Capitolo 39

614 26 0
                                    

Una volta usciti dal ristorante, svoltai l'angolo trascinandomi Cole dietro, per allontanarmi da chiunque avesse assistito allo spettacolo che aveva messo su.
Quando ci trovammo in una via deserta mi voltai per gridargli contro e sfogarmi su di lui, ma fui fermata dall'espressione estranea che dominava il suo viso.
Sembrava assente. Perso.
"Cole...?" Lo chiamai oscillando la mano davanti al suo volto, senza però ottenere una reazione.
"Cole?" Il mio sguardo fu catturato dalle sue mani, che tremavano come le foglie sugli alberi d'autunno.
"Cole!" Urlai allarmata quando tutto il resto del suo corpo iniziò a tremare e lui cominciò a guardarsi intorno in confusione.
"No...fallo smettere...fallo smettere!" Si tappò le orecchie e barcollò indietro crollando contro il muro.
Cercai di avvicinarmi a lui, di consolarlo in qualche modo, ma appena lo toccavo si allontanava.
"Non volevo colpirlo mamma...non volevo colpirlo!"Ripeteva e il suo corpo scivolò contro il muro.
Sta delirando!
"Ti prego Cole! Sono qui...ti prego, torna in te!" Lo supplicai inginocchiando di fronte a lui. Si prese le ginocchia fra le braccia e vi nascose il viso come un bambino indifeso. Il mio cuore si spezzò a tale vista e all'idea di non sapere cosa diavolo fare per aiutarlo.
"Mi dispiace Dom. Non volevo...mamma, mi dispiace..."
Dom!
Presi il telefono dalla tasca della giacca con mani instabili e composi il numero di Dominic, che rispose dopo un paio di squilli.
"Ciao Layla. Va tutto-...stai piangendo?"
"Dom, ti prego devi venire qui. Cole..." singhiozzai senza riuscire a terminare la frase.
"Cosa è successo? Sta bene?"
"No...lui...sta tremando e sta dicendo cose strane..."Piansi mentre le mie ginocchia crollavano dolorosamente a terra.
"Dove siete?"
Mi guardai intorno. "Y-Young Street..."
"Arrivo subito, sono vicino. Non toccarlo e...ti prego, non lasciarlo da solo..."
"Sarò qui."
Riattaccò ed io riportai la mia attenzione su Cole.
"Non è stata colpa tua...lo so che non era tua intenzione...ma ti prego, torna da me Cole..." farfugliai rimanendo accanto a lui, facendo del mio meglio per non circondare il suo corpo con le mie braccia.
Alzò improvvisamente la testa e i suoi occhi iniettati di sangue fissarono i miei.
"Mi odia...Dom mi odia...il suo viso...io l'ho ridotto così...era tutto pieno di sangue...il dottor Hyde dice che mi ha perdonato...ma l'ho colpito...l'ho colpito!" La sua voce si spezzò e le lacrime cominciarono a scendere dai suoi occhi deliranti.
Cercai di rielaborare il suo discorso per dare un filo logico a ciò che stava ripetendo.
"Ti ha perdonato, Dom non ti potrebbe mai odiare. Ti vuole bene, sei suo fratello..."
Sussurrai ma lui era troppo risucchiato nel suo incubo per ascoltare le mie parole.
Le lacrime colavano sulle sue guance e i suoi bellissimi occhi, un mare limpido, soffrivano come non li avevo mai visti prima. Nascose di nuovo il viso fra le braccia e continuò a piangere senza mai smettere di tremare.
"Torna da me Cole...ti prego..." Supplicai con un filo di voce odiando il fatto che non potevo fare niente per alleviare il suo tormento.
