Capitolo 14

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Frank si era buttato fuori in mezzo alla neve, non gli importava del freddo, fare angeli di neve era la sua attività preferita e niente lo avrebbe fermato.

Così, come un bambino, si era disteso a terra e aveva iniziato a muovere le braccia e le gambe, ridacchiando come una scolaretta.

"Frank, ti prederai la febbre!". Lo ammonì, Gerard, seduto sotto il portico mentre lo guardava giocare nella neve.

"Non m'importa! Guarda quanta neve!". Rise, rotolandosi in mezzo ai candidi fiocchi.

Gerard alzò gli occhi al cielo ma alla fine gli piaceva vederlo così allegro, metteva di buonumore anche lui, così, decise di divertirsi un po'.

Raccolse della neve e la strinse tra le mani, fino a formare una palla che poi scagliò contro Frank, colpendolo dritto in faccia.

Il rosso scoppiò a ridere mentre il più piccolo lo guardava storto. Sapeva che si sarebbe vendicato ma non gliene fregava molto.

Poco dopo, infatti, venne colpito da una palla di neve in testa.

"HEAD SHOT!!". Urlò, Frank, esultando.

"Ora ti faccio vedere io!". Urlò, Gerard, saltando con agilità la ringhiera che li separava e trovandosi faccia a faccia col nemico.

Cominciò a prendere pugni di neve e a lanciargliela addosso, senza nemmeno dargli il tempo di rispondere al fuoco.

"NON MI AVRAI MAI!!!". Urlò, Frank, rifugiandosi dietro una siepe, cercando di colpirlo come meglio poteva, lanciando le sue munizioni alla cieca.

Quando furono entrambi troppo stanchi per continuare, entrarono in casa come due vecchietti coi reumatismi e si sedettero vicino al fuoco.

“Ti va di fare un giro più tardi?”. Chiese, Gerard, allungando le mani verso le fiamme.

“Più tardi”. Rispose, Frank, poggiando la testa sulla sua spalla.

Gerard gli rivolse un leggero sorriso, stringendolo a sé.

“Ti ringrazio per avermi difeso l’altro giorno”. Mormorò.

Frank sollevò la testa,  guardandolo negli occhi.

“Non devi ringraziarmi. Voglio dire, è normale che io stia dalla tua parte”. Rispose, scrollando le spalle.

“No che non è normale, insomma, persino i miei mi stanno contro”. Mormorò con quello che era chiaro dolore nello sguardo.

“Be’, io starò sempre dalla tua parte”. Sorrise, prendendogli una mano.

Gerard sorrise, guardando casualmente fuori dalla finestra e notando che i suoi erano tornati. Si alzò in automatico per andare ad aiutarli con la spesa, visto che Mikey affondava nella neve ad ogni passo e che le buste pesavano probabilmente più di lui.

Dopo aver portato tutte le buste dentro casa, Donna chiese al figlio di parlare con lei.

“Mamma, so già che vuoi dirmi e non ho intenzione di cambiare idea”. Cominciò, senza nemmeno dare il tempo alla madre di dire qualcosa.

“Ascoltami. Frank e Mikey mi hanno parlato ieri, hanno cercato di convincermi a lasciarti andare”. Disse la donna, siedendosi sul letto.

Gerard rimase a fissarla qualche secondo, chiedendosi perché glielo stesse dicendo.

“Devo ammettere che sono stati convincenti”. Ammise.

Il volto di Gerard s’illuminò di gioia a quelle parole.

“Ma prima che ti metta a lanciare brillantini ed arcobaleni per casa, voglio che tu mi faccia vedere ciò che hai presentato alla commissione”. Disse con tono fermo.

“Oh, certo, si… ehm… io non ce l’ho al momento, credo… credo di avere una foto… da qualche parte”. Sorrise, tirando fuori il suo telefono e iniziando a cercare freneticamente tra la miriade di foto che aveva salvate lì dentro, per la maggior parte erano foto che scattava di nascosto a Frank e di cui andava particolarmente fiero.

