Dagherrotipi evanescenti e maggiordomi imbalsamati

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- Ma è proprio necessario? – Freddie domandò con velato disappunto, aggrottando la fronte mentre esitava a porgere a Mr Talbot, il proprietario del "Treyge Hotel" di Truro, un plico di fogli che teneva stretto a sé, quasi fosse un neonato

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- Ma è proprio necessario? – Freddie domandò con velato disappunto, aggrottando la fronte mentre esitava a porgere a Mr Talbot, il proprietario del "Treyge Hotel" di Truro, un plico di fogli che teneva stretto a sé, quasi fosse un neonato.

- Assolutamente, Signor... - Mr Talbot rispose con borghese sicurezza, chiudendo gli occhi dietro le piccole lenti rotonde dei suoi occhiali e accennando un movimento di assenso col capo, quindi, volgendosi lievemente di lato a incontrare lo sguardo di Freddie, inarcò le sopracciglia con aria di attesa.

- Mercury. Freddie Mercury, se non le dispiace. – il cantante rispose accennando un sorriso stentato che aveva ben poco di conciliatorio.

- Bene, bene, Signor... - Mr Talbot fece una breve pausa come a soppesare, nella sua mente lineare e pervasa da una religiosità bigotta, il nome che il suo interlocutore gli aveva appena ricordato. – Mercury. – concluse senza risparmiare un'occhiata carica di un senso di rimostranza nei confronti di quello che per lui era un puro capriccio anagrafico. Quindi si schiarì la voce e senza abbandonare uno sguardo di paternalistico rimprovero, porse una mano verso il plico di fogli che ancora Freddie stringeva ossessivamente.

- Ah, già, ma certo. – quest'ultimo scandì senza molta convinzione, e, esitando a ogni millimetro di spazio che percorreva col suo braccio destro in direzione delle mani di Mr Talbot, gli porse i fogli, lasciandosi sfuggire un sospiro.

- Molto bene. Venga, venga: mi segua! – Freddie si sentì invitare dal proprietario, che già si avviava, con passo sicuro e trionfante, verso il suo ufficio.

Ernest K. Talbot, figlio di Edward R. Talbot, nipote di Ernest P. Talbot senior, era il terzo discendente di quella che a tutti gli effetti poteva definirsi una dinastia di albergatori che affondava le sue radici nei fiorenti fasti dell'era vittoriana, a memoria indelebile della quale stava, in bella mostra nella hall dell'albergo, un antico e quanto mai evanescente dagherrotipo ritraente Sua Maestà la Regina Vittoria in vesti ufficiali, che consistevano in uno straripante abito rigorosamente nero, dal cui parco collettino di pizzo bianco, monacale, fuoriusciva una testolina femminile attempata, dallo sguardo imperioso e deciso, e immancabilmente coronata dalla tradizionale crocchia di capelli nascosta da un profluvio di cuffie. Vittoriana pareva anche la pesante tovaglia bianca che ricopriva completamente, fino a terra, l'elegante tavolino addossato alla parete, sul quale risiedeva questo ritratto accanto a un'infinta serie di regnanti che facevano bella mostra di baffi a manubrio, uniformi impeccabili e medaglie lucidate a specchio. Un posto particolare era riservato a Sua Maestà la Regina, il cui ritratto fotografico, risalente al momento dell'incoronazione e dunque impietosamente più giovane di una ventina d'anni, troneggiava sopra tutti i suoi predecessori, appeso alla parete ed elegantemente racchiuso da una cornice dorata.

Ma arredi e suppellettili non erano i soli elementi del Treyge Hotel a portare con sé la solennità dei tempi antichi: Mr Talbot, l'attuale proprietario e gestore, ne aveva perfettamente conservato i modi, i gesti, le parole e la mentalità dei suoi lontani parenti del diciannovesimo secolo. Di estrazione borghese, la famiglia Talbot aveva fatto fortuna con l'accorta gestione del proprio albergo, mostrando nel tempo un'abilità spiccata in fatto di ospitalità, unita a un raro fiuto per gli affari. La fortunata combinazione aveva permesso ai Talbot di scalare, nell'arco di poche generazioni, la società inglese, fino alle alte sfere delle "persone che contano", tanto spesso ospiti nel proprio lussuoso e piacevole albergo.

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