanto fosse possibile, di prendere sonno. Alzò un ultimo istante la testa verso la finestra, per poi cadere in un sotto profondo.
Da giorni oramai aveva iniziato a nevicare.

Dopo aver annullato l'appuntamento con Liesel, Paul aveva cenato con sua madre, poco prima che questa uscisse per andare in centro a promuovere i suoi manifesti femministi.
Arrivata la notte, Paul era uscito nel vialetto di casa per fumare una sigaretta. Stava in piedi con la testa rivolta verso il bosco, scrutando nel'immensità.
La nebbia continuava ad intensificarsi.
Paul la percepiva come fredda e priva d'attrattiva, esattamente come le guance pallide di sua madre, in quel momento probabilmente sperduta in un bar ad ubriacarsi di parole come libertà, fraternità ed umiltà.
La casa del ragazzo era tutt'ora deserta. Paul era certo di udire perfino quel silenzio atroce proveniente dall'interno dell'abitazione.
Avrebbe potuto fumare all'interno, ma quelle stesse mura che lo avevano accolto come un figlio adesso lo opprimevano. Non ne conosceva il motivo.
Iniziava a soffrire della sua solitudine. Se con lui ci fosse stata Liesel, la casa gli sarebbe sembrata di sicuro meno vuota.
Quella sera però stava male, ed il ragazzo non poteva che essere preoccupato per lei. Inoltre, non poterle telefonare rendeva il tutto più difficile da sopportare.
Paul tirò una'altra boccata di fumo, per poi gettare la sigaretta ed osservarne il contatto immediato con la gelida neve bianca. L'acqua spegneva il fuoco.
Così gli aveva insegnato sua madre.
Se davvero fosse stato così, per quale motivo non era mai riuscito a farle passare le sue crisi? Come mai non era riuscito a spegnere il fuoco dentro di lei?
Forse perché non era del tutto sicuro di poter eguagliare la semplicità e la purezza dell'acqua.
Forse non era poi così puro.
Per anni aveva portato con sé tale senso di colpa, anche se oramai poteva dire di aver imparato a non pensarci troppo.
Ne aveva parlato a lungo con Liesel, nei momenti di sconforto. La ragazza sosteneva che Paul non potesse portarsi il peso del mondo sulle sue spalle,citando una canzone che Paul non conosceva.
In una parte del testo, il cantante diceva:
Don't carry the world upon your shoulders.
Non portare il mondo sulla tua schiena. Aveva completamente ragione.
Il ragazzo si passò una mano tra i folti capelli, si strinse nel giubbotto di lana e si avviò rapidamente verso il vialetto della sua casa.
Asciugò le scarpe sullo zerbino e varcò la soglia. La casa era buia e trascurata, testimonianza di una famiglia che non esisteva. Suo padre se n'era andato, sua madre passava raramente il tempo in casa.
In quei momenti si sentiva completamente solo.
L'unica persona che riusciva a rendergli la vita sopportabile era proprio Liesel. L'averla incontrata aveva rappresentato una svolta completa nella sua vita.
Il ragazzo lanciò un'occhiata furtiva alla porta di casa con l'idea di chiuderla, pensando poi alla madre. Avendo la consapevolezza che quella sera sarebbe rincasata completamente ubriaca, cosa sarebbe successo se non fosse stata in grado di aprire la porta? In preda al panico, avrebbe potuto avere un'altra crisi.
Decise dunque di non chiudere a chiave e di lasciare le finestre aperte. Il paese era tranquillo, di sicuro nessuno avrebbe tentato derubarlo.
Paul andò a coricarsi, iniziando a fantasticare di poter un giorno sposare Liesel. Avrebbero dovuto attendere diversi anni, ma il ragazzo sapeva di poter aspettare, in quanto convinto dell'intensità dei suoi sentimenti.
Mentre si girava nel letto, iniziò a sentire dei rumori per la casa. Con uno scatto si alzò dal letto, iniziando a guardarsi intorno. Dal soggiorno della sua abitazione non proveniva alcuna luce, segno che la madre non era ancora rincasata.
Si alzò e si diresse lentamente verso l'entrata della sua casa con una torcia tra le mani.
Una volta arrivato, la puntò in direzione del rumore.
Davanti a lui c'era un uomo, piuttosto malmesso. Aveva i capelli nascosti da un cappello, portava un lungo cappotto nero e non indossava scarpe.
Questo si coprì gli occhi dalla luce ed iniziò ad inveire contro Paul.
«Santo cielo, toglimi quella cosa dagli occhi!»
Il ragazzo spense la torcia e accese la luce, iniziando ad osservare il mendicante con aria preoccupata.
«Adesso si calmi, per favore.» iniziò a dire Paul, notando che aveva afferrato un soprammobile ed era in procinto di metterlo nello zaino «Rimetta quell'oggetto al suo posto e se ne vada da casa mia.»
«Io non ho più una casa!» urlò ancora questo, pestando i piedi in terra «Sono tornato solo adesso da un viaggio e ho scoperto che la mia baracca è occupata da una bambina. Come potevo far del male ad una bambina? Riposava sul mio tappeto in modo così innocente, non ho potuto che lasciarla dormire.»
«Su, non faccia così.» tentò di dire Paul, mantenendo la calma. Il cuore gli batteva talmente forte da riuscire a sentirlo fuori dal petto.
Prima che potesse dire qualcosa, il vecchio tirò fuori una grossa rivoltella che puntò dritto alla testa del ragazzo.
«Ho fame.» continuò questo, guardando il ragazzo con sguardo d'odio «Ho trovatola porta aperta e sono entrato. Non faccio nulla di male, voglio solo magiare qualcosa. Sono giorni che non mangio, non faccio altro che bere.»
Paul notò che il suo stato di ebbrezza era del tutto evidente, data la difficoltà a tenersi in equilibrio.
Inoltre, puntava la pistola alla cieca, come se non riuscisse a vedere bene il ragazzo.
«La posi immediatamente. Non si scherza con un oggetto del genere.»
«Pensi che abbia voglia di scherzare, ragazzo? Credi forse che stia scherzando?»
Paul avrebbe voluto fermarlo, tentare di calmarlo. Era intenzionato ad andare in cucina a prendere qualcosa da mangiare e da bere per quel mendicante, nella speranza di convincerlo a lasciare l'abitazione.
Ma il colpo partì.
La rivoltella lasciò andare un proiettile che a tutta velocità penetrò nel petto di Paul, facendolo prima sobbalzare e poi cadere a terra.
Il giovane abbassò lo sguardo, per osservare il buco nel suo stomaco, dove il sangue aveva iniziato a sgorgare, scendendo giù fino ai pantaloni ed arrivando a toccare il pavimento.
L'uomo appariva agitato e spaventato. Continuava a ripetere che era stato un incidente, che il proiettile era partito senza che lui potesse controllarlo.
Senza sapere cosa fare, uscì dalla casa con la stessa velocità con la quale era entrato, lasciando Paul in una pozza di sangue.
Il ragazzo stava disteso con un braccio rivolto verso la porta.
Se qualcuno fosse stato presente probabilmente lo avrebbe sentito mormorare,prima di spiare, il nome di Liesel.    

Lolita non l'ha mai fattoWhere stories live. Discover now