Gli tremavano le mani, non riusciva a credere a ciò che stava accadendo.

Quando finalmente riuscì a trovare quello che stava cercando, per poco non lanciò il telefono in faccia a sua madre, sedendosi poi accanto a lei, in attesa di un parere.

La donna rimase in silenio per quelli che a Gerard parvero anni, prima di sorridere.

“Quindi… uhm… ti piace?”. Chiese con esitazione, fissandola costantemente in attesa di qualche segnale che potesse fargli intuire qual’era la sua opinione.

“A te piace?”. Rispose.

Gerard rimase un po’ spiazzato, non era mai stato un tipo da apprezzare le sue opere, gli piaceva farle ma non le mostrava mai a nessuno, era come la sua terapia privata e non si era mai chiesto se quello che faceva sarebbe piaciuto a qualcuno, nemmeno a sé stesso.

“Uhm… be’… io… non lo so, considerando che non ho mai imparato a disegnare sul serio, suppongo non sia male”. Disse con la voce tremante.

Sua madre annuì.

“Frank lo ha visto?”. Domandò.

Gerard scosse la testa.

“Dovresti mostrarglielo, Gerard, davvero, non credevo fossi così bravo”. Sorrise.

L’espressione di gioia che era presente qualche attimo prima sul suo viso, tornò ad infestarlo, costringendolo a sorridere.

“Vai in Francia e rendimi fiera di te”. Disse dandogli una pacca sulla spalla e restituendogli il telefono.

Gerard balzò in piedi, ringraziando sua madre a ripetizione e baciandole le guance. Scede di corsa al piano di sotto, fermandosi qualche centimetro prima di scontrarsi con suo fratello.

“Attendo a dove…”. Non riuscí a finire di rimproverarlo che già il maggiore lo stava stritolando in un abbraccio.

“Ti voglio tanto bene, fratellino”. Rise, stringendolo tra le braccia e baciandogli la testa.

“Andiamo, lasciami! Che schifo! Chissà che ci hai fatto con quella bocca!”. Protestò il minore che però venne liberato subito dopo.

“FRANKIEEE”. Urlò il rosso.

“Sono in cucina, dolcezza!”. Urlò di rimando lui, beccandosi un’occhiataccia da parte del padre.

“Volevo dire… Gee”. Niente, continuava a guardarlo storto. “Gerard...”. Tentò ancora, ma niente. “… Arthur Way”. Aggiunse con sguardo interrogativo.

“Vieni qui, brutto nano malefico figlio di una buona donna!”. Esclamò entrando di corsa, tirando Frank dal collo del maglione per stringerlo tra le sue braccia e baciarlo con trasporto.

Frank era sicuro che il signor Way lo avrebbe ucciso.

“Gerard, che stai facendo?”. Domandò a bassa voce dopo essersi allontanato un po’.

“Ti sto baciando, qual è il problema?”. Rispose con sguardo incuriosito.

“Il problema è che tuo padre mi ha fulminato con lo sguardo quando ti ho chiamato dolcezza e gradirei avere i genitali dove si trovano adesso quando finiremo il nostro soggiorno qui”. Rispose con espressione preoccupata.

“Tesoro, non preoccuparti, ci sono qui io a difenderti”. Sorrise, continuando a baciarlo.

“Gee, sono serio”. Borbottò.

“Anch’io! Cosa pensi? Che non voglia che tutto sia apposto laggiù? Vuoi che controlli?”. Chiese con tono fin troppo serio.

Frank guardò suo padre, pentendosene subito dopo, visto che lo stava uccidendo con gli occhi.

“Papà, non fare quella faccia, intimorisci Frank”. Lo ammonì il figlio.

“È quello lo scopo. Mi sto accertando che ti tratti bene, non come quel… Bert”. Rispose, continuando a sistemare la spesa, come se ciò che aveva detto non avesse importanza.

L'espressione di Gerard divenne triste terribilmente in fretta.