Ma poi, finalmente, il rumore dei passi di Dom giunse dal fondo della via come una luce salvifica.
Corse nella nostra direzione, il suo sguardo fisso sul fratello accasciato per terra contro il muro e chiuso in se stesso.
"Hei fratellino..." Sussurrò quando si inginocchiò davanti a lui. Gli rimosse delicatamente il cappello e lo appoggiò a terra.
"Cole, sono io. Dom.."
Riconoscendo la voce di suo fratello, Cole alzò lo sguardo e le sue pupille si rimpicciolirono.
"Dom?"
"Sì, sono io..." Dom posò una mano sulla sua nuca e una sulla sua spalla.
"Io...io ti ho colpito...non volevo...il dottor Hyde ha detto che non era colpa mia..."
"No Cole. Non era colpa tua. Ma adesso stai bene...l'ha detto anche dottor Hyde, ricordi ?"
Cole annuì debolmente, poi si guardò intorno. "I rumori...falli smettere...per favore Dom, falli smettere..." singhiozzò guardandosi intorno terrorizzato.
"Concentrati Cole...cosa senti?" Chiese Dominic fissandolo negli occhi. "Le macchine...le senti le macchine frattelino?"
Cole annuì.
"Alberi che si muovono...il soffio del vento...gli uccellini...clacson..." scandì le parole via via che distingueva i suoni.
"Passi..." questa volta fu Cole a parlare.
"Sì, i passi...cosa ancora?"
"Voci delle persone..." Cole iniziò a calmarsi visibilmente, focalizzando sull'udito.
"C'è qualcos'altro?" Domandò Dom accarezzando la nuca di suo fratello.
"La...la campana..."
"Esatto. Adesso concentrati bene e ascoltali tutti insieme...fa ancora male?"
Cole chiuse gli occhi obbedendo al fratello e quando li riaprì scosse la testa. "È...è andato via..."
"Okay...sai dove siamo adesso?"
Cole annuì. I suoi occhi finalmente trovarono i miei e le sue labbra sussurrarono il mio nome. Riprese lentamente coscienza scrutinando il mio viso, poi quello di Dom.
Questi gli rivolse un sorriso, poi gli diede un colpetto sulla spalla prima di rimettersi in piedi. Mi aiutò ad alzarmi, poi offrì una mano a suo fratello, che la prese saldamente lasciandosi tirare su.
"Cos' è successo?" Mi chiese Dom, i cui occhi si spalancarono quando notarono il mio labbro per la prima volta. Non fece però commenti al riguardo.
"Niente," rispose Cole con un tono deciso, completamente diverso da quello fragile e spaventato con cui parlava prima. "Grazie per essere venuto...non succederà di nuovo."
"Hei...sono tuo fratello, non mi devi ringraziare per questo," rispose Dom dandogli un pugno giocoso sulla spalla. L'espressione di Cole si rilassò, ma tornò ad irrigidirsi non appena spostò lo sguardo su di me.
Non disse niente. Si voltò e iniziò a camminare lontano da noi.
Feci per seguirlo, ma Dom posò una mano sulla mia spalla, impedendomi di procedere. "È meglio se lo lasciamo da solo...si starà odiando per quello che ha fatto..." mormorò accennando al mio labbro.
"È successo prima di questo ed è stato un incidente. Ti racconterò tutto dopo. Non voglio lasciarlo da solo."
Lasciò cadere il braccio e mi rivolse un sorriso incoraggiante. "Prenditi cura di lui..."
Annuii, poi girai i tacchi e seguii Cole.