“Che c'entra Bert adesso?”. Chiese quasi sottovoce.

“C'entra, perché quando anche lui ti lascerà come ha fatto quel verme tu verrai qui a cercare il conforto mio e di tua madre e a mangiare il nostro gelato!”. Rispose, stavolta guardandolo.

Frank vide gli occhi di Gerard riempirsi immediatamente di lacrime mentre lo stringeva ancora tra le braccia.

“Chi è Bert?”. Chiese con timore.

“Nessuno”. Mormorò, lasciandolo. “Scusate”. Aggiunse, andando via a passo lento.

“Che succede?”. Chiese Mikey, confuso, guardandolo salire le scale con poca voglia e le spalle ricurve.

“Me lo chiedo anch'io”. Rispose Frank.

“Hai tirato fuori ancora quella storia, non è vero?”. Chiese con tono arrabbiato, il figlio.

“Ho solo detto la verità”.
“Tu hai qualche problema! GERARD!!”. Urlò, seguendolo per le scale.

Frank si affrettò a fare lo stesso, stando dietro al fratello minore.

“Gerard, apri!”. Disse ad alta voce, Mikey, bussando alla porta della sua stanza.

“No, voglio restare da solo”. Rispose.

“Mikey, mi spieghi che sta succedendo?”. Chiese, Frank, sempre più confuso.

“È una lunga storia, non sono sicuro tu voglia sentirla da me”. Rispose, stavolta a voce bassa.

“Gee, andiamo, è passato tanto tempo! Non puoi continuare a disperarti così per quel coglione”. Cercò di convincerlo.

Niente, solo silenzio.

“Forse è meglio lasciarlo un po' solo”. Suggerì Frank.

“No, c'è una scala fuori, salgo ed entro dalla finestra”. Rispose Mikey, avviandosi verso la sua meta.

“Aspetta! Ci… ci vado io”. Disse, fermando il fratello.

“Frank, tu non sai niente di tutta questa storia! Sicuramente non ti dirà niente e…”.

“È il mio fidanzato, Mikey, ho il dovere di accertarmi che stia bene, non importa se non ho idea di chi sia questo Bert o di cosa abbia fatto, voglio e devo sapere che sta bene”. Rispose, uscendo in giardino prima di Mikey.

Trovò la scala ricoperta di neve, prese un respiro profondo e immerse le mani nel ghiaccio, iniziando a salire.

Le mani gli bruciavano per il freddo e, se doveva essere sincero, anche tutto il resto, visto che non si era preoccupato nemmeno d'indossare una giacca.

Giunto alla finestra, si fermò qualche secondo per sbirciare dentro la camera. Lui era sdraiato sul letto in posizione fetale, visibilmente scosso dai singhiozzi.
Pregò che la finestra non fosse chiuda dall'interno mentre infilava le dita sotto il legno.
Fortunatamente, con un po' di dolore, riuscì ad infilare le dita tra il davanzale e la finestra, sollevandola completamente prima di entrare.

Gerard era ancora nella stessa posizione ed improvvisamente a Frank venne il panico, non sapeva che dire, avrebbe voluto abbracciarlo ma era gelato e stava persino tremando, ma restare lì impalato mentre Gerard restava sul letto a singhiozzare non era un metodo efficace per calmarlo.

Si sedette sul bordo del letto, passandogli una mano tra i capelli un po' sbiaditi.

Gerard nascose il viso nel cuscino, cercando di non piangere davanti a lui, ma ottenendo solo il risultato opposto.

Non aveva ancora detto niente, chissà cosa stava pensando, probabilmente a che razza di terribile fidanzato doveva essersi scelto, visto che non riusciva minimamente a controllarsi.

Anche se doveva ammettere che trovava quel silenzio stranamente confortante.
Continuava a ripetersi che doveva smettere di fare il bambino e, magari, dire qualcosa, ma ogni volta che provava ad aprire bocca ne uscivano suoni strozzati e orribili che lo facevano solo sentire peggio.

Frank cercava disperatamente di farlo calmare, muovendo freneticamente le mani lungo la sua schiena e le sue braccia. Aveva le mani fredde ma non gli importava, quelle attenzioni gli facevano sentire quanto Frank si preoccupasse per lui.

Era da quando stava con Bert che non provava quella sensazione, quella stretta che non era mai stata ricambiata.

“M-mi d-dispiace… non… non riesco a…”. Un altro verso strozzato spezzò la frase, facendolo vergognare terribilmente del suo comportamento.

Frank non rispose, cosa che lo fece sentire anche peggio, sempre se fosse stato possibile. Improvvisamente si ritrovò sdraiato sulla schiena.
Lo vedeva sfocato, non riusciva ad interpretare la sua espressione e sicuramente doveva sembrare estremamente patetico, visto che stava ancora piangendo.

“F-Frank…”. Un altro di quei versi. Dio, odiava quella situazione, si sentiva così inutile e privo di controllo.

“Shh”. Disse piano, asciugandogli qualche lacrima.

Non sopportava di vederlo in quel modo, così affranto e triste. Chiunque fosse questo Bert doveva essere stato uno stronzo con lui e Frank aveva solo voglia di prenderlo a calci in culo fino a fargli rimpiangere di essere nato.

Nessuno poteva ridurre Gerard, il suo Gerard in quel modo.

Nessuno doveva permettersi di trattarlo male, perché lui era Gerard e non meritava di stare in quel modo.

“Non ti dirò di smettere di piangere”. Sussurrò. “So quanto è irritante quando stai soffrendo e qualcuno ti dice di smettere. Puoi continuare quanto vuoi, starò qui anche tutto il giorno se necessario”. Aggiunse, spostando alcune ciocche di capelli dal suo viso.

“I-io… io vorrei restare… solo”. Singhiozzò.

“Questo non si può fare, Gerard. Sei triste e si possono fare tante cose stupide quando si è tristi. Resterò qui, non dirò niente se tu non lo vorrai. Non ho niente da dire che possa consolarti, non so niente di cosa ti sia successo, ma devi aver sofferto, probabilmente sei rimasto da solo per tanto tempo, chiuso in questa stanza. Non posso dirti che smetterai di stare male, non posso che proporti di stare da soli insieme”. Sussurrò con un mezzo sorriso, prendendogli la mano per confortarlo per quanto gli fosse possibile.

Gerard rimase in silenzio ed immobile, travolto dal fiume di parole che Frank aveva snocciolato, prendendosi qualche secondo per elaborare ciò che gli aveva detto.

“Prometto di stare in silenzio da adesso in poi”. Aggiunse, credendo che magari il rosso, con ancora gli occhi gonfi di lacrime, volesse solo sfogarsi in pace.

“No! Io… io ho bisogno che tu… riempia il silenzio”. Protestò mestamente, mettendosi seduto e scegliendo con cura le parole da usare.

Frank sorrise, stampandogli un bacio in fronte e notando con immenso piacere che Gerard aveva smesso di piangere. Gli scompigliò i capelli con una risata, anche se sapeva benissimo che al rosso dava fastidio quando glieli metteva in disordine.

Con suo grande stupore, però, non gli schiaffeggiò la mano, non lo guardò storto, anzi, gli regalò uno dei suoi sorrisi timidi, accompagnato da una leggera sfumatura rossastra sulle guance.

“Poterti vedere sorridere dopo aver pianto è la cosa più bella che si possa ammirare”. Sorrise il più piccolo.

Il sorriso sul volto dell’altro divenne ancora più ampio, nonostante si stesse ancora asciugando le guance e tirando su col naso.

“Mi farai diventare bordeaux”. Ridacchiò.

“Dolcezza, lo sei già da un pezzo”. Rise, sfiorando la punta del suo naso con l'indice, facendoglielo arricciare in modo adorabile.

“Grazie, Frankie”.





The Black Parade

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