*
Continuai a seguirlo senza farmi vedere, fino a quando lo vidi entrare in macchina. E lo imitai.
Mi aspettai qualche segno di protesta o di resistenza da parte sua, invece non mi guardò nemmeno mentre dava vita al motore e scompariva dalla città.

*

Guidò per ore, fermandosi solo per il caffè.
Durante il tragitto non aprì mai bocca. L'unico segno di comunicazione fu passarmi dei fazzoletti di carta e il sacchetto di gel freddo che si era fermato a comprare in farmacia per il mio labbro gonfio.

In realtà non mi dispiaceva il silenzio. Cole era sempre stato un uomo di poche parole; non era una novità per me. Anzi, ero quasi sicura che fosse una delle cose che mi attraeva di più in lui.

Non sapevo quale fosse la sua destinazione e qualcosa mi diceva che nemmeno lui era sicuro di dove andare. Sapevo solo che ormai avevamo superato Indiana e che ora ci trovavamo da qualche parte in Michigan.
Mi trovai a ripensare a Jonathan e a tutto ciò che mi aveva raccontato quella mattina.
Dovevo ancora abituarmi all'idea di avere un secondo fratello.
Chi sa se mi sarei mai abituata...
Mi chiesi come l'avrebbe presa Tom. Conoscendolo, sarebbe stato indubbiamente irritato dall'idea di non essere più il fratello maggiore. Amava quel ruolo.
Non sarebbe comunque stato questo a fermarlo dall'accogliere Jonathan nella nostra famiglia.
"Jonathan è il mio fratellastro..." mi trovai a dire, con lo sguardo fisso fuori dal finestrino.
"Cosa?" Parlò Cole per la prima volta da quando avevamo lasciato Chicago.
"Il suo padre biologico è il mio. Per questo mi ha cercata..."
Rimase in silenzio per un istante, poi chiese, "te lo stava dicendo...prima che intervenissi?"
"Sì." Lo sentii sospirare quasi in sollievo. Digrignai i denti. "Che ne dici ora? Credi ancora che abbia dovuto fare pompini per ottenere un lavoro?"
Mi voltai a guardarlo, ancora ferita dall'accusa che mi aveva lanciato quella mattina. Strinse i pugni sul volante e serrò le mascelle senza staccare gli occhi dalla strada.
"Ero incazzato," sibilò a denti stretti.
"Questo non giustifica quello che hai detto. Detesto quando mi tratti o mi parli come se fossi una puttana. È questo che pensi di me?"
"No," rispose semplicemente, senza aggiungere altro. Senza scusarsi.
Irritata delle sue risposte monosillabiche, ripristinai il silenzio e ripresi il sacchetto di Gel blu per premerlo contro il labbro dolorante.
Rabbrividii al contatto con il materiale freddo. L'impatto forte dell'anello di Cole aveva lasciato un profondo taglio dal quale fuorusciva ancora sangue.
Sentivo tutta la stanchezza accumulata nel corso della giornata prendere il sopravvento: il mio corpo bramava più di ogni altra cosa una doccia calda e un letto.
Fui infatti più che lieta quando Cole accostò davanti ad un motel nel bel mezzo della campagna.
L'edificio aveva l'aspetto di una graziosa casa bianca a due piani, circondata da un vasto campo verde che includeva un laghetto e un vivace giardino all'inglese. Dietro, in lontananza, si estendevano collinette con alberi torreggianti.
Era una vista paradisiaca.

Cole si slacciò la cintura di sicurezza e scese dalla macchina invitandomi a seguirlo con un cenno.
Una volta entrati nel motel, fummo accolti da una tenera signora anziana che ci assegnò una camera e ci accompagnò per mostrarcela.
La ringraziai forzando un sorriso e fu allora che lei si scusò per zoppicare verso la toilette e tornare con un kit di pronto soccorso.
"Siediti pure cara, lascia che mi prenda cura della ferita..." Prese la mia mano e mi condusse verso il letto. Ma non prima di aver fulminato Cole con lo sguardo, chiaramente interpretando male la situazione.
Cole la ignorò e si sedette sulla poltrona di fronte a me.
La signora pulì il mio labbro con acqua fredda, poi lo disinfettò, spiegandomi che da giovane era stata un'infermiera.
"È proprio un brutto taglio...ci vorranno dei punti, se no non smetterà di sanguinare..."
Annuii gettando i capelli sulle spalle poi chiusi gli occhi e permisi a Elisabeth- così si chiamava la signora- di chiudere la ferita con due incredibilmente dolorosi punti.
Quando finì, coprì la ferita con un cerotto. La ringraziai e mi offrii di accompagnarla di sotto. Ma ella mi rivolse un sorriso e mi disse che era abituata a fare le scale e che piuttosto avrebbe preferito che mi riposassi. Prima di uscire, mandò a Cole un'altra occhiata carica di disprezzo, poi mi sussurrò, "se hai bisogno di qualunque cosa, io sono giù."
E ci lasciò soli.

Bulletproof HeartsